Rubrica "Appunti & Disappunti"
L’orrore Economico
Lavoro, economia, disoccupazione : la truffa del nostro tempo - di Viviane Forrester
L’orrore Economico
Lavoro, economia, disoccupazione : la truffa del nostro tempo - di Viviane Forrester
In quale sogno si vuole farci restare, raccontandoci di crisi al temine delle quali dovremmo finalmente uscire dalle nostre angosce? Quando prenderemmo coscienza del fatto che non ci troviamo in presenza di una crisi o di più crisi, bensì, di una vera e propria mutazione?
I territori del lavoro e ancora di più quelli dell’economia si sono allontanati diventati sempre meno visibili, sempre più impalpabili. Diventeranno ben presto, se non lo sono già, fuori portata. E’ che ai nostri occhi il lavoro è ancora legato all’era industriale, al capitalismo di ordine immobiliare. Al tempo in cui il capitale forniva garanzie note: stabilimenti ben indicati, luoghi fisici facilmente individuabili: miniere, banche, immobili radicati nel nostro paesaggio, iscritti al catasto. C’erano padroni dallo stato civile ben definito: direttori, impiegati, si sapeva dove e chi erano i dirigenti, molto spesso a capo di tutto ciò c’era un uomo più o meno potente, più o meno competente, più o meno ricco. Si poteva valutare con uno sguardo l’importanza dell’impresa dove si svolgeva il lavoro così come si sapeva dove si producevano i beni.
Oggi i gruppi economici privati, multinazionali, dominano sempre più i poteri dello Stato; lungi dall’esserne controllati, li controllano e formano una specie di nazione che fuori da qualsiasi territorio, da qualsiasi istituzione governativa comanda sempre di più le istituzioni dei diversi paesi, le loro politiche, spesso tramite organizzazioni considerevoli come la Banca Mondiale, il Fondo monetario Internazionale, o l’organizzazione di cooperazione e sviluppo Economico.
Un esempio: le economie private spesso controllano il debito degli stati che di conseguenza, ne dipendono e che esse tengono sotto il proprio giogo.
Discorso generale pronunciato spesso: “ Ci dispiace, ma che fare? Gli altri sono là, pronti con le unghie fuori. Questa concorrenza, questo mondo folle la fuori ci costringono, se non vogliamo scomparire, e insieme a noi i posti di lavoro! ” Discorso che si può tradurre in ” Grazie ai nostri sforzi congiunti, tutto si riduce a ciò che noi giudichiamo razionale, giusto e conveniente, e che ci lega.
Il pericolo non viene tanto dalla situazione, che potrebbe anche essere modificata ma dalle nostre cieche acquiescenze, la rassegnazione generale a ciò che viene dato in blocco come ineluttabile. Certo le conseguenze di questa gestione globale cominciano a inquietare; si tratta però di una paura vaga della quale la maggior parte di quelli che la provano ignorano la fonte. Si discutono gli effetti secondari di questa globalità (come la disoccupazione ad esempio) ma senza risalire fino ad essa, senza accusare la sua presa di potere ,comunque giudicata come una fatalità. La sua storia sembra arrivare dalla notte dei tempi, il suo avvento appare non databile e destinato a dominare tutto e per sempre. La sua divorante attualità viene percepita come se venisse dal passato remoto: come una cosa che accade in quanto accaduta.
Intanto le imprese continuano a sbarazzarsi in massa dei loro dipendenti, ed è cosa di ogni giorno. Le “ristrutturazioni” abbondano, con risonanze vigorose e costruttive, ma che comprendono innanzi tutto i famosi “ammortizzatori sociali”, cioè quei licenziamenti programmati che cementano oggi l’economia. Perché scandalizzarsi al pretesto che in realtà destrutturano intere vite, famiglie, e annullano ogni saggezza politica o economica? Dobbiamo denunciare anche quei termini ipocriti,scellerati? La vocazione delle imprese non è di essere caritatevoli. La perversità consiste nel presentarle come “forze vive” che seguirebbero innanzitutto imperativi morali, sociali, tesi al benessere generale, mentre devono seguire un compito, un etica, certo ma che gli comandano di fare profitti, cosa in se perfettamente lecita, giuridicamente inappuntabile.
Perché soprattutto non guardare in faccia alla realtà: le imprese non assumono per l’ottima ragione che non ne hanno bisogno. E’ questa la situazione che bisogna affrontare, cioè semplicemente una metamorfosi. Che cosa c’e’ di più impressionante di più terrificante che richieda un grado di immaginazione sovrumano ? Chi ne avrà il coraggio ? il genio ?
In alcuni punti del pianeta, la “motivazione” al lavoro è arrivata al culmine. La penuria, l’assenza di qualsiasi forma di protezione sociale portano il costo della manodopera e del lavoro a quasi niente. Un paradiso per le aziende, un sistema da sogno al quale si aggiunge quello dei paradisi fiscali. I mercati possono scegliere i loro poveri in circuiti allargati; il catalogo si arricchisce, poiché oramai esistono poveri poveri, e poveri ricchi e se ne scoprono continuamente di ancora più poveri, meno esigenti, Non esigenti affatto. Dei saldi fantastici ! Le nostre “forze vive” dimenticano volentieri che sono quelle della “nazione”, e non esitano a precipitarsi a ridarsi la carica laggiù. Da cui quelle dislocazioni producono rovine, tolgono brutalmente posti di lavoro agli abitanti di intere località.
Non esiste paese che non sia stato avvisato della prontezza delle “forze vive” a lasciare qualsiasi nazione (la loro in particolare) per andare verso quelle che si mostreranno più docili. Dappertutto dunque lo stesso gioco. Non più un angolo del mondo che non ne sia investito. Dappertutto e sempre di più in questa Europa scostumata che si riconduce vigorosamente alla ragione. Questi discorsi che annunciano la riduzione delle spese pubbliche (in mancanza della loro abolizione).
L’aumento galoppante della disoccupazione nei paesi sviluppati tende a farli scivolare impercettibilmente verso la povertà del terzo mondo. Avevamo potuto sperare di vedersi produrre il contrario, e la prosperità estendersi; invece è la miseria che si globalizza. Il declino che non è quello dell’economia: l’economia prospera!
Le angosce del lavoro perduto si vivono a tutti i livelli della scala sociale. A ciascuno di essi, vengono percepite come una prova disastrosa che sembra profanare l’identità di chi la subisce. E’ immediatamente lo squilibrio e a torto l’umiliazione, presto il pericolo. I quadri dirigenti possono soffrirne almeno quanto i lavoratori meno qualificati. Sorprendente con che rapidità si può perdere posizione e come una società diventa severa. Si fanno evidenti i paradossi di una società fondata sul lavoro, vale a dire sul posto di lavoro, laddove il mercato del lavoro non soltanto vacilla ma scompare.
Quando ci accorgeremo, per esempio che le ricchezze non si creano più tanto a partire da “creazioni” di beni materiali quanto da speculazioni del tutto astratte, senza legami o molto allentati con gli investimenti produttivi? Si negoziano senza fine prodotti derivati una quantità di affari immaginari di speculazioni senza altro oggetto o soggetto che se stesse e che formano un immenso mercato artificiale, acrobatico, fondato sul niente se non su se stesso, lontano da qualsiasi realtà che non sia la sua, in un circuito chiuso, finto immaginario. Si specula all’infinito, come in scatole cinesi, sulla speculazione. E sulla speculazione delle speculazioni. Un mercato inconsistente illusorio talmente radicato, delirante allucinato da acquisire una natura poetica. Certo, l’economia privata deteneva le armi del potere molto prima di questi rivolgimenti, ma la sua attuale potenza gode della grandezza nuova e di totale autonomia.
Consumare, la nostra ultima ancora di salvezza. La nostra ultima utilità. Siamo ancora buoni per questo ruolo di clienti necessari alla “crescita” così portata alle stelle, così desiderata . Ci è ancora possibile esercitare scelte diverse da quelle inerenti agli epifenomeni di decisioni già prese all’interno di un sistema unico, già instaurato globalizzato di cui si comincia soltanto a prendere (ma troppo poco) coscienza ?
E’ difficile ammettere, impensabile dichiarare che la presenza di una moltitudine di umani diventa precaria, non per il fatto che la morte è ineluttabile, ma per il fatto che da vivi, la loro presenza non corrisponde più alle logiche dominanti, perché non procura guadagno, ma si rivela al contrario costosa, troppo costosa. Nessuno oserà dichiarare , in democrazia, che la vita non è un diritto, che una moltitudine di esseri viventi è in numero eccedente.
Qualunque cosa possa essere stata la storia delle barbarie nel corso dei secoli, fino a oggi l’insieme degli esseri umani ha sempre beneficiato di una garanzia: era essenziale al funzionamento del pianeta e alla produzione, allo sfruttamento degli strumenti di profitto, di cui era parte. Altrettanti elementi che lo preservavano. Per la prima volta la massa umana non è più materialmente necessaria, e meno ancora economicamente, al piccolo numero che detiene i poteri e per il quale le vite umane che si svolgono all’esterno della propria ristretta cerchia non hanno interesse, ne esistenza, ce ne accorgiamo ogni giorno di più se non dal punto di vista utilitaristico.
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