Le azioni che possono essere intraprese nei confronti di questi particolari fondi comuni d’investimento per garantire l’integrità del mercato sono di tre tipi:
Il primo aspetto è particolarmente importante, poiché dato che questi strumenti finanziari sono, per un verso, assimilabili ai fondi comuni, anch’essi dovrebbero essere soggetti ad una regolamentazione appropriata. La motivazione sottostante a tale richiesta non sarebbe tanto dovuta alla necessità di salvaguardare l’investitore quanto, piuttosto, al desiderio di garantire la stabilità finanziaria e l’integrità del mercato. Questo approccio presenta tuttavia un grosso ostacolo e alcune controindicazioni:
a) L’ostacolo maggiore riguarda l’esatta definizione del soggetto che deve essere regolamentato. Ulteriore fattore di disturbo, da tenere in considerazione, è che la natura delle attività svolte da tali veicoli d’investimento può cambiare significativamente in un breve lasso di tempo;
b) Gli Hedge Funds sono in grado di eludere la regolamentazione, stabilendo il proprio domicilio in giurisdizioni più flessibili. Tale inconveniente potrebbe essere ridotto se i governi riuscissero ad esercitare adeguate pressioni sui centri finanziari off-shore, perché adottino gli standard internazionali e se le banche imponessero condizioni più pesanti alle istituzioni che operano dai centri off-shore;
c) Una regolamentazione specificatamente indirizzata agli Hedge Funds indurrebbe i gestori più innovativi a cercare forme giuridiche alternative, in grado di offrire quella medesima flessibilità operativa che verrebbe negata dalle nuove norme;
d) Gli Hedge Funds che possono minare la stabilità finanziaria e l’integrità del mercato sono quelli di dimensioni notevoli, in grado di assumere posizioni consistenti in relazione a uno specifico mercato. Non tutti questi fondi sono quindi potenzialmente pericolosi. Non è necessario regolamentare tutti gli Hedge Funds nella medesima maniera, ma sarebbe altrettanto problematico stabilire una regolamentazione in relazione alla dimensione del bilancio di una istituzione o alle posizioni detenute.
Le motivazioni che agiscono a sfavore della regolamentazione diretta inducono ad accentuare gli sforzi verso le restanti operazioni.
La maggiore trasparenza comporta notevoli benefici sia all’integrità del mercato, sia alla sua stabilità. Infatti, la disponibilità di informazioni faciliterebbe l’individuazione delle istituzioni con poteri di mercato e il sanziona mento degli abusi; migliorerebbe la stima del credito, riducendo la probabilità di estenderne oltre misura i limiti; contribuirebbe a contenere il panico in caso di crisi, riducendo l’incertezza circa l’ampliamento delle esposizioni.
L’imposizione di un livello di trasparenza più pervasiva necessita di una equilibrata valutazione circa il tipo di informazione da diffondere, i soggetti a cui indirizzarla e le modalità con cui essa deve essere rilasciata.
Le iniziative a miglioramento della supervisione sugli intermediari concernono l’intervento nelle procedure di determinazione del rischio di credito: i metodi di valutazione del merito creditizio in uso presso le maggiori istituzioni finanziarie si sono rivelati fallaci.
Le cause sono imputabili alla mancanza di un appropriato sistema interno di misurazione e gestione del rischio o, caso più probabile, ad una prevaricazione degli interessi di business sui segnali inviati dalle procedure. Occorre, quindi, individuare approcci alternativi alle “raccomandazioni” formulate dagli organi di vigilanza nei confronti degli intermediari e, contemporaneamente, sviluppare meccanismi che favoriscano il rispetto della sana gestione. L’opzione più attendibile è quella di approntare degli standards (sound practices) che fungano da paragone verso il quale le istituzioni finanziarie possano misurare l’adeguatezza delle loro procedure. Elementi caratterizzanti degli standards sono l’impiego dello stress test [48] e l’adozione della collateralizzazione del mercato over-the-counter.
[48] Lo stress test della banche o programma di valutazione del capitale di vigilanza è una valutazione della riserva di capitale in corso da parte della Federal Reserve americana e dalle autorità di vigilanza bancaria per determinare se le organizzazioni bancarie più grandi degli Stati Uniti hanno capitale sufficiente a reggere l'impatto di un ambiente economico più difficile rispetto a quanto attualmente previsto. Analoga operazione viene eseguita da parte del Cebs (Committee of European Banking Supervisors) in collaborazione con la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea sulle principali banche Europee (91 istituti di cui 5 italiani).
La percentuale delle banche sottoposte all'esame non è stata la stessa per tutti i paesi: nell’ultimo stress test, in Spagna furono sottomesse all'esame il 95% delle banche mentre negli altri paesi solo il 50%. Le 5 banche Italiane sottoposte al più recente controllo sono state UniCredit, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e Ubi Banca. In quest’ultimo esame, gli intermediari nazionali avevano superato il controllo eseguito. L'operazione è limitata a organizzazioni bancarie con un patrimonio superiore ai 100 miliardi di dollari. Le organizzazioni del settore bancario incluse in questo esercizio comprendono il nucleo del sistema bancario degli Stati Uniti che rappresentano circa i due terzi del totale delle attività delle holding bancarie americane. Gli istituti bancari ammissibili, con consolidata attività inferiore a $ 100 miliardi, possono anche ottenere capitali dalla Programma di acquisto del capitale (PAC). L'ammissibilità è coerente con i criteri e il processo deliberativo stabilito per l'identificazione di qualificate istituzioni finanziarie (QFIs) nel Programma di Acquisto di capitale esistente.
L'autorità di vigilanza conduce tali valutazioni su un capitale di base interministeriale per assicurare che esse siano svolte in modo tempestivo e coerente. Ogni istituto finanziario è incaricato di analizzare le potenziali perdite a livello di impresa, in termini di prestiti e del proprio portafoglio titoli, unitamente a qualsiasi impegno fuori dal bilancio e passività potenziali/esposizioni, definiti sulla base di due scenari economici su un orizzonte temporale di due anni. Inoltre, alle imprese con attività commerciali superiori a 100 miliardi di dollari, viene chiesto di stimare il potenziale di perdita legato al trading in questi stessi scenari. Ultimamente, le istituzioni finanziarie partecipanti hanno anche stimato le risorse interne disponibili per assorbire le eventuali perdite. Gli scenari presi in considerazione sono di due tipi: uno scenario di base e uno più negativo.
Nella prospettiva di base, le grandezze prese in considerazione come strumento di valutazione sono, ad esempio, l’andamento del Pil reale e del tasso di disoccupazione. A questa proiezione, si accompagna una seconda valutazione sulla base di parametri più negativi che possono riguardare il sistema bancario: in base alla previsione, il percorso dell'economia degli Stati Uniti in questo scenario alternativo è più avverso e riflette una più profonda e lunga recessione rispetto a quella base. I parametri presi in considerazione sono effettivamente molto negativi, tuttavia, un risultato di questo genere non può mai essere escluso. (Fonte: Wikipedia)
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