Nonostante la perdurante attualità dei due meccanismi conduttori - sequenzialità degli shock (monetari) e scostamento illusorio fra fondamentali percepiti e fondamentali effettivi - la visione austriaca del ciclo ha occupato un ruolo tutto sommato secondario nel dibattito economico (Oppers 2003 e, più in generale, Garrison 1978a [1996]). Forse, qualche responsabilità è attribuibile alla insufficienza degli sforzi, da parte di numerosi esponenti della Scuola austriaca degli ultimi decenni, nell’adattare le intuizioni misesiane degli anni Venti alla realtà istituzionale odierna. A ciò si aggiungono alcune ambiguità dello stesso Mises, che trascurò di approfondire alcuni aspetti istituzionali, fra cui le implicazioni del corso legale all’interno di un ciclo economico.
In queste pagine si è voluto analizzare con maggiore attenzione la coerenza dell’impianto austriaco originario. Si è così rilevato come la sua portata esplicativa sia stata probabilmente penalizzata dal fatto che Mises avesse formulato ipotesi talmente stringenti (e non necessarie) da trasformare il problema del ciclo economico in una questione di squilibrio inflazionistico e investimento distorto.
Poiché i boom odierni sfociano spesso in una sorta di stagflazione, è comprensibile che l’attenzione verso questa tipologia di dinamica economica non sia mai stata particolarmente vivace. Si tratta tuttavia di lacune - se di vere lacune si può parlare - che possono essere analizzate senza difficoltà nell’alveo stesso del soggettivismo austriaco. L’enfasi austriaca sull’inflazione sequenziale e sul ruolo delle istituzioni hanno posto i pilastri essenziali di un programma di ricerca che, a distanza di quasi un secolo, rimane promettente e non esclude certo né un mercato dei fattori con offerta elastica, né la possibilità di intraprendere attività di rent seeking, soprattutto in fasi congiunturali negative.
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