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Sulle dinamiche del ciclo misesiano

Moneta e ciclo monetario

Per gli economisti Austriaci il ciclo economico non è inevitabile, non nasce da fenomeni legati all’innovazione tecnologica, né da mutamenti nelle preferenze degli agenti. Se fosse una questione di progresso tecnologico o di preferenze si sarebbe infatti in presenza di alterazioni permanenti nei fondamentali; il ciclo presuppone invece, per essere tale, modificazioni solo temporanee. Nel caso austriaco, queste provengono dall’azione di politica monetaria.

Mises fa riferimento esplicito ai due canali attraverso i quali tale azione si esplica: l’emissione di moneta (oggetto di questi paragrafi) e la creazione di credito fiduciario (discussa nella sezione successiva). L’emissione di moneta avviene solitamente per opera di un’autorità governativa - la banca centrale - alla quale è riconosciuto sia il potere di monopolio nel ‘battere moneta’, sia il potere di conferire all’unità monetaria corso legale, obbligando così gli operatori del Paese ad accettarla come mezzo di pagamento.

Il punto centrale della teoria Austriaca sull’emissione di moneta è la natura temporale degli squilibri a cui una politica monetaria attiva (per esempio l’aumento nell’offerta di moneta) dà luogo. In particolare, l’eccesso di offerta di moneta non conduce immediatamente a un aumento generalizzato nel livello dei prezzi. Questo perché l’eccesso di moneta non si materializza contemporaneamente e in modo omogeneo presso tutti gli operatori. Dopo essere state messe in circolazione, le nuove quantità di moneta saranno infatti impiegate per trasferimenti o per l’acquisto di beni e servizi.

Nel primo caso[5] si verificherà un aumento nel potere d’acquisto dei beneficiari del trasferimento; questi prima o poi faranno uso del denaro percepito per acquistare beni o servizi, provocando un aumento dei prezzi di ciò che viene acquistato e un aumento nel potere d’acquisto di coloro che vendono quei beni o servizi. A loro volta, costoro impiegheranno le nuove risorse monetarie acquistando altri beni e servizi, trasferendo potere d’acquisto e propagando il fenomeno inflazionistico. E così via. Ne consegue un aumento graduale dei prezzi, a seconda dei canali attraverso cui la nuova quantità di moneta si propaga.

Risulta anche evidente che i beneficiari della politica monetaria espansiva sono i primi percettori delle nuove quantità di moneta, per i quali sale il potere d’acquisto, ma non il livello generale dei prezzi. Mentre i perdenti sono gli ultimi anelli della catena, i quali subiscono l’aumento generalizzato dei prezzi e una riduzione del proprio potere d’acquisto fino a quando la quantità di moneta in eccesso non arriverà anche a loro. In sintesi, l’emissione di moneta provoca quello che si potrebbe definire un fenomeno inflazionistico sequenziale: l’aumento nei prezzi non è infatti né immediato, né generalizzato. E non è neppure neutrale. Anche se si può teoricamente ammettere che dopo mesi o addirittura anni, una volta esauritasi la sequenza, i prezzi aumentino tutti equiproporzionalmente, non si può negare che durante la sequenza si verifichino effetti redistributivi permanenti significativi [6].

Gli Austriaci riconoscono un ruolo importante anche alle aspettative. Tuttavia, si esclude che gli individui abbiano la capacità di anticipare e scontare perfettamente gli effetti redistributivi e inflazionistici della politica monetaria. Più realisticamente, gli agenti cercheranno di adottare semplici regole di comportamento fondate sull’esperienza passata, estrapolando le dinamiche dei prezzi dei beni e servizi di loro maggiore interesse e, quando possibile, cercando di prevedere le intenzioni dell’autorità monetaria. Nulla più: gli effetti reali della politica monetaria (e dell’inflazione) rimangono pertanto in larga parte ineludibili, a meno che l’unità monetaria in questione sia respinta come strumento di pagamento e si proceda alla cosiddetta ‘dollarizzazione’ del sistema[7].

I risvolti reali di un’espansione monetaria risultano così limitati agli effetti redistributivi propri dell’inflazione sequenziale, alle possibili conseguenze permanenti di temporanee alterazioni nella struttura dei prezzi relativi, alle conseguenze sulle statistiche, tali per cui si possono registrare variazioni del prodotto interno lordo nominale sia a seguito dell’accresciuta offerta di moneta (un fenomeno una tantum), sia a seguito dell’andamento della domanda di moneta (che invece è legata ai tempi della sequenza inflazionistica).

In particolare, secondo la visione misesiana, l’aumento nell’offerta di moneta non provoca comportamenti sistematicamente irrazionali da parte di alcune categorie di agenti[8]; né provoca variazioni del tasso di interesse reale[9], che rimane prossimo al tasso di preferenza intertemporale. Proprio per questo motivo, l’emissione di moneta non innesca un boom reale o, più in generale, un ciclo economico.


5 Il secondo caso è del tutto uguale al primo, se non per il fatto che si verifica un passaggio in meno: i primi percettori della nuova moneta non sono infatti gli operatori, bensì le agenzie governative. Giova anche segnalare che il fenomeno di propagazione può essere ulteriormente ritardato da un eventuale aumento nella domanda di moneta, che si può verificare qualora i percettori della moneta recentemente emessa decidano di attendere prima di spendere le nuove risorse.

6 In realtà, anche la tesi di aumento equiproporzionale è discutibile. Non è affatto scontato che l’eccesso di domanda di beni provocato dall’eccesso di offerta di moneta segua la struttura della domanda passata; né è scontato che gli effetti di redistribuzione segnalati nel testo siano neutrali ai fini della struttura della domanda aggregata.

7 Si noti che, contrariamente a quanto si sostiene con una certa frequenza, il cambiamento dell’unità di misura non è sufficiente a eliminare gli effetti redistributivi dell’inflazione. Fino a quando la moneta inflazionata viene comunque accettata come strumento di pagamento si verificano effetti di redistribuzione del reddito e variazioni più o meno temporanee nel prezzo relativo dei beni. Questo è naturalmente dovuto alla caratteristica di sequenzialità illustrata in precedenza.

8 È questo un importante elemento di distinzione fra la visione austriaca del ciclo e quella monetarista, secondo la quale l’aumento di moneta trae in inganno i lavoratori, che scambiano l’aumento nominale dei salari per un aumento reale. Si veda per esempio Friedman (1976).

9 In sintesi, il tasso di interesse rimane invariato poiché si suppone che la nuova quantità di moneta venga impiegata dall’autorità emittente per l’acquisto di beni o servizi, il che è quanto avviene quando si usa moneta per finanziare un disavanzo di finanza pubblica; si esclude quindi che la quantità di moneta venga utilizzata per concedere credito. Come si vedrà fra breve, tale funzione è considerata esclusiva del settore bancario commerciale.

Prof. Enrico Colombatto

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