Si tratta di un altro tipo di struttura evolutiva ed autoreplicantesi, ed è stata introdotta come idea per la prima volta da J. Holland a metà degli anni Settanta. Egli ha concepito tale struttura come un metodo per trovare ed ottimizzare gli algoritmi usati nel calcolo di alcune funzioni.
Per realizzare il suo scopo, Holland ha fatto riferimento al meccanismo della selezione naturale, applicato ad alcuni algoritmi definiti 'genitori', il cui patrimonio genetico 'digitale' è individuato da sequenze di bit. A tali algoritmi vengono applicati due processi evolutivi: la mutazione casuale di uno o più bit del patrimonio genetico, e il crossing-over, cioè la generazione di un algoritmo 'figlio' che possiede un patrimonio genetico formato da una parte di quello dei due algoritmi 'genitori'.
Successivamente, si scelgono tra gli algoritmi 'figli' quelli più idonei alla risoluzione del problema affidato loro, e questi vengono sottoposti ad un nuovo processo di mutazione, mentre gli algoritmi 'peggiori' vengono eliminati. Il processo va avanti finchè non si trovano gli algoritmi in grado di risolvere il problema.
E' interessante notare, in conclusione, che gli studi sugli algoritmi genetici vengono utilizzati anche in relazione a popolazioni di reti neurali che, come si è detto, possiedono capacità di autoapprendimento; in questo modo, sono state realizzate, ad esempio, delle 'formiche digitali' in grado di cercare cibo, lottare e abbattere i propri simili, evitare le sostanze velenose e pericolose.
Come si è visto, dunque, l'IA, e assieme a questa l'AL -intesa come suo completamento- ha tentato nel corso di questi anni di riprodurre l'intelligenza e il funzionamento della mente, facendo ricorso a diversi paradigmi di ricerca. In generale, attualmente, si è piuttosto scettici riguardo alle possibilità di successo degli studi di IA, perché sembra che non si possa più prescindere, nello studio della mente e dei suoi meccanismi, dal tentativo di comprendere e replicare anche gli aspetti qualitativi dell'esperienza soggettiva, ossia quel complesso di percezioni definito 'coscienza'.
Insomma, l'uomo e la sua intelligenza non consisterebbero solo della giusta velocità di elaborazione delle informazioni e di processi cognitivi spiegabili come manipolazione meccanica e razionale di simboli, ma anche di una serie di elementi, apparentemente irrazionali, che però hanno una loro valenza nella costituzione dell'individuo, e che sembrano derivare dal funzionamento del cervello al pari di altri processi di pensiero. Vediamo ora, in conclusione al presente lavoro, quali sono le tendenze verso cui si sta orientando l'IA e quali sono i suoi possibili sbocchi nel futuro, in relazione al problema - tornato in 'auge'- della coscienza e della necessità di riprodurre anch'essa artificialmente
Pubblicazione del prof. Matteo Fini e della prof. Paola Milani
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