Un pericolo minore dell'inflazione, ma non per questo da sottovalutare, è rappresentato dall'aggressione ai risparmi delle famiglie da parte del fisco, [6] attacco che è reso più insidioso dal sinergismo di tassazione e inflazione, causa del fiscal drag . [7] La tassazione del risparmio è stata oggetto in passato di un acceso dibattito fra economisti al quale partecipò anche Luigi Einaudi. Sostenevano i fautori della tesi della doppia tassazione che i frutti del risparmio dovessero essere esentati dall'imposta dal momento che anche la quota di reddito destinata al risparmio era già stata tassata, ciò al fine di evitare una doppia imposizione.
Oggi è generalmente accettato il principio che anche i redditi prodotti da risparmi investiti debbano essere tassati, ma evidentemente il problema della doppia tassazione si pone con riferimento all'imposta di successione e, con ben maggiore fondatezza, all'imposta patrimoniale sulla ricchezza finanziaria. La ricchezza immobiliare è invece già assoggettata ad un'imposizione patrimoniale da parte dei comuni (ICI), ma in questo caso si dovrebbe trattare solo di un mero parametro scelto per ripartire con una certa logica fra i proprietari di immobili le spese sostenute dai comuni per fornire ai medesimi una serie di servizi e non, invece, di un modo per redistribuire la ricchezza fra i cittadini (politica redistributiva che non avrebbe senso se circoscritta nell'ambito locale).
Semmai a questo riguardo si potrebbero sollevare seri dubbi di incostituzionalità sulla prassi delle aliquote differenziate che privilegiano i residenti, i soli ad avere diritto di voto nelle elezioni comunali, al fine di guadagnare il loro consenso. [8] E' difficile, infatti, sostenere che le seconde case comportino maggiori oneri per le amministrazioni comunali rispetto alle abitazioni dei residenti. Questo tema si ricollega al diritto di voto nelle elezioni amministrative per i comuni e all'eventuale concessione di tale diritto ai cittadini stranieri residenti. [9]
Come spiegare l'accanimento del fisco contro il risparmio, comportamento che - è opportuno sottolineare - non è peculiare della sola Italia?
Di sicuro non vi è alcuna volontà punitiva da parte dello Stato contro risparmio e risparmiatori, ma è solo questione di comodità di prelievo. Il fisco, quando si appropria del risparmio finanziario, fruisce di tre condizioni assai favorevoli per l'esazione: la facilità, la tempestività e la gratuità del prelievo. E' sufficiente impartire un ordine alle banche e si trovano immediatamente i fondi a disposizione dell'erario, senza spese, senza contenzioso sulla riscossione, senza accertamenti per evasione. Affermava al riguardo il professor Francois Schaller dell'Università di Losanna (1969) che questa tassazione è preferita dal fisco perché si prelevano agevolmente e rapidamente capitali che hanno già forma liquida. " Le fisc prend l'argent ou il est". Tipico è stato il caso italiano della famosa imposta patrimoniale sui depositi bancari e sulle attività finanziarie liquide decisa dal Governo Amato nel 1992 in un momento assai critico per la lira.
Forse a causa dell'emergenza si trattò di un provvedimento non solo iniquo, ma adottato con superficialità, configurato in modo grossolano senza il necessario approfondimento degli aspetti tecnici. [10] Sono ben noti casi in cui l'imposta, che era commisurata alla consistenza dei depositi bancari ad una certa data, colpì famiglie nella delicata fase dell'acquisto della casa o del trasloco (avevano incassato l'importo del mutuo o il prezzo di vendita della vecchia casa, ma non avevano ancora pagato la nuova casa) oppure persone che avevano saldato con un assegno bancario la notula del chirurgo, il quale non si era affrettato a versarlo sul proprio conto. [11]
Secondariamente vi è la, già citata, vecchia motivazione ideologica di chi ritiene che i lavoratori, sfruttati dai capitalisti, non siano in grado di risparmiare. Di contro i capitalisti accumulerebbero ingenti ricchezze a causa dello sfruttamento della forza lavoro e dell'evasione fiscale senza dover minimamente sacrificare il loro opulento tenore di vita. Su questo versante si richiedono pesanti imposizioni sulle successioni ereditarie, imposte patrimoniali, [12] sia ordinarie sia straordinarie, e si giudica troppo leggero l'attuale regime di tassazione dei redditi finanziari introdotto con la "Legge di riforma della tassazione delle attività finanziarie" (nota anche come legge Visco) in vigore dal 1° luglio 1998, soprattutto se si opera un confronto con la tassazione dei redditi da lavoro.
Gli economisti sanno, tuttavia, che vi sono notevoli differenze fra i redditi finanziari e le altre tipologie di redditi, fra le quali i redditi da lavoro. A questo punto si rende necessario un confronto fra i redditi finanziari e quelli da lavoro in situazione di inflazione. Per semplificare il ragionamento ipotizziamo l'assenza di tassazione per entrambi i redditi e il mancato adeguamento monetario dei medesimi. Se ad un certo momento si presenta l'inflazione (fenomeno da considerarsi normale quando non si superano certi livelli), rimane invariato il salario nominale del lavoratore mentre il salario reale si contrae, ma rimane pur sempre positivo. Di contro il reddito finanziario, se vi è un investimento a tasso fisso di interesse inferiore al tasso di inflazione, è insufficiente a compensare la svalutazione del capitale in termini reali. Ne risulta un azzeramento del reddito cui si aggiunge una riduzione del patrimonio reale equivalente all'effetto di un'imposta patrimoniale.
Se poi eliminiamo l'ipotesi dell'esenzione fiscale, da un lato troviamo per il lavoratore un'ulteriore decurtazione del salario reale a causa del fiscal drag (determinata da un regime di aliquote progressive riferite ai redditi nominali), ma il reddito rimane pur sempre positivo, mentre dal lato del risparmiatore il reddito reale resta nullo e diventa più severa l'erosione del patrimonio per il risparmiatore pur in presenza di aliquote impositive moderate. Il risultato diventa ancor più negativo per il risparmiatore se vi è stato un investimento in titoli a reddito fisso a lunga scadenza, perché all'erosione da inflazione si accompagna la caduta dellaquotazione correlata all'aumento dei tassi di interesse e quindi si riduce anche il valore del capitale in termini nominali. In generale non ritengo corretto prescindere dalla deformazione delle grandezze monetarie prodotta dall'inflazione nell'applicazione dell'imposta. Del resto in tema di contabilità nazionale questa posizione è normalmente accettata. Se quando si indica la crescita percentuale del reddito nazionale si fa ovviamente al riferimento al PIL reale e non a quello a prezzi correnti non si comprende perché per i redditi finanziari si debba far riferimento, invece, ai redditi nominali.
La pressione fiscale sul risparmio finanziario diventa ancor più pesante se si considerano le limitate possibilità di compensazione tra guadagni e perdite accordate al risparmiatore dalla citata riforma, che pure ebbe il merito di sottoporre per la prima volta a tassazione la totalità dei cosiddetti capital gain finanziari. Innanzitutto viene elevata una chinese wall fra cedole incassate e perdite di capitale subite (con l'eccezione del caso particolare rappresentato dal regime del risparmio gestito), che pur sono fenomeni strettamente legati nell'economia finanziaria.
L'esempio più semplice è rappresentato da un investimento di risparmio in buoni del tesoro poliennali, con vita residua di tre anni, acquistati sul mercato secondario. Se il prezzo di acquisto del BTP, come oggi frequentemente accade, è superiore alla pari si hanno i seguenti effetti: (a) il venditore, nell'ipotesi che abbia acquistato il titolo alla pari al momento dell'emissione, realizzerà un capital gain che verrà immediatamente tassato; (b) il risparmiatore-acquirente, pagando un prezzo superiore alla pari, otterrà dall'investimento un rendimento effettivo in linea con i saggi di interesse del momento sul mercato, ma inferiore al saggio di interesse nominale del titolo. Tuttavia l'imposta colpirà la cedola, che, invece, è commisurata al saggio nominale. Il titolo alla scadenza verrà rimborsato alla pari comportando per l'investitore una perdita di capitale, che andrà a formare una minusvalenza fiscale. Questa minusvalenza potrà essere compensata con un improbabile capital gain, ma solo entro quattro anni. Oltrepassato tale limite, il MINUS contabilizzato andrà irrimediabilmente perduto.
Facciamo poi l'esempio di un investimento in bond emessi da un paese dell'Est, cui daremo il nome di fantasia Molvania mentre chiameremo molvan la sua unità monetaria. Si tratta di un paese afflitto endemicamente dall'inflazione a due cifre e con un tasso di cambio rispetto all'euro in continua discesa. I titoli, espressi in valuta molvana, hanno un rendimento apparentemente elevato anche se espressi in euro; in realtà le cedole inglobano una parte del capitale (rimborso anticipato rateale). La cedola viene interamente tassata con l'aliquota del 12,5% anche se contiene una rata di rimborso del capitale. Alla scadenza del titolo il risparmiatore incasserà un rimborso capitale in euro notevolmente ridotto rispetto al capitale originariamente investito a causa del previsto scivolamento del tasso di cambio molvan /euro. Egli registrerà una notevole perdita in conto capitale che non gli sarà possibile compensare con le cedole.
Ricordiamo poi le recenti dolorose esperienze di centinaia di migliaia di risparmiatori italiani che hanno perso quote rilevanti dei loro risparmi a seguito dei default Argentina, Cirio, Giacomelli, Parmalat. Si tratta in gran parte piccoli di risparmiatori, i quali, coerentemente con la loro posizione di scarsa propensione al rischio, investivano solo in titoli a reddito fisso, non essendo adeguatamente informati sull'esistenza di un rischio di credito oltre che di un rischio di interesse. Orbene questi risparmiatori non saranno mai in grado di compensare le perdite sofferte con ipotetici capital gain futuri, mentre hanno già pagato imposte sulle cedole incassate, che in realtà - lo sappiamo oggi - avevano la vera natura economica non di interessi, bensì di rate di rimborso parziale del capitale. In linea con quanto proposto recentemente dal tributarista Victor Uckmar, riterrei opportuna l'introduzione della seguente innovazione: abbattere questa ingiustificabile muraglia includendo nella compensazione anche le cedole. In contropartita, a beneficio del fisco, si potrebbe aumentare l'aliquota dell'imposta del 50% passando dal 12,5% al 18-20%. Non escluderei, tuttavia, anche aliquote superiori, ad esempio un'aliquota unica del 25% riferita anche agli interessi attivi dei depositi bancari. Respingo invece la proposta ventilata da più parti di impegnare lo Stato a indennizzare direttamente i risparmiatori coinvolti nei vari default , dato che si creerebbe un grave precedente di copertura dei rischi per gli investimenti finanziari a spese della collettività.
Altre limitazioni alla compensazione tra guadagni e perdite derivano dal fatto che la perdita deve precedere nel tempo il guadagno, in caso contrario non si ha diritto a compensazione. Se poi il risparmiatore è cliente di due banche (fenomeno abbastanza diffuso nella realtà italiana), non gli è consentito di compensare guadagni conseguiti sul dossier presso una banca con perdite accumulate presso la seconda banca, se non interrompendo il rapporto con la prima banca e trasferendo i titoli sulla seconda banca. In Italia le banche erigono, tuttavia, barriere all'uscita ed il malcapitato cliente dovrà passare per defatiganti adempimenti e subire elevati costi. Si propone quindi l'innovazione di poter trasferire il MINUS accumulato presso una banca ad un'altra banca senza dover chiudere necessariamente il rapporto con la prima banca. Si tratta di un minimo cambiamento che non comporta problemi tecnici particolari e che, invece, agevola non poco il risparmiatore.
Da ultimo si deve richiamare l'attenzione su quanto accennato in precedenza: le pur limitate possibilità di compensazioni fra perdite pregresse e guadagni si annullano dopo solo quattro anni dal momento della registrazione della perdita, un periodo troppo breve se si considera la durata dei cicli borsistici. Una vera trappola astutamente inserita nella citata legge. Si propone quindi una terza innovazione, anch'essa priva di difficoltà sul piano applicativo: allungare l'arco di tempo entro cui sono possibili le compensazioni, portandolo dagli attuali quattro a dieci anni. Il contribuente ha il dovere di pagare le imposte su tutti i guadagni realizzati nei suoi investimenti finanziari, ma ha il sacrosanto diritto di non pagarle quando non ha guadagnato nulla o addirittura ha subito perdite.
Il decreto Visco conteneva inoltre originariamente il meccanismo del cosiddetto "equalizzatore", ora fortunatamente abolito, giudicato al suo apparire come un provvedimento demenziale. In realtà si trattava di un congegno assai poco trasparente, ma alquanto malizioso, finalizzato ad anticipare l'esazione di imposte su ipotetici guadagni futuri, introdotto alla vigilia del crollo del mercato finanziario. Il risultato per i risparmiatori è stato disastroso: hanno pagato imposte su guadagni virtuali, non realizzati; al crollo borsistico, presi dal panico, hanno venduto ai minimi di mercato ed hanno subito pesantissime perdite. Sono trascorsi quattro anni e il MINUS accumulato si è dissolto. Non potranno beneficiare di alcuna di compensazione in futuro. Un evviva all'equità del fisco!
Sempre con riferimento alle compensazioni precluse si deve ricordare che non si possono compensare con i guadagni i costi e le tasse che gravano periodicamente sul dossier titoli. Anche la tassazione degli interessi maturati sui depositi (aliquota pari al 27%) è computata sugli interessi lordi e non su quelli netti corretti dall'onere causato da sporadici sconfinamenti, non sono neppure detraibili le spese e le tasse che gravano sul conto di deposito.
Concludendo si può costatare che le aliquote fiscali sui redditi finanziari sono solo apparentemente basse. In sostanza il risparmiatore subisce, oltre che il danno, la beffa. Mentre la pressione fiscale reale sui guadagni dal risparmio si avvicina o supera, in non pochi casi, il il 100%, da più parti i risparmiatori sono sotto tiro, accusati di fruire di un trattamento fiscale particolarmente benevolo.
Un rapido cenno in generale all'imposta di successione, abolita recentemente in Italia, ma che potrebbe essere reintrodotta in un non lontano futuro. Un'imposta destinata originariamente a colpire i grandi patrimoni, talora di origine oscura, [13] ma che in realtà, nei paesi dove è applicata, grava oggi essenzialmente sui ceti medi, i cui patrimoni si sono accumulati generalmente in piena trasparenza come frutto del lavoro e del risparmio nonché come conseguenza di variazioni di valore delle componenti di investimento del risparmio accumulato. I poveri sono esentati dall'imposta di successione per mancanza di patrimonio o per via della franchigia accordata, mentre i ricchi la eludono sotto la regia di ben remunerati esperti internazionali. L'elusione è resa più agevole dal fenomeno della globalizzazione.
Si è affermato in precedenza che il risparmio si forma nell'ambito familiare ed è il risultato del comportamento di tutti i componenti della famiglia: coloro che apportano i loro redditi nel nucleo familiare, coloro che vi apportano il loro lavoro non remunerato ed infine coloro che si limitano a contenere, volontariamente o forzosamente, i consumi. Ma i risparmi accumulati dall'intero nucleo sono intestati spesso ad una sola persona fisica, generalmente il capofamiglia, e tassare il cespite ereditario nei trasferimenti all'interno della famiglia assume il carattere di una vera e propria doppia tassazione e rappresenta un'ingiustizia (Zampetti 1996). Ben diversa ovviamente è la situazione della mitica eredità dello zio d'America, allorquando una famiglia si vede piovere inaspettatamente un'eredità da una persona emigrata all'estero, della quale conosceva a malapena l'esistenza.[6] Per aggressione del fisco si intende un prelievo tributario esorbitante (v. Quadragesimo Anno ) 7 Il fenomeno del fiscal drag (drenaggio fiscale) si presenta quando l'inflazione colpisce un'economia caratterizzata da progressività delle aliquote per vari tipi di imposte (reddito, successione, patrimonio) oppure da esenzioni o detrazioni d'imposta con massimali fissi.
[8] E'interessante ricordare a questo proposito come in molti comuni i non residenti, oltre a pagare aliquote doppie di ICI rispetto a quelle dei residenti, siano discriminati nell'offerta di servizi da parte dei comuni stessi. Ad esempio non è infrequente imbattersi in parcheggi gratuiti riservati ai soli residenti, mentre ai proprietari di seconde case è riservato un trattamento non diverso da quello per gli automobilisti di passaggio: il parcheggio a pagamento.
[9] Trattandosi di votazioni a valenza amministrativa non si comprende il voto riservato ai soli residenti. Sarebbe come se un risparmiatore socio di due banche popolari potesse votare solo in una delle due assemblee. Questa preclusione diverrebbe ancor meno comprensibile se si attribuisse il voto nelle amministrative ai cittadini stranieri. Ad esempio un cittadino extracomunitario residente a Rapallo da alcuni anni, ma privo di proprietà immobiliari nel territorio comunale, potrebbe votare per nominare il sindaco di Rapallo e contemporaneamente partecipare, anche per corrispondenza, alle elezioni amministrative della sua città di origine, mentre lo stesso diritto sarebbe negato ad un pensionato milanese, proprietario di un'abitazione a Rapallo, dove risiede stabilemente per alcuni mesi all'anno e paga regolarmente tutte le imposte comunali.
[10] Ad esempio si sono tassati i certificati di deposito con scadenza triennale (quindi investimenti finanziari non liquidi)
mentre sono risultate esenti obbligazioni con vita residua inferiore all'anno.
[11] Al fine di evitare iniquità clamorose sarebbe stato sufficiente adottare come base imponibile una media di consistenze in una serie di giorni scelti casualmente nell'arco di tre o di sei mesi invece che la consistenza di un singolo giorno.
[12] Non si debbono confondere queste richieste alimentate dall'ideologia con le proposte di ristrutturazione del sistema tributario nelle quali l'introduzione di un'imposta patrimoniale ordinaria sull'intero patrimonio ha una funzione integrativa o correttiva per l'eliminazione delle aliquote progressive, come ad esempio nel caso dell'adozione della proporzionalità nell'imposta sul reddito (la cosiddetta flat tax ) o dell'eliminazione dell'imposta sul reddito sostituendola con un'imposta sui consumi (Fuà 1961).
[13] In molti casi all'origine remota di grandi patrimoni potremmo tovare il bottino di invasori della nostra terra, il frutto di sopraffazioni sui deboli o di sfruttamento del lavoro altrui, le elargizioni dei tiranni ai loro collaboratori.
Documento del Prof. Arnaldo Mauri
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