In un celebre articolo del 1990 David Landes si chiedeva: “Why are we so rich and they so poor?”. La maggior parte degli studi empirici sulla crescita economica pubblicati a partire dagli anni ’90, e dopo il pionieristico contributo di Barro (1991),[1] hanno interpretato questa domanda nel senso della necessità di individuare quei fattori in grado di spiegare le differenze tra paesi nei rispettivi tassi di crescita medi, calcolati su un orizzonte temporale sufficientemente lungo (e in genere prossimo ai 30 anni). In altri termini, la questione, dal riguardare le cause delle differenze nei livelli di reddito pro-capite tra nazioni (come nello spirito dell’articolo originario di Landes), ha riguardato l’individuazione delle determinanti la dispersione internazionale dei tassi di crescita di lungo periodo.
La motivazione portata da questo tipo di letteratura empirica era rappresentata dall’osservazione che, in effetti, i tassi di crescita medi annui variano notevolmente tra sistemi economici e che tali variazioni tendono ad essere persistenti nel tempo. Se si osserva la Tavola 1, che riporta i tassi medi di crescita annui della produzione nel periodo 1960-90 per macro aree del mondo, si nota infatti che l’area dell’Asia orientale (caratterizzata dalla presenza delle cosiddette quattro tigri asiatiche - Corea del Sud, Hong Kong, Singapore, e Taiwan) è cresciuta ad un tasso medio annuo vicino al 6%, mentre altre aree del mondo (tipicamente l’Africa Sub-Sahariana e l’America Latina) sono cresciute a tassi notevolmente più bassi, a causa soprattutto della presenza di alcuni paesi con tassi di crescita della produzione al di sotto dello zero nell’arco del medesimo periodo (-2.3% per Niger e Benin, -1.8% per Chad e Madagascar, -0.8% per Uruguay). La principale conclusione a cui pervengono questi studi (cross-country growth regressions) è che le variabili che sembrano maggiormente influenzare le differenze internazionali nei tassi di crescita sono rappresentate dal livello iniziale di reddito pro-capite (conditional convergence), dal tasso di fertilità, dal rapporto tra spesa pubblica e PIL, da un qualche indice del grado di ordine pubblico/livello di democrazia di un paese e dal suo grado di apertura al commercio internazionale. [2]
Nonostante il vasto interesse suscitato da questo tipo di letteratura, essa, tuttavia, non riesce a dir nulla sulle determinanti del livello di reddito pro-capite di lungo periodo e, per esempio, non riesce a spiegare perché, pur crescendo all’incirca al medesimo tasso aggregato nel periodo 1960/1988, Stati Uniti, Honduras e Malawi continuino ad avere ampie differenze nei rispettivi livelli di reddito non spiegate da differenze nelle sole condizioni iniziali (Hall e Jones, 1997). Al riguardo, questi stessi due autori affermano (1997, p.174):
“…it is a fair conclusion that growth research has not provided workable explanations for the extreme diversity in output per worker across countries. If technology and capital can move across borders, the force of arbitrage will raise output per worker in poorer countries. An explanation of highly stable differences in output per worker must invoke highly persistent barriers to arbitrage”.
A differenza di Hall e Jones (1997), dove queste barriere attengono soprattutto alla qualità e al livello delle istituzioni (da loro denominate con il termine di infrastructure [3]), in questo lavoro ci concentriamo sulle differenze internazionali nel livello di capitale umano ed analizziamo sia sul piano teorico sia su quello empirico la capacità di questa variabile di spiegare le differenze internazionali nei livelli di reddito pro-capite di lungo periodo. Prima di passare ad illustrare il modello che poi sottoporremo a stima empirica riteniamo utile richiamare alcuni fatti stilizzati sull’evoluzione della distribuzione dei redditi su scala mondiale. Secondo le stime di alcuni storici economici (e, in particolare, Bairoch, 1993) nel 1990 il rapporto tra il reddito pro-capite nel paese più ricco e quello nel paese più povero era pari a 45.4 Nel 1870, lo stesso rapporto era pari a 9 (Maddison, 1983), mentre anteriormente alla Prima Rivoluzione Industriale il reddito procapite in Europa Occidentale era soltanto del 30% superiore a quello di paesi come Cina ed India. Pertanto, usando le parole di Kuznetz (1965, p.20):
“…before the nineteenth century and perhaps not much before it, some presently underdeveloped countries, notably China and parts of India, were believed by Europeans to be more highly developed than Europe, and at that earlier time their per-capita incomes may have been higher than the then per-capita incomes of the presently developed countries”.
In altri termini, il primo fatto sulla distribuzione mondiale dei redditi è che
“…the current wide disparities - between rich and poor countries - are recent”
(Kuznetz, 1966, p. 393). Il secondo fatto è evidente dai dati proposti da Jones (1997a, p.22): i paesi con reddito per lavoratore nel 1960 superiore al 15% del reddito per lavoratore negli Stati Uniti hanno generalmente manifestato un incremento nel loro reddito relativo (definito come il rapporto tra il reddito per lavoratore nel paese i-esimo e il reddito per lavoratore negli Stati Uniti) nel 1988. Al contrario, molti paesi con redditi per lavoratore inferiori al 15% del reddito per lavoratore negli Stati Uniti nel 1960 hanno sperimentato una riduzione del loro reddito relativo nel 1988. Secondo Jones (1997a, p. 22),
“…one way of interpreting these general movements is that there has been some convergence or “catch-up” at the top of the income distribution and some divergence at the bottom”.
Questa è una caratteristica della distribuzione mondiale del reddito pro-capite peraltro già documentata nel recente passato da Abramovitz (1986) e Baumol (1986) che al riguardo coniano il termine di club convergence.[5] L’ultimo fatto concernente la World Income Distribution che vogliamo sottolineare si riferisce alle forti differenze tra Paesi nei loro rispettivi redditi per lavoratore nonché all’elevata variabilità del reddito pro-capite di un paese nel tempo.[6] Nel periodo 1960-1988, paesi come Hong Kong, Singapore, Sud Corea, Taiwan e Giappone hanno notevolmente migliorato il valore del loro reddito per lavoratore rispetto a quello degli Stati Uniti (ad esempio, in Giappone, Singapore e Hong Kong il reddito relativo è passato da 0,2 nel 1960 a circa 0,6 nel 1988).
Al contempo, molti paesi dell’Africa Sub-Sahariana hanno registrato un evidente crollo dei rispettivi livelli di reddito relativo nello stesso periodo. In questo senso, un caso particolarmente negativo è quello del Venezuela: terzo paese più ricco al mondo nel 1960 (con un reddito pari all’84% del reddito USA), il Venezuela aveva un reddito per lavoratore pari al 55% di quello degli Stati Uniti nel 1988. Alla luce di questi fatti, in questo lavoro intendiamo studiare quei fattori responsabili di così evidenti differenze nei livelli di equilibrio del reddito pro-capite. A questo scopo, nella prima parte dell’articolo proponiamo un semplice modello teorico dove la crescita è indotta, in equilibrio, dalla decisione degli agenti privati di accumulare capitale umano. Nella seconda parte, invece, stimiamo empiricamente il modello proposto.
[1] Gli anni ’90 hanno segnato una vera e propria esplosione di lavori empirici sulla crescita. Senza ovviamente alcuna pretesa di esaustività, si vedano, tra gli altri, i lavori di Barro e Sala-i-Martin (1992, 1995), Knight et al. (1993), Barro e Lee (1994a), Islam (1995), Sachs e Warner (1995) e Caselli et al. (1996). Per una rassegna si veda Barro (1997).
[2] Si veda Barro (1997, cap.1) e Helliwell (1994).
[3] Più precisamente, secondo Hall e Jones: “The infrastructure of an economy is the collection of laws, institutions, and government policies that make up the economic environment” (1997, p.174).
[4] Nel 1988, invece, il rapporto tra il reddito pro-capite nel paese più ricco (USA) e quello nel paese più povero (Myanmar) era pari a 35 (Jones, 1997a, p. 21). 5 Questa dinamica divergente sarebbe all’origine dell’aumentata disuguaglianza nella distribuzione personale dei redditi su scala mondiale, dove l’indice di Gini sarebbe passato da 62.8 nel 1988 a 66.0 nel 1993: “In a nutshell, a description of inequality changes that have occurred in the world between 1988 and 1993: the poorest five percent have lost almost ¼ of their real income, the top quintile has gained 12 percent” (cfr. Milanovic 1999). 6 I dati provengono sempre da Jones (1997a).
Documento del Prof. Alberto Bucci e del Prof. Daniele Checchi
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