La letteratura qui esaminata fornisce diversi contributi alla conoscenza delle motivazioni umane, tuttavia rimane elusiva di fronte ad un problema di fondo, vale a dire: cosa spiega lo sviluppo equilibrato delle motivazioni e dei livelli di identità sottostanti nel corso della vita di un individuo? L’“approccio motivazionale al sé”, nonché diversi studi di problemi politico-sociali, mostrano che questo problema è rilevante dal punto di vista empirico, in quanto le motivazioni nella società appaiono sbilanciate a discapito delle motivazioni intrinseche e affettive. Dal punto di vista teorico il problema non sembra di facile soluzione. Infatti, la razionalità appare inadatta a governare lo sviluppo delle motivazioni, come invece assume Becker (1996).
Infatti, la base informativa delle motivazioni affettive è largamente inconscia, e questo tenderebbe a favorire le motivazioni razionali, innescando in tal modo uno squilibrio cumulativo. D’altra parte, la soluzione del problema potrebbe costituire un punto di partenza necessario per poter indicare proposte di intervento correttivo. Damasio (2003) sostiene che emozioni e sentimenti sono stati funzionali allo sviluppo del genere umano, ma non si spinge a concludere che questo ha dato luogo ad un equilibrio fra i due tipi di motivazioni. Né uno studio ravvicinato del cervello sembra aiutare molto a trovare una risposta soddisfacente ad un problema riguardante una dinamica che si svolge nell’arco della vita delle persone.
“Noi siamo le nostre connessioni sinaptiche”, sostiene LeDoux (2002). Ma rimane da chiarire se è il cervello a plasmare la nostra identità, o se è la nostra identità a plasmare il cervello. D’altra parte, gli psicologi qui citati offrono risposte al problema che sono quasi tautologiche: l’equilibrio dello sviluppo mentale umano non si verifica quando “significative esperienze […] non sono in grado di essere assimilate” (Epstein 1994:715); effetti positivi sul benessere possono essere ottenuti con la internalizzazione di motivazioni estrinseche (Ryan e Deci 2000). E’ vero tuttavia che una indicazione per trovare la risposta emerge da una evidenza empirica fornita dall’“approccio motivazionale al sé”: il possesso di beni materiali appare servire come surrogato di rapporti interpersonali inadeguati o insoddisfacenti (Belk 1985; Richins 1994; Rindfleisch ed al. 1997; Kasser e Ryan 2001; Richins e Dawson 1992).
Questo risultato concorda con quello trovato in recenti studi di tipo econometrico, oltreché sociologico e psicologico, riguardante il fatto che i rapporti interpersonali più intimi sono di prioritaria importanza per il benessere soggettivo (Blanchflower e Oswald 2000; Helliwell 2003; Lane 2000; Baumeister e Leary 1995; Argyle 1987; Myers 1999).
Prof. Maurizio Pugno
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