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Razionalità e motivazioni affettive

Motivazioni "affettive"

Si definisce motivazione affettiva la risposta non diretta del corpo alla percezione di uno stimolo o un insieme di stimoli. La risposta non è diretta perché tra percezione e risposta hanno luogo delle modificazioni nel cervello e, corrispondentemente, delle immagini nella mente, rappresentative del rapporto fra lo stimolo e il corpo. Queste rappresentazioni stanno alla base di quella che verrà chiamata identità “inconscia” dell’individuo.

Le motivazioni affettive possono essere innate o acquisite, ma solitamente sono dovute a stimoli complessi. Per capire come si passa dagli stimoli alla risposta attraverso le motivazioni affettive, è necessario chiarire preliminarmente i concetti di immagini mentali, di sentimenti, e di identità inconscia. Le rappresentazioni neurali degli stimoli sono oggettive, vale a dire osservabili nel cervello di un individuo.

Corrispondentemente, ma non in tutti i casi, quegli stimoli sono percepiti dal soggetto come immagini mentali, cioè come costruzioni della mente, che potrebbero essere soggettivamente “osservabili” (Farah 2000), e che contengono un insieme di informazioni. Le immagini mentali non sono repliche fotografiche della realtà, ma introducono deformazioni e rappresentazioni parziali (Damasio 2003:240). La corrispondenza tra rappresentazioni neurali e immagini mentali è provata, ma come si passi dalle rappresentazioni neurali alle immagini rimane un mistero (237-8). Le immagini, nonostante questo termine, non sono necessariamente solo visive, come non lo sono gli stimoli percepiti (Damasio 1995:162; Boncinelli 2002).

Congiuntamente alle immagini mentali degli stimoli, dette immagini “primarie”, vengono generate immagini del rapporto fra gli stimoli e le espressioni corporee conseguenti, cioè le emozioni. Queste immagini, dette “secondarie”, sono i sentimenti, e sono archiviate nella parte del cervello di ordine superiore (Damasio 1995; 2000). La caratteristica più tipicamente umana, vale a dire il pensiero, comincia quando diventa possibile archiviare e successivamente richiamare le immagini mentali. Con la archiviazione, i sentimenti possono diventare dei “marcatori somatici” degli stimoli, in quanto ne segnalano le “qualità” (Damasio 1995:246; Tranel ed al. 2000). Gli stimoli possono essere quindi ordinati e classificati, formando in tal modo delle meta-immagini secondarie.

Attraverso il richiamo delle immagini diventa infine possibile l’attività di associare immagini diverse, di scomporre e ricomporre immagini vecchie per formarne di nuove (Damasio 1995:39; 2003:245). In particolare, si apre la possibilità di formare immagini di eventuali scenari futuri (Damasio 1995:141; 2003: 178-9). Questa attività si può svolgere inconsapevolmente, ma costituisce anche la base per la formazione della coscienza (Damasio 2000). Gli stimoli sono percepiti in modo cosciente solo in parte, mentre una gran parte vengono percepiti in modo inconsapevole, e come tali registrati in modo permanente (Damasio 2003:156; Merikle e Daneman 2000).

Quindi l’identità primitiva può essere resa consapevole solo in parte. Lo stesso si dirà per i sentimenti correnti e quelli registrati in archivio. Damasio (1995:164; 2000:271) infine sostiene che di rado si può conoscere l’attività che sta sotto alle immagini di cui abbiamo conoscenza. Basta pensare che è nei primi anni di vita in cui si formano le classificazioni dei sentimenti, e che questa attività non ha necessariamente bisogno del linguaggio (Damasio 2000:135-41). E’ ovvio che i neurobiologi privilegiano lo studio delle immagini mentali coscienti, avendo recentemente a disposizione efficaci mezzi strumentali per osservarle, ma in psichiatria vengono anche studiate le immagini mentali inconsce, attingendo alla attività onirica (Fagioli 1971).

L’identità inconscia, che è tipicamente umana, può dunque essere definita come la fusione tra l’identità primitiva e la memoria autobiografica, vale a dire la registrazione organizzata delle immagini passate e del futuro previsto, sia esse primarie, sia secondarie, che formano la biografia di una persona. In quanto si basa sull’identità primitiva, l’identità inconscia può essere percepita come un “flusso”, essendo continuativamente ricreata lungo lo scorrere del tempo. La fusione della memoria autobiografica con l’identità primitiva permette alla identità inconscia di svilupparsi in modo unitario, vale a dire di elaborare una rappresentazione integrata del sé, a fronte degli stimoli interni ed esterni (Damasio 2000:272-3; 2003:249).

L’appellativo di “inconscia” intende ricordare che una buona parte della gestione delle immagini è inconsapevole, in contrapposizione, come si vedrà (par. 1.3), all’identità cosciente, la cui attività sarà totalmente deliberata. Le motivazioni affettive dipendono strettamente dall’identità inconscia, e possono essere definite come quei particolari sentimenti generati a partire dalle emozioni e sentimenti che sono stati associati a prevedibili esiti futuri tramite l’apprendimento. Le motivazioni affettive dipendono dunque non solo dagli stimoli esterni, che possono essere costituiti anche da un ricordo, ma soprattutto dalla reazione emotiva specifica della persona, che si è strutturata secondo la sua identità inconscia. Si osservi come sia implicito nella identità inconscia la previsione di esiti futuri in quanto sintesi di informazioni organizzata su base emotiva.

Come i sentimenti, anche le motivazioni affettive possono rimanere completamente inconsce, oppure essere rese consapevoli (Berridge e Winkielman 2003). Va da sé che la storia e l’ambiente culturale sono determinanti nella formazione delle motivazioni affettive. Le motivazioni affettive possono essere rivolte ad organizzare e realizzare comportamenti. A tale scopo consentono di caratterizzare le immagini primarie, via via che vengono percepite o ricordate, lungo una scala edonistica, vale a dire lungo una scala dal piacevole al doloroso.

Su questa base potranno essere poi elaborate le “preferenze” per un uso razionale delle diverse opzioni (si veda par.1.3). Il marcatore somatico spinge quindi direttamente ad avvicinare o allontanare gli stimoli originari in modo più o meno consistente. Nelle parole di Damasio (2003:181): Il segnale emozionale […] può produrre alterazioni nella memoria operativa, nell’attenzione e nel ragionamento, così che il processo decisionale sia orientato verso la scelta dell’azione che, sulla base dell’esperienza precedente, ha maggiore probabilità di condurre al miglior esito possibile.

L’individuo può anche non avere cognizione di queste operazioni implicite. In tali condizioni, noi intuiamo una decisione e la mettiamo in atto, in modo rapido ed efficace, senza avere alcuna conoscenza dei passaggi intermedi. Le motivazioni affettive possono anche non dare luogo direttamente a comportamenti, a causa di vincoli oggettivi, oppure per una inibizione soggettiva dei sentimenti. Quest’ultimo caso è particolarmente interessante per come può influenzare lo sviluppo dell’identità complessiva di una persona. L’inibizione (o più in generale la manipolazione) dei sentimenti può avvenire per diversi motivi. Il primo motivo, che “non è sempre deliberato”, è così descritto da Damasio (2000:45): In moltissime circostanze, piuttosto che concentrare le risorse sui nostri stati interni, forse è più vantaggioso concentrarle sulle immagini che descrivono i problemi posti dall’ambiente. […]

Però questo spostamento di visuale rispetto a ciò che è disponibile nella nostra mente ha un costo: tende a impedirci di cogliere quali possano essere l’origine e la natura di ciò che chiamiamo sé [corsivo aggiunto]. Un secondo motivo di inibizione dei sentimenti deriva dall’uso di sostanze stupefacenti, di farmaci e di alcool. In questo caso viene alterata la percezione dello stato corporeo, che può condurre, secondo Damasio (2003:148-54, 184-5), ad una spirale di inibizione delle capacità decisionali.

Il terzo motivo può derivare da stimoli dolorosi, ma a volte anche semplicemente sgradevoli. In tal caso il soggetto si “difende” inibendo i sentimenti così provocati, e dimenticandoli (Morris 1999). Questa inibizione può tuttavia innescare una dinamica perversa nella misura in cui viene ridotta la soglia della percezione agli stimoli in quanto potenzialmente dolorosi. Di conseguenza, la riduzione delle informazioni e delle immagini vanno ad indebolire l’identità inconscia, attraverso l’indebolimento dell’identità primitiva e l’inibizione del ricordo, riducendo in tal modo le motivazioni affettive. Fortunatamente, si può riconoscere anche una opposta dinamica di rinforzo delle motivazioni affettive e della sottostante identità inconscia, che col tempo tende ad autoalimentarsi.

Tale dinamica può avere origine nell’esperienza di stimoli piacevoli che inducono la ricerca, più o meno consapevole, di stimoli simili. Si può così alzare la soglia della percezione non consapevole a quegli stimoli (vedi par.1.1), alimentando in tal modo le informazioni e le immagini che vanno a rinforzare l’identità inconscia, da cui partono le motivazioni affettive. Una conseguenza importante è che il comportamento diventa più sicuro, anche nei casi in cui le informazioni acquisite in modo consapevole non fossero aumentate in modo significativo. In questo caso si può parlare di comportamento guidato dall’intuito, vale a dire dalla capacità di prefigurarsi un’immagine che si basa su altre immagini che però rimangono inconsce.

Questa immagine può essere eventualmente esplicitata attraverso un comportamento senza conoscerne bene le origini. Si potrebbe dire che l’artista è colui che è capace di dare una rappresentazione concreta a questa immagine senza che, conseguentemente, vi sia un comportamento utile. Si suole dire infatti che le opere degli artisti sono espressive, ma non hanno utilità. Lo scienziato, invece, potrebbe essere definito come colui che cerca la dimostrazione logica dell’intuizione (Damasio 1995:265). Questo aspetto è stato riconosciuto da diversi scienziati, come Poincaré ed Einstein (164). Sia nel caso dell’artista sia nel caso dello scienziato l’aspetto creativo dell’intuizione diventa massimamente evidente.

Prof. Maurizio Pugno

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