In tempi recenti, sia in Italia che all'estero, una causa importante delle drammatica distruzione del risparmio delle famiglie è stato il comportamento scorretto o fraudolento dei raccoglitori di risparmio della filiera, che parte dai soggetti che emettono strumenti finanziari per arrivare sino a quelli che li cedono ai risparmiatori e che li amministrano per loro conto. Nei portafogli delle famiglie italiane, in una strategia di diversificazione, sono entrati anche titoli emessi da non residenti, come imprese e banche estere nonché emittenti sovrani.
Evidentemente non sempre le perdite subite dai risparmiatori che investono in strumenti finanziari sono imputabili a comportamenti di questo tipo.
L'andamento dei mercati è spesso imprevedibile, l'attività economica comporta necessariamente l'assunzione di rischi e non tutti i rischi possono essere elusi o assicurati (Canziani 1986). Le previsioni degli imprenditori, anche le più accurate, possono non concordare ex post con gli andamenti dell'economia in generale e di mercati specifici. Anche eventi naturali o eventi politici possono incidere pesantemente sui risultati di certe iniziative economiche. D'altra parte l'eccessiva prudenza porta all'immobilismo negli investimenti ed alla preventiva rinuncia al profitto, alla crescita e conduce all'emarginazione dal mercato.
Ma anche quando si ipotizzano responsabilità nel comportamento degli operatori economici coinvolti (amministratori executive , amministratori non - executive o indipendenti e alti dirigenti) un'analisi attenta rivela un crescendo di illegittimità variabile da caso a caso. E' doveroso distinguere tra mera sfortuna, colpa e dolo; fra ignavia, superficialità, operosa incapacità, perniciosa attrazione per l'azzardo, follia megalomane, insensibilità ai valori etici, sistematico ricorso a comportamenti elusivi della normativa vigente ed intenti inequivocabilmente truffaldini. Nel comportamento fraudolento dei vertici aziendali si possono distinguere, inoltre, ineguali motivazioni. In alcuni casi prevale l'obiettivo di far sopravvivere con ogni mezzo l'impresa in una fase difficile, che si presume transitoria, salvaguardando così gli interessi di tutti i soci ed i posti di lavoro. In altri casi emerge invece la volontà di conseguire indebiti arricchimenti personali nel più completo disinteresse per le sorti dell'azienda e per i diritti degli altri stakeholder . Quest'ultimo comportamento è stato riscontrato in numerose imprese dissestate, ma un'ipotetica indagine riguardante le imprese di successo rivelerebbe forse in certi casi comportamenti non molto dissimili. Al contrario dell'incapacità, anche di amministratori onesti, che conduce irrimediabilmente al dissesto, la disonestà di amministratori e di manager non necessariamente comporta, infatti, il declino o il collasso dell'impresa. Si tratta solo di far uscire dalla porta di servizio una parte dei pingui profitti conseguiti per abilità del management. L'autopsia dell'azienda dissestata rivela spesso una lunga serie di scelte difformi dalle regole di corretta amministrazione, di sistematiche elusioni e violazioni delle norme di legge, di trame fraudolente, ma è noto che generalmente non finiscono sul tavolo anatomico le imprese che godono di buona salute.
Sono doverose anche due altre considerazioni preliminari. In primo luogo vi è asimmetria nella repressione del comportamento scorretto secondo che si tratti di un soggetto pubblico o di un soggetto privato. Un confronto fra i casi Argentina, da un lato, e Enron, WorldCom, Vivendi, Parmalat e Cirio dall'altro, ha evidenziato che non solo a livello di ente emittente, ma anche a livello di persone fisiche responsabili, i debitori pubblici godono generalmente di uno status privilegiato o di vera e propria impunità, soprattutto quando i danneggiati o defraudati sono cittadini stranieri. [16] Una seconda considerazione, peraltro collegata alla prima per il riferimento all'Argentina, si basa su quanto si legge sui testi di economia bancaria: il default dipende non solo dall'incapacità di rimborso del debito da parte del debitore, ma anche dalla mancata volontà di restituzione. Evidentemente quest'ultimo fattore è influenzato dal deterrente sanzione; l'impunità e l'effetto dimostrazione di precedenti casi rimasti impuniti, alimentano l'insolvenza volontaria. E' interessante osservare che mentre si chiede giustamente (sui media e nell'opinione pubblica) maggiore severità verso le imprese ed i loro vertici per comportamenti scorretti e falsi in bilancio, non viene contestata con altrettanta indignazione l'impunità di cui sembrano godere gli stati che, in concorrenza con le imprese, incettano risparmi sui mercati.
Al fine di approfondire alcuni aspetti dei default recenti e di pervenire a proposte miranti a ridurre l'incidenza futura di questi casi di malafinanza, ritengo opportuno concentrare la disamina ai due casi che hanno maggiormente colpito i risparmiatori italiani in tempi recenti: Argentina e Parmalat. In queste due vicende vi è stata un'enorme asimmetria informativa: da un lato gli enti emittenti e le banche che curavano l'emissione sui mercati internazionali avevano presumibilmente una visione più chiara dei rischi che stavano crescendo vertiginosamente, mentre, all'estremo opposto, gli ignari risparmiatori non erano informati o non lo erano in misura sufficiente da chi avrebbe dovuto svolgere tale compito. Al centro le banche retail e le agenzie di rating , gli organismi addetti alla vigilanza dei mercati per i quali entità e tempi di conoscenza delle reali situazioni, e di conseguenza, responsabilità sono ancora da definire.
[16] Non è più il tempo della politica delle cannoniere.
Documento del Prof. Arnaldo Mauri
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