In questo lavoro abbiamo presentato un modello di crescita dove il livello dell’output viene
determinato grazie alla scelta di allocazione del tempo tra accumulazione di capitale umano ed attività direttamente produttiva. In questo modo il livello dell’output lungo il sentiero di crescita bilanciata dipende dal livello di capitale umano accumulato, oltre che dai parametri relativi ai fundamentals: crescita esogena della forza lavoro, quota di reddito dedicata al risparmio e quote distributive dipendenti dalla tecnologia. Successivamente questo modello è stato stimato in due data-sets, uno molto recente di tipo cross-sezionale ed uno longitudinale sull’arco di un quarantennio.
Entrambe le verifiche confermano il ruolo positivo esercitato dal capitale umano nella determinazione del livello dell’output pro-capite, mentre più discutibile è il ruolo esercitato dalla crescita della forza lavoro, approssimata con il tasso di crescita della popolazione (per via della nostra assunzione di piena occupazione). Trova infine conferma il ruolo positivo esercitato dalle quote distributive, nella misura in cui è possibile approssimarlo con la variazione degli investimenti in capitale fisico. Il modello stimato viene poi utilizzato per analizzare le condizioni per l’eventuale convergenza tra paesi (nel senso della σ-convergence) , fenomeno che non sembra manifestarsi in modo pronunciato nell’arco di tempo considerato (1960-95). Da questa analisi emerge che i divari di accumulazione del capitale umano tra paesi si sono sicuramente ridotti, ma ha operato in direzione opposta l’accumulazione del capitale fisico.
Tra le aree regionali che hanno sicuramente contribuito alla mancata convergenza emergono l’Africa settentrionale (incluso il Medio Oriente) e l’Asia orientale: la prima, con il 4.5% della popolazione mondiale raggiungeva nel 1995 il 4.2% della produzione mondiale, mentre la seconda con il 10.4% della popolazione conseguiva il 16.1% della produzione.24
La disuguaglianza su scala mondiale sembra quindi risentire principalmente della
dinamica dei paesi collocati nella fascia centrale della distribuzione dei redditi pro-capite, piuttosto che di quanto avviene agli estremi della stessa. Quando si vada a decomporre la disuguaglianza in due componenti, una relativa all’interno delle aree regionali (within-group inequality) e una relativa alla disuguaglianza tra aree regionali (between-group inequality, corrispondente alla disuguaglianza che si misurerebbe se tutti i paesi di un’area avessero un reddito pro-capite identico e pari al reddito medio dell’area), si osserva che la disuguaglianza interna alle aree è rimasta pressoché costante, mentre quella tra aree presenta il ciclo a cui si è fatto riferimento (si veda Figura 7).
Tenuto conto della generale tendenza alla convergenza dei livelli di acquisizione scolastica, sembra quindi di potersi affermare che la dinamica degli investimenti, ivi inclusi quelli provenienti da paesi terzi, rappresenta la forza trainante per l’eventuale convergenza o divergenza tra i livelli di benessere tra i diversi paesi.
[24] Nel 1960 il Nord Africa aveva una quota di popolazione equivalente (4.5%) ed una quota molto inferiore di produzione (2.6%), mentre l’Asia orientale aveva una quota di popolazione superiore (15.1%) con una quota di reddito nettamente inferiore (8.4%).
Documento del Prof. Alberto Bucci e del Prof. Daniele Checchi
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