Riprendiamo schematicamente le conclusioni cui giungeva Searle al termine dell'esposizione del suo 'argomento della stanza cinese'. L'argomentazione searliana si articola in quattro premesse e quattro conclusioni:
-i cervelli causano le menti, nel senso che la produzione di stati mentali dotati di intenzionalità compete esclusivamente ai particolari poteri causali propri del cervello umano organico; -la sintassi non è sufficiente per la semantica; -i programmi da calcolatore sono interamente definiti attraverso la loro struttura formale, o sintattica; -le menti hanno contenuti mentali; in particolare hanno contenuti semantici;
-CONCLUSIONE 1 → nessun programma di calcolatore è di per sé sufficiente a dare una mente ad un sistema. In breve, i programmi non sono menti, e non sono di per sé sufficienti per avere una mente.
-CONCLUSIONE 2 → il modo in cui le funzioni del cervello causano la mente non può consistere nella semplice esecuzione di programmi da calcolatore;
-CONCLUSIONE 3 → qualsiasi altra cosa che fosse in grado di causare la mente dovrebbe avere poteri causali almeno equivalenti a quelli del cervello.
-CONCLUSIONE 4 → per qualsiasi artefatto che noi potessimo costruire che avesse stati mentali equivalenti agli stati mentali umani, l'implementazione di un programma da calcolatore sarebbe di per sé insufficiente. Piuttosto, l'artefatto dovrebbe avere poteri equivalenti ai poteri del cervello umano [8].
Quindi, l'idea che Searle difende è che di fatto nessun programma di un computer di per sé potrebbe mai essere sufficiente per produrre fenomeni mentali aventi un contenuto intenzionale. La posizione sostenuta da Dennett può sembrare apparentemente simile, ma in realtà si pone su un piano radicalmente diverso; egli cerca proprio di dimostrare che non c'è possibilità di equivoco, se si conferisce ad alcune nozioni il giusto significato. Dennett afferma che, allo stato attuale, "non c'è alcun modo in cui un computer digitale elettronico potrebbe esser programmato, così da essere in grado di produrre ciò che un cervello organico umano, con i suoi particolari poteri causali, può dimostrativamente produrre: il controllo dell'attività intenzionale rapida, intelligente, esibita da esseri umani normali" [9].
Come si vede, le due posizioni finiscono, ad una prima lettura, col sembrare in gran parte la stessa cosa. In realtà, come emergerà dopo un'analisi più approfondita, si tratta di due visioni nettamente distinte. Il punto cruciale delle due proposizioni si impernia su una differente concezione di "poteri causali". Searle considera l'esistenza di due livelli di poteri causali, quelli che presiedono alla produzione di stati mentali e quelli che originano (insieme con il resto del sistema nervoso) relazioni input-output. Queste ultime sono ciò che la macchina può imitare dell'uomo, e si manifestano nel comportamento verbale e non verbale dell'individuo. Il fatto, tuttavia, che esteriormente una macchina si comporti al pari di un essere umano non significa che possegga i medesimi stati intenzionali, proprio perché ad un programma mancherà sempre una semantica, ossia la capacità di produrre significati. La macchina, in qualche modo, non è 'consapevole' di essere quello che è o di quello che sta facendo (esattamente come l'individuo nella stanza non sa il cinese pur riuscendo a parlare in cinese), e questo perché l'unico tipo di causalità che essa può attuare è quella determinata da relazioni di causa-effetto, per cui ad un certo stimolo corrisponde una certa risposta.
I poteri causali hanno, per Dennett, invece, tutt'altro tipo di valenza. Egli critica Searle in merito alla sua teoria della causazione intenzionale [10] proprio per rimarcare una delle idee di fondo della sua visione: la distinzione avanzata da Searle tra poteri causali, in realtà, non ha senso di essere. La misteriosità del concetto di 'poteri causali', così come è proposta da Searle, ha spesso offerto il fianco alle critiche dei suoi avversari, in ragione del fatto che sembrava rappresentare il punto debole della teoria. Dennett è ancora più radicale rispetto ad altri critici: egli sostiene, infatti, che il livello della causazione intenzionale non esiste. I poteri causali ammessi da Dennett si riferiscono solamente ai poteri causali che occorrono per guidare attraverso il mondo reale un corpo capace di muoversi da un luogo all'altro. Quindi, per Dennett, se un corpo, un'entità si comporta in un modo tale da esibire una certa intelligenza, è sufficiente per dire che è dotato di una mente, al pari dell'uomo. Questa posizione ha fatto sì che Searle lo definisse un "comportamentista"; in realtà Dennett va oltre, in quanto non si limita a ridurre gli stati mentali a puri comportamenti osservabili, ma arriva ad asserire che non c'è nulla di rilevante oltre tali comportamenti. E' per questo che, quando l'IA sarà riuscita a comprendere appieno il funzionamento del cervello umano organico, cioè il modo in cui esso produce poteri causali che conducono il corpo attraverso l'esistenza, il sentire, il vedere, il parlare, ecc., e sarà in grado di riprodurlo, allora il risultato sarà necessariamente un'entità dotata di una mente (nell'unico senso in cui, secondo Dennett, si può avere una mente). Resta da capire come Dennett risolva il problema di quale sia l'elemento che caratterizza la mente umana e che determina quel controllo dell'attività intenzionale definibile come "intelligente".
Ne "L'atteggiamento intenzionale" [11], Dennett afferma che " la velocità fa parte dell' 'essenza' dell'intelligenza. Se non si possono calcolare le parti attinenti dell'ambiente in trasformazione abbastanza rapidamente per provvedere a se stessi, non si è praticamente intelligenti, per quanto complessi si sia". La struttura del cervello umano possiede un certo grado di velocità a trattare gli input e gli output come si presentano: è questa caratteristica che determina il comportamento del soggetto e che ne regola l'attività intenzionale intelligente. Quindi, la teoria di Dennett è che ciò che una macchina dovrebbe imitare del cervello per poter dire di essa che possiede una mente non è qualche misterioso e oscuro potere causale che ad un livello superiore produce stati mentali, bensì la giusta velocità d'elaborazione delle informazioni. Nelle parole di Dennett: "Consideriamo due diverse implementazioni dello stesso programma (.). In un certo senso, entrambe le implementazioni hanno le stesse capacità - entrambe 'computano la stessa funzione' - ma in virtù di nient'altro se non della sua velocità, una di esse avrà poteri causali di cui l'altra è priva(.)" e ancora: "(.) la velocità relativa è cruciale nel permettere che occorrano i tipi esatti di sequenze di interazione ambiente - organismo" [12].
Ancora non si conosce esattamente come funzioni il cervello [13], e questo, secondo Dennett, è l'unico vero impedimento che ci separa dalla realizzazione di una macchina pensante. Ciò che Dennett vuole sottolineare è che può essere vero che un computer digitale non potrà mai attivare il programma giusto abbastanza velocemente da riprodurre in tempo reale il funzionamento del cervello, cioè quei poteri causali attraverso cui esso produce il controllo della rapida, intelligente, attività intenzionale. Tuttora non si è ancora riusciti in questo intento e, anzi, nonostante i successi conseguiti si è lontani dall'obiettivo.
Tuttavia, secondo Dennett, questo argomento può anche essere falso: è assurdo scartare l'ipotesi che un giorno l'IA riesca a realizzare un programma del genere, perché in linea teorica non è impossibile. Questa è la vera scommessa dell'IA. I modelli finora approntati dagli studiosi di intelligenza artificiale mantengono per ora una loro valenza scientifica: essi sono utili nello studio dell'essenza della mente umana, e sono realizzati nell'ottica di una ultrasemplificazione, esattamente come i modelli utilizzati da altre branche della scienza [14].
I poteri causali specificati da Dennett avrebbero quindi il merito di essere scientificamente comprensibili; ma questo dipende dal fatto che egli non sente la necessità, in quanto non lo reputa un problema reale, di dover postulare o spiegare l'esistenza di alcuni stati interni che, a suo avviso, si risolvono semplicemente nella loro componente oggettiva (o 'in terza persona'), ossia nel comportamento osservabile. Non c'è altro, secondo Dennett, da spiegare se non tali comportamenti. Il punto cruciale per Searle, nella visione di Dennett, è in realtà il problema della coscienza: la coscienza introspettiva, ciò che si prova ad essere quel che si è, è il vero argomento di Searle. All'origine del dibattito tra Searle e Dennett vi è proprio una totale divergenza sul significato che rivestono i concetti di coscienza ed intenzionalità. Nel paragrafo successivo, si tenterà di mostrare quali siano queste discordanze, con lo scopo di sottolineare come due differenti teorie dell'intenzionalità e della mente abbiano condotto a due approcci radicalmente differenti nel campo dell'IA.
[8] Cfr. J. R. Searle, Mente, cervello, intelligenza, tr. it. Bompiani, Milano 1987, pp. 30-32.
[9] D. C. Dennett, L'atteggiamento intenzionale, tr. it. Il Mulino, Bologna 1992, pp. 432-433. Ricordiamo che per Dennett l'intenzionalità è una strategia che permette di prevedere e spiegare il comportamento di un sistema. In questo senso, non è una qualità intrinseca degli individui, ma solo un primo livello di spiegazione che viene presupposto e attribuito in una prima fase e che viene scomposto in sottofunzioni più semplici prive di intelligenza o intenzionalità. Per un ulteriore approfondimento della teoria dell'intenzionalità, si rimanda al paragrafo successivo.
[10] La "causazione intenzionale", per Searle, indica la connessione che vige tra la capacità di rappresentazione della mente e le relazioni causali con il mondo. Essa è essenziale per il funzionamento dell'intenzionalità e per la sopravvivenza dell'uomo nel mondo. Quindi, nella causazione intenzionale, lo stato intenzionale è causa dello stato di cose che esso rappresenta o lo stato di cose che esso rappresenta è causa dello stato intenzionale.
[11] D. C Dennett, L'atteggiamento intenzionale, cit., p. 435.
[12] Ivi, p. 443.
[13] Dennett afferma che il cervello, che è dotato di milioni di canali, tutti capaci di attività simultanea, dimostra di possedere un'architettura massivamente parallela. Pertanto, è sua convinzione che i poteri causali necessari per controllare l'attività intenzionale esibita da esseri umani normali, possono essere ottenuti soltanto in un processore massivamente parallelo (ivi, p. 436).
[14] Questa posizione non è osteggiata da Searle; in questo senso, cioè come aiuto per studiare il funzionamento della mente umana, egli riconosce i meriti dell'IA. E' il ramo dell'IA definito "IA debole".
Pubblicazione del prof. Matteo Fini e della prof. Paola Milani
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