E' noto, all'interno del dibattito contemporaneo legato all'Intelligenza Artificiale, il contenzioso tra Dennett e Searle, entrambi impegnati da anni in ricerche legate al funzionamento della mente. Le divergenze tra Searle e Dennett in questo settore rappresentano, tuttavia, come vedremo, l'esito più ovvio di una profonda frattura teorica, connessa alla questione di cosa significhi effettivamente 'avere una mente' [4]. Infatti, i due filosofi abbracciano delle concezioni di mente, intenzionalità, coscienza molto diverse l'una dall'altra, e soprattutto concepiscono in modo dissimile la natura dei cosiddetti "poteri causali" [5] del cervello: questo disaccordo di fondo non poteva che generare due visioni opposte sulle possibilità di successo dell'intelligenza artificiale.
Buona parte delle osservazioni di Dennett prende avvio dall'analisi del famoso "argomento della stanza cinese", addotto da Searle a sostegno della sua teoria dell'irriducibilità del mentale al fisico. Questo argomento, riportato nelle righe seguenti, è stato pubblicato nel 1980 sulle pagine di Behavioral and Brain Sciences:
"Immaginate che un uomo che non conosce il cinese sia chiuso a chiave in una stanza e abbia a disposizione una serie di ideogrammi e un programma per calcolatore in grado di rispondere a quesiti formulati in quella lingua. Gli input del sistema così costruito sarebbero costituiti da domande formulate in cinese, mentre gli output sarebbero risposte nella stessa lingua. Possiamo supporre che il programma a disposizione dell'uomo sia di tale qualità da far sì che le sue risposte siano indistinguibili da quelle che fornirebbe un parlante madrelingua. Ciò nonostante né la persona chiusa dentro la stanza, né alcuna parte del sistema comprende veramente il cinese; inoltre, visto che il calcolatore così programmato non ha alcuna proprietà addizionale rispetto al sistema nel suo complesso, esso stesso, in quanto calcolatore, non comprende affatto il cinese"[6].
Tramite questo esperimento mentale, Searle si proponeva di mostrare come la mente sia dotata di una semantica (quindi di un significato, di una comprensione) che un programma per calcolatore non potrà mai acquisire, in quanto dotato solo di sintassi, e di sottolineare quindi l'impossibilità di paragonare una mente umana al funzionamento di un calcolatore [7].
Vediamo ora quale critica avanzi Dennett contro l'argomento della stanza cinese di Searle e quali siano i punti chiave della sua analisi del rapporto mente-macchina.
[4] E' il punto cruciale della trattazione. In generale, per Searle, 'avere una mente' significa possedere una coscienza, ossia stati mentali non riducibili ai processi neurofisiologici del cervello (da cui tuttavia sono causati) perché dotati di soggettività ontologica: gli stati coscienti esistono, cioè, solo in quanto esperiti da un agente. E' il problema dei "qualia"(stati soggettivi dell'esperienza): secondo Searle, essi esistono e non possono essere ridotti a fenomeni oggettivamente quantificabili, come gli stati funzionali di un sistema fisico, o gli stati computazionali del cervello. Posizione, quest'ultima, assunta invece da Dennett, il quale nega completamente l'esistenza dei "qualia", e identifica la coscienza in "una serie di programmi per computer implementati nel cervello" (cfr. D. C. Dennett, Coscienza. Che cos'è, tr. it. Rizzoli, Milano 1992, cit. in E. Carli, Cervelli che parlano, B. Mondadori, Milano 1997, p.67). Il problema della coscienza, insomma, per Dennett riguarda solamente gli aspetti meccanici e tecnologici del cervello e della mente.
[5] I poteri causali del cervello, oggetto della disputa, consisterebbero nella capacità di quest'organo di originare gli stati mentali descritti precedentemente. Secondo Searle, il cervello "causa" la mente, nel senso che produce eventi mentali dotati di intenzionalità; il problema è che non è chiaro in che modo questo avvenga e in cosa consistano tali poteri. Per Dennett, invece, questo tipo di poteri causali non esiste, perché non esistono nemmeno stati interni misteriosi e ineffabili; gli unici poteri causali che esistono sono quelli che regolano le relazioni di input e output complesse e i comportamenti (verbali e non verbali) con cui si manifestano.
[6] John R. Searle, La riscoperta della mente, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1994, p.61.
[7] In breve, secondo Searle, la macchina è dotata solo di una sintassi, cioè esegue operazioni di calcolo su elementi specificati per via formale, mentre la mente umana possiede anche una semantica, ossia è in grado di comprendere quello che sta facendo. Anche la mente umana manipola simboli, e in questo può essere simile ad una macchina, ma in più è in grado di "produrre significati" per questi simboli, cosa che il calcolatore non può fare. Potrebbe riuscirci solo se fosse in grado di riprodurre i poteri causali del cervello, che, nella teoria searliana, causano gli stati mentali.
Pubblicazione del prof. Matteo Fini e della prof. Paola Milani
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