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Psicologia dei mercati finanziari: distorsioni cognitive, percezione del rischio e comportamenti collettivi

Percezione del rischio collegato agli investimenti finanziari

Il concetto di rischio è da sempre associato al comportamento di chi investe. Va però detto che il rischio viene analizzato quasi solo da una prospettiva economica ovvero come dato calcolabile da tenere in considerazione al momento della decisione di investire. In genere gli economisti definiscono il rischio degli investimenti in base al grado di variabilità del valore atteso di un'attività finanziaria e sottolineano l'importanza di tenere ben presente il profilo di rischio/rendimento delle attività sulle quali si decide di investire.

Tuttavia diversi studi condotti in psicologia (Mertz, Slovic e Purchase, 1998; Slovic, 2000) hanno dimostrato che gli individui raramente concepiscono il rischio come qualcosa di oggettivo e misurabile. Inoltre le persone hanno la tendenza a evitare le alternative più rischiose cosa che può contrastare con i loro obbiettivi di investimento dal momento che la relazione rischio/rendimento afferma che maggiore è il rischio inteso come variabilità del rendimento di un'attività finanziaria e maggiore sarà il rendimento nel lungo periodo. Olsen (1997a) ha dimostrato che la percezione del rischio in campo finanziario può essere ricondotta a quattro attributi.

Olsen ha trovato che la valutazione del rischio legato agli investimenti viene eseguita basandosi principalmente su: la possibilità di ottenere una perdita ingente; la possibilità di ottenere un rendimento inferiore agli obbiettivi iniziali; l'abilità di gestire le perdite; il livello di consapevolezza finanziaria dell'investitore. Grazie a questi quattro attributi Olsen è riuscito a spiegare il 77% delle variazioni di rendimento di dieci diversi asset nel periodo 1965- 1990; utilizzando la deviazione standard dei rendimenti degli stessi dieci asset Olsen è riuscito a spiegare solo il 58% delle variazioni di rendimento nello stesso periodo.

Olsen ha anche affermato che le differenze tra individui relative alla percezione del rischio degli investimenti sembrano dipendere in particolar modo da quanto le persone si sentono capaci di gestire le eventuali perdite. Anche i manager affermano che la capacità di controllare o ridurre il rischio è la caratteristica più importante nello svolgimento del proprio lavoro, in particolare quando devono prendere importanti decisioni (Shapira, 1995). Ci sono diversi dati che sottolineano come la valutazione del rischio di un investimento non sia effettuata dagli individui in modo oggettivo. In molti casi nemmeno gli esperti tengono in reale considerazione gli indici finanziari di rischio delle diverse attività finanziarie.

Anche gli analisti sono influenzati dal grado di familiarità con l'informazione: infatti considerano meno rischiosi i titoli scambiati negli asset finanziari più familiari rispetto a titoli appartenenti agli asset meno familiari (Ganzach, 1999). Inoltre nella maggioranza dei casi gli investitori hanno la tendenza ad investire gran parte del proprio patrimonio nel mercato finanziario del proprio paese piuttosto che sui mercati dei paesi esteri (home country bias; Kilka e Martin, 2000; per una rassegna si veda Uppal, 1992). La relazione rischio/rendimento è giudicata in modo differente a seconda delle situazioni Ganzach (2000); le persone non considerano sempre l'equazione che ad un maggiore rischio corrisponde un maggiore rendimento.

Quando gli individui devono valutare titoli appartenenti ad asset che conoscono poco allora forniscono dei giudizi relativi al rischio e al rendimento che sono negativamente correlati tra loro; in pratica in queste situazioni le persone si aspettano un rendimento maggiore quando il rischio è minore. L'opposto si verifica quando viene chiesto di valutare alternative di investimento appartenenti ad asset che l'investitore conosce bene. In questo caso gli investitori si attendono un rendimento maggiore dai titoli che valutano più rischiosi. Questi risultati vanno nella stessa direzione di quelli ottenuti da Shefrin e Statman (1999) i quali hanno sottolineato che i titoli non sono valutati in termini di relazione tra il rischio e il rendimento ma sulla base dell'atteggiamento nei confronti dei titoli stessi. Si prevedono risultati migliori per i titoli che si conoscono meglio e che si considerano generalmente come "buoni titoli".

Questi dati sono una conferma dell'ipotesi che le persone prendono le loro decisioni sulla base degli atteggiamenti nei confronti degli stimoli e in particolare sulla base della valutazione affettiva positiva o negativa che associano a questi atteggiamenti (Kahneman, Ritov e Schkade, 1999). MacGegor, Slovic, Berry e Evensky (1999) hanno tuttavia ottenuto dei risultati che si pongono in contraddizione con quanto trovato da Ganzach (1999).

La relazione rischio/rendimento è uno dei fattori che nello studio di MacGregor et. al. influenza maggiormente la decisione di investire anche se c'è una asimmetria nel modo in cui il rischio e il rendimento influenzano questa decisione. Le persone sembrerebbero più invogliate ad investire in base al rendimento prospettato piuttosto che in base al grado di rischio connaturato ad una certa attività finanziaria.

Questo dato è stato spiegato adducendo che la valutazione di stimoli di tipo finanziario sarebbe fortemente influenzata da processi di carattere affettivo. MacGregor, Slovic, Dreman e Berry (2000), ad esempio, hanno chiesto ad alcuni studenti di un corso di economia di generare le immagini mentali associate a ciascun nome identificante una serie di aziende appartenenti a gruppi di industrie e società quotate in borsa (per esempio industrie informatiche, industrie farmaceutiche, società di telefonia) e poi valutarle su una scala ancorata agli estremi con le etichette: positivo - negativo.

La misurazione della componente affettiva associata a ciascun settore è stata invece indagata attraverso un differenziale semantico le cui dimensioni erano: buono/cattivo, eccitante, pregiato, forte, attivo e rischioso. È stato poi chiesto ai partecipanti il giudizio relativo al rendimento di comparto industriale nell'anno precedente alla ricerca e per l'anno successivo e l'intenzione di acquistare azioni di aziende appartenenti ai diversi gruppi per le quali era stata avviata un'offerta pubblica d'acquisto. I risultati indicano che immagini mentali e componenti affettive sono utili nel giudicare il rendimento passato ma non quello futuro.

Una elevata correlazione tra valutazione delle immagini mentali, componenti affettive e decisioni di investimento è stata ottenuta riguardo alla disponibilità ad acquistare azioni di aziende per le quali è stata avviata un'offerta pubblica di acquisto. Tuttavia il risultato di questa ricerca resta valido solo per situazioni in cui le informazioni a disposizione dell'investitore sono molto poche. In questi casi infatti si può supporre che gli investitori si basino sulle loro valutazioni soggettive non avendo a disposizione informazioni tecniche sufficienti.

MacGregor e colleghi suggeriscono però che anche in condizioni in cui la quantità di informazioni è molto elevata le persone potrebbero affidarsi alle immagini mentali ed alle relative componenti affettive associate ad un certo titolo. Infatti in situazioni in cui sono disponibili molte informazioni le persone tendono ad utilizzare strategie volte a permettere di selezionare un sottoinsieme di informazioni da utilizzare per scegliere su quale attività finanziaria investire. Una di queste strategie potrebbe comportare proprio l'utilizzo delle immagini mentali che sono in grado di offrire un punto di riferimento in base al quale l'investitore può valutare in modo soggettivo quali informazioni sono rilevanti per la sua scelta.

La percezione del rischio legato agli investimenti sembra essere molto diversa se il giudizio è fornito da un investitore di sesso femminile piuttosto che da un investitore di sesso maschile. Diversi studi hanno sottolineato che le donne sembrano essere maggiormente avverse al rischio rispetto agli uomini quando si tratta di investire in borsa. Sunden e Surette (1998) hanno dimostrato che le donne tendono ad investire la maggioranza del loro patrimonio in asset dal rendimento poco variabile. Anche l'assunzione di rischi negli investimenti è influenzata dal genere. Olsen e Cox (2001) infatti hanno mostrato che l'assunzione di rischi è significativamente diversa tra investitori professionali di sesso maschile e femminile.

Olsen (1997a) ha dimostrato che in generale gli investitori professionali sono più attenti ad indici di variabilità relativi ad un possibile andamento negativo piuttosto che ad indici relativi ad un possibile andamento positivo dei titoli. Olsen e Cox hanno invece sottolineato come questo atteggiamento sia più marcato tra le donne che tra gli uomini. Coerentemente, le donne tendono a giudicare come più rischiose le tipologie di investimento per le quali è maggiore la possibilità di un calo di rendimento, cioè di incorrere in una perdita; diversamente gli uomini giudicano più rischiose le tipologie di investimento per le quali l'oscillazione del valore è maggiore.

Enrico Rubaltelli www.finanzacomportamentale.it

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