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Psicologia dei mercati finanziari: distorsioni cognitive, percezione del rischio e comportamenti collettivi

Modelli teorici di riferimento per lo studio delle decisioni nei mercati finanziari

Teoria della decisione classica

Con la formula "teoria della decisione classica" si identificano solitamente i modelli relativi alla presa di decisione nati nell'ambito di discipline quali l'economia e la statistica e che riflettono i punti salienti della prospettiva economica. Si tratta di teorie normative basate su modelli di tipo matematico. Fondamentale per questi modelli è l'assunzione della razionalità alla base dei comportamenti degli individui.

Nel campo della presa di decisione in condizioni di incertezza il modello razionale più rilevante è costituito dalla Teoria dell'Utilità Attesa (Expected Utility Theory) proposta inizialmente da von Neumann e Morgenstern (1947). Questa teoria prevede che le decisioni degli agenti economici si conformino ad una funzione dell'utilità attesa dei risultati. In pratica gli individui dovrebbero scegliere sempre le alternative che offrono loro l'utilità più elevata, cioè le alternative che in assoluto offrono i guadagni più elevati o le perdite più basse. Questa teoria ha avuto grande successo poiché rende molto semplice la modellizzazione matematica del processo decisionale anche se trascura alcune importanti variabili implicate nel processo di decisione come ad esempio la complessità del compito, la valutazione affettiva delle alternative di scelta e i limiti delle risorse cognitive dell'individuo.

La teoria dell'utilità attesa poggia su alcuni assiomi grazie ai quali la logica sottostante al comportamento decisionale risulta molto semplificata. Tra gli assiomi principali vi sono quello della transitività, quello della dominanza e quello della invarianza. Lo studio psicologico dei processi di giudizio e di decisione tuttavia ha messo in evidenza diversi casi in cui i decisori reali agiscono in modo tale da violare gli assiomi della teoria dell'utilità attesa (si vedano Tversky, 1969; Kahneman e Tversky, 1979; Tversky e Kahneman, 1981)

Teoria del Prospetto

Sul fronte dello studio psicologico della decisione la teoria che ha avuto il maggiore impatto è stata certamente la Teoria del Prospetto (Prospect Theory) proposta da Kahneman e Tversky (1979; 2000). Si tratta di un modello il cui obbiettivo è quello di descrivere in modo migliore il comportamento reale delle persone. La teoria del prospetto poggia sulla constatazione che gli individui sembrano valutare ogni possibile esito di una decisione sulla base di un punto di riferimento (o status quo) quale può essere per esempio la loro situazione al momento della decisione.

La constatazione dell'esistenza di un punto di riferimento è molto rilevante perché attorno ad esso ruotano alcune importanti conclusioni della teoria. Per esempio secondo Kahneman e Tversky la funzione di valore in base alla quale gli individui valutano i possibili spostamenti dal punto di riferimento sarebbe concava nel caso dei guadagni e convessa nel caso delle perdite. Questo spiegherebbe il motivo per cui gli individui si comportano in modo differente quando sono messi di fronte a possibili guadagni o a possibili perdite; nel primo caso sono avversi al rischio mentre nel caso di possibili perdite sono propensi ad assumersi dei rischi. È evidente la rilevanza di simili strategie di comportamento per chi studia le decisioni degli investitori.

La teoria del prospetto assegna grande importanza al modo in cui viene interpretato il problema decisionale dal momento che le evidenze sperimentali dimostrano che problemi formalmente uguali ma descritti in un caso in termini di guadagni ed in un caso in termini di perdite danno origine a decisioni differenti (Tversky e Kahneman, 1981). Diversi studi hanno anche dimostrato che le persone pongono maggiore enfasi su risultati codificati come perdite piuttosto che su risultati codificati come vincite (Slovic, 1967 e 1987). Come detto in precedenza le persone preferiscono le alternative più rischiose quando sono di fronte a delle perdite ed è stato dimostrato che investitori che devono recuperare una perdita decidono di compiere investimenti più rischiosi (Shapira e Venezia, 2000). Olsen (1997b) ha utilizzato dei mercati simulati per dimostrare che la teoria del prospetto ben si adatta alla descrizione e comprensione dei comportamenti degli investitori.

Questo suo studio ha dimostrato che gli investitori definiscono il rischio degli investimenti come il pericolo di ottenere dei risultati inferiori ad un obbiettivo prefissato che è utilizzato come punto di riferimento per valutare la resa degli investimenti fatti (un risultato simile è stato ottenuto da Olsen 1997a; si veda oltre). Anche la valutazione del rischio associato a differenti attività finanziarie è influenzata dal punto di riferimento o rendimento atteso stabilito dagli investitori per i loro investimenti.

Olsen ha dimostrato che quando una decisione di investimento è descritta in termini di possibili guadagni le persone sono avverse al rischio mentre quando la stessa decisione è descritta in termini di possibili perdite gli investitori sono maggiormente propensi al rischio. Gli investitori infatti tendono a scegliere attività finanziarie con maggiore volatilità quando sono posti di fronte ad un contesto di possibili perdite.

In questo caso infatti gli investitori si raffigurano la scelta di investimento in termini di perdita potenziale ed accettano una maggiore volatilità così da poter ottenere maggiori guadagni, tali da ripagarli per aver accettato il rischio di perdere. Viceversa essi scelgono attività finanziarie con bassa volatilità e quindi con ritorni più contenuti ma sicuri quando sono posti di fronte ad uno scenario di possibile guadagno. Infine dallo stesso studio è emerso che i consulenti finanziari hanno la tendenza a scegliere investimenti con diverso grado di rischio a seconda dell'orizzonte temporale con cui i clienti desiderano ottenere il rendimento prefissato; vengono scelti titoli con bassa volatilità quando l'orizzonte temporale è breve e titoli con volatilità più elevata quando l'orizzonte temporale è a lungo termine (Olsen, 1997a).

Di per sé non si tratta di una strategia scorretta tuttavia i clienti hanno spesso una bassa tolleranza alla variabilità dell'andamento dei titoli. Perciò gli investitori individuali non sono particolarmente disposti ad investire su titoli più volatili e quindi più rischiosi solo perché il loro orizzonte temporale è a lungo termine.

Enrico Rubaltelli www.finanzacomportamentale.it

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