La prima realizzazione di questo nuovo strumento finanziario avvenne 60 anni fa, all’interno del mercato statunitense. Il primo Hedge Fund fu, infatti, sottoscritto nel 1949 da Alfred Winslow Jones: egli integrò all’interno di un sistema di investimento conservativo la vendita allo scoperto [2] e il leverage (leva finanziaria), all’epoca adottati esclusivamente con finalità speculative.
La vendita allo scoperto era utilizzata per lucrare su particolari opportunità che il mercato offriva, la leva finanziaria era invece utilizzata per ottenere profitti superiori sottoponendosi contemporaneamente ad un maggiore rischio di perdita del capitale investito. Questa tipologia di approccio era completamente innovativa e al di fuori di ogni tradizione, Jones fu il primo gestore di fondi comuni a introdurre il concetto di hedging (copertura): egli deteneva una percentuale del portafoglio in azioni vendute allo scoperto tramite apposita asset allocation, al fine di coprirsi dal rischio di caduta del mercato.
La sua era dunque una strategia di difesa contro le oscillazioni del mercato e consisteva nell’acquisto di titoli con potenzialità di crescita superiore a quella di mercato e la contestuale vendita allo scoperto di titoli con tendenza opposta.
L’importanza di questo archetipo risiede nel fatto che esso presentava tutte le principali caratteristiche che ancora oggi dovrebbero contraddistinguere un vero Hedge Fund: 1. Hedging (copertura); 2. Leverage (leva finanziaria); 3. Uso della performance come base per i compensi del gestore; 4. Diretta partecipazione finanziaria del gestore del fondo.
Jones stabilì come incentivo per il “General Partner” (il gestore), una performance fee annuale del 20% sulla base dei profitti realizzati; in aggiunta, qualsiasi perdita subita dal fondo avrebbe dovuto essere reintegrata prima che il gestore potesse percepire parte degli utili futuri. Lo strumento finanziario di Jones ottenne considerevoli risultati: al netto delle commissioni di incentivo, egli guadagnò il 325% e l’83% dell’indice S&P 500 nel primo lustro degli anni Sessanta, paragonato al 225% raggiunto nello stesso arco di tempo dai migliori Mutual Funds americani.
[2] La vendita allo scoperto, chiamata anche short selling (o semplicemente short) oppure vendita a nudo, è un'operazione finanziaria che consiste nella vendita, effettuata nei confronti di uno o più soggetti terzi, di titoli non direttamente posseduti dal venditore. Tali titoli, solitamente forniti da una banca o da un intermediario finanziario, durante lo short selling vengono istantaneamente prestati dal loro fornitore al venditore allo scoperto (chiamato anche scopertista o short seller oppure venditore a nudo) e quindi subito venduti da quest'ultimo.
Pertanto, la vendita allo scoperto si configura come un prestito non di denaro bensì di titoli e, come solitamente accade in quello di denaro, vi è un interesse da corrispondere al datore del prestito.
L'ammontare dell'interesse da pagare cresce in relazione all'aumento della durata di questo prestito di titoli, poiché chi effettua la vendita a nudo deve, entro una certo lasso temporale, acquistare sul mercato (quindi a prezzo di mercato) i titoli rifondendoli così al prestatore: operazione tecnicamente definita ricopertura dello scoperto. Per l'acquirente lo short selling attuato dal venditore è praticamente invisibile e perciò ininfluente, sicché per il compratore non vi è differenza tra i titoli acquistati da una vendita allo scoperto o non allo scoperto.
In funzione del prezzo di ricopertura, lo short seller potrà registrare un profitto o una perdita. Nel caso in cui il prezzo del titolo sia diminuito nel tempo, si registrerà un profitto, viceversa una perdita. (Fonte: Wikipedia)
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