Il leverage misura l’ammontare di attività detenute per ogni unità di capitale investito. La leva finanziaria, pertanto, consente al gestore di investire più di quanto ricevuto dal gestore. Vi sono tre modi per conseguire il leverage desiderato:
Basandosi sui prestiti concessi dal prime broker, a fronte delle posizioni possedute dal fondo presso la società di questo; i prestiti consentono di incrementare il potere di acquisto per ogni unità di capitale investito o costituiscono il collaterale richiesto per vendere allo scoperto altri titoli. In questo caso, il grado di leverage utilizzabile dipende dai limiti posti dalle autorità di vigilanza: ad esempio, negli Stati Uniti, alcuni prestiti sono soggetti alla “Regulation T” della Federal Reserve che impone per le operazioni su azioni di società statunitensi un margine pari al 50% delle attività detenute, permettendo così un rapporto di leverage pari a 2:1;
Ricorso ai fondi che operano in titoli a reddito fisso, ottenuto dal reinvestimento dei proventi derivanti dall’operazione di pronti contro termine (repurchase agreement o repo). L’operazione in questione consente a una controparte di vendere a un secondo utente valori mobiliari e d’impegnarsi a riacquistarli a una futura data concordata;
Utilizzo degli strumenti derivati sia negoziati in mercati regolamentati sia su quelli over-the-counter. Nel primo caso, l’adozione del marking-to-market giornaliero comporta il ripristino del margine netto in cash ogni giorno, mentre sul mercato over-the-counter, invece, sussite un certo grado di tolleranza per piccole variazioni di valore delle posizioni. Ovviamente, la convenienza ad utilizzare la leva finanziaria dipende dal differenziale positivo fra il rendimento della posizione assunta sul mercato e il costo dell’indebitamento.
La tabella mostra i livelli di leverage adottati dalle principali banche di Wall Street (Fonte: Solomon Smith Barney study on Hedge Funds (2007), Solomon Smith Barney brokerage company)
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