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Sviluppi dell'Intelligenza Artificiale

Dall'intelligenza artificiale alla coscienza artificiale

Nel corso del presente lavoro, abbiamo visto quali siano i rapporti che intercorrono tra ciò che riguarda essenzialmente il mondo mentale-in particolare per quel che concerne intenzionalità e coscienza, concepite come caratteristiche intrinseche dei fenomeni psichici dell'essere umano- e il funzionalismo, soprattutto nel suo confluire nel campo di studi noto con il nome di 'Intelligenza Artificiale'. Lo scopo dell'argomentazione consisteva nel mostrare quali fossero le principali tendenze presenti nel panorama della filosofia della mente e nel portare a soffermarsi sugli spunti di riflessione offerti dall'intero dibattito.

Il desiderio di arrivare a costruire artificialmente un'entità che al pari dell'uomo possa pensare, e anche esperire sentimenti, emozioni e vissuti, è diventato nel corso degli anni quasi un'esigenza, e da sogno fantascientifico quale era agli inizi- come insegnano i molti film e gli innumerevoli libri che si sono sviluppati intorno a questo tema- ha cominciato a rappresentare un obiettivo di ricerca su cui si lavora moltissimo attualmente, forse oggi anche più di un tempo, in seguito ad alcuni successi conseguiti che hanno portato un vento di ottimismo nel settore.

Tuttavia, fino a pochi anni fa, l'interesse generale, al di là di alcune eccezioni, era concentrato sui tentativi di studiare e riprodurre quel complesso di attività mentali che rendono alcune specie -e naturalmente, nella sua massima espressione, l'uomo- 'intelligenti'; indubbiamente, affrontare la coscienza da un punto di vista ingegneristico per molto tempo non ha interessato particolarmente la comunità scientifica internazionale.

Per queste ragioni, la coscienza, come si è spesso sottolineato, è stata relegata ai margini degli studi effettuati in IA, oppure, è stata ridefinita nella direzione di poter trascurare quegli aspetti qualitativi e soggettivi dell'esperienza che, per loro natura, si sottraevano ad una spiegazione oggettiva e scientifica. Negli ultimi anni, però, la situazione si sta evolvendo verso orizzonti diversi: passata la prima ondata di entusiasmi per l'IA classica, si è notato che questa non era sufficiente per replicare un soggetto in tutti i suoi aspetti, e questo fallimento ha condotto sempre di più connessionisti e neuroscienziati verso la convinzione che fosse indispensabile conoscere esattamente i meccanismi di funzionamento del cervello per attuare una simile riproduzione.

Inoltre, si è gradualmente accettata l'idea che la coscienza, intesa non in senso morale o religioso, ma come capacità del cervello di determinare un soggetto unitario, in grado di fare esperienza di se stesso e del mondo circostante e produrre ragioni e scopi, valori soggettivi e sensazioni, non potesse più essere emarginata dai tentativi di comprendere l'essere umano, e soprattutto, fosse strettamente connessa al funzionamento cerebrale. L'idea della 'multirealizzabilità' propria del funzionalismo, e poi dell'IA classica, secondo cui le attività intenzionali e mentali di un soggetto possono essere riprodotte, in quanto risultanti da una manipolazione formale di simboli, come se sussistessero da sole, ovvero indipendentemente dal substrato materiale su cui venivano sviluppate, ha perso diversi consensi, proprio in ragione del fatto che appare evidente che l'individuo è ciò che è grazie all'interazione di elementi tra loro inscindibili.

Gli aspetti qualitativi dell'esperienza (i 'qualia') esistono e derivano strettamente dall'attività del cervello, e la questione sembra essere molto più complessa di come veniva posta dall'intelligenza artificiale; finchè non si conoscerà precisamente come funziona l'organo cerebrale, e quali meccanismi neurofisiologici sottostanno a determinati processi mentali (che possiamo tutti esperire nella nostra vita quotidiana), sono esigue le speranze di avvicinarsi all'obiettivo di creare un essere 'a nostra immagine e somiglianza'.

Le attuali tendenze sembrano perciò avvalorare le tesi di Searle, e riportare in 'auge' la coscienza e, con essa, l'intenzionalità, nella loro peculiarità ed unicità: in fondo, come la letteratura e la cinematografia fantascientifica hanno spesso mostrato, il vero desiderio dell'uomo sembra essere quello di arrivare a concepire un essere che abbia 'coscienza' più che 'intelligenza', in cui possa rispecchiarsi in quanto soggetto capace di provare dei sentimenti, inseguire obiettivi e prendere decisioni. Poiché si tratta di un settore in fieri, è incerta la collocazione temporale della nascita di una 'artificial consciousness', sul modello della sua stretta parente, l'intelligenza artificiale (che, ricordiamo, prendeva avvio in una conferenza tenuta a Darmouth nel 1956); tuttavia, un momento importante nella direzione di una riscoperta del valore della coscienza e dei suoi rapporti con l'intelligenza e con il cervello è rappresentato dal convegno di Tucson del 1994.

Questa data segna l'inizio di una serie di conferenze che, grazie all'intervento di neurobiologi e studiosi di scienze cognitive, si sono sempre più orientate verso una maggior attenzione ed un approfondimento sul tema della coscienza, e, oggi, le conclusioni cui si è giunti non possono più essere facilmente ignorate. Si ritiene anzi che il futuro dell'intelligenza artificiale si trovi nello sviluppo di una disciplina che, affinando una nuova teoria dell'intenzionalità e della coscienza, possa portare a replicare tutto quel complesso di vissuti che rendono tale l'essere umano. Nel 1982, in Giappone, veniva inaugurato il programma di ricerca FGCS [62], il cui obiettivo consisteva nello sviluppare le applicazioni di intelligenza artificiale; in seguito, nel 1987, al Convegno IJCAI di Milano l'oggetto del dibattito verteva proprio sugli interrogativi lasciati aperti dall'IA e sulle prospettive verso cui essa avrebbe dovuto rivolgersi.

Quello che emergeva con forza crescente era che le attività mentali non possono essere risolte esclusivamente in attività cognitive basate sull'elaborazione razionale e meccanica dei simboli; inoltre, veniva riconosciuta la stretta interrelazione tra coscienza ed intenzionalità: per questo all'inizio, gli sforzi erano protesi alla costruzione di un agente intenzionale [63]. Insomma, la coscienza non è più un mero problema filosofico o terminologico, ma è diventata un problema scientifico: come sostiene Searle, gli aspetti qualitativi dell'esperienza cosciente esistono; sono comprovabili empiricamente, certo, ma questo non toglie loro valore o consistenza. Non si può spiegare la mente senza fare riferimento alla coscienza, e quindi è fondamentale superare il materialismo di cui la filosofia della mente è intrisa, e che è sorto come reazione estrema al dualismo di tipo cartesiano, per giungere ad un equilibrio diverso nel concepire i fenomeni mentali. Questo è il prerequisito essenziale perché si possa pensare di realizzare un giorno un essere pensante e cosciente nel vero significato dei termini in questione. Rimangono ancora aperti parecchi interrogativi, oltre a quelli più prettamente 'tecnici', legati alla attuali carenze conoscitive sul funzionamento del cervello o ai metodi con cui riprodurli.

I quesiti che si aprono riguardano le possibilità di successo di un programma del genere; anche supponendo di aver costruito un essere dotato di coscienza al pari dell'uomo, rimane il problema di determinare se effettivamente esso esperisce il mondo e se stesso come un essere umano. Le differenze sono molte anche all'interno dello stesso genere umano; alcuni processi sono universalizzabili, ma il modo soggettivo in cui il prodotto di tali meccanismi viene percepito può essere molto diverso: associamo, per esempio, alcune espressioni linguistiche a determinate sensazioni, e questo permette di comprenderci, ma a livello personale non è detto che ciò che significa 'essere innamorati' o 'provare dolore' per un agente sia esattamente la medesima cosa per un altro agente.

Diventa perciò difficile immaginare di costruire un essere che, pur manifestando comportamenti e parole indistinguibili da quelli umani, 'senta' come sente un essere umano; per lo meno, non è semplice verificarlo, forse anche perché, appunto, non esistono criteri universali o oggettivi con cui questo avviene, ma solo delle approssimazioni che permettono la comunicazione e la comprensione reciproca. Bisognerebbe forse 'entrare' nelle altre menti, naturali o artificiali che siano, per coglierne certe sfumature e sapere davvero cosa provano di fronte ai medesimi stimoli; esse sono anche il frutto di uno sviluppo storico, sociale, educativo che impedisce una generalizzazione nel modo di percepire i vissuti e reagire alle situazioni presenti. Detto questo, forse bisognerebbe anche chiedersi quale funzione ha l'intero organismo in tutto questo.

E' chiaro, e da millenni il cervello è stato rivestito delle funzioni di 'comando' dell'intero corpo umano (già in Galeno [64] si ritrovano barlumi di questa concezione), che l'organo cerebrale possegga un ruolo prioritario nel funzionamento del corpo e delle sue funzioni: soprattutto permette agli stimoli fisici del mondo esterno di essere in qualche modo elaborati, unificati, percepiti, ricordati, vissuti, ecc.

Tuttavia, nel momento in cui le attività cerebrali svolgono correttamente i propri compiti, rimane il fatto che il corpo ha, a sua volta, un ruolo non trascurabile: esso, infatti, veicola, attraverso i sensi, una serie di elementi che incidono sulle esperienze soggettive ed interiori.

Per esempio, il 'provare dolore' è un concetto ampio che comprende diversi livelli di manifestazione, ma la possibilità di 'sentire male' è determinata probabilmente anche dal fatto di avere una certa fisicità, di possedere una certa struttura organica, quindi di essere fatti di carne, sangue, terminazioni nervose, collocate in un certo modo preciso piuttosto che in un altro. E' da lì che parte il meccanismo; il corpo è il tramite di ogni esperienza, anche quella che sembra essere più soggettiva, come il provare un sentimento apparentemente sconnesso dagli stimoli fisici diretti. Verrebbe quindi da domandarsi se sia sufficiente, nell'ottica di riprodurre un essere umano, replicare solo i meccanismi cerebrali o se, in una certa misura, non sarebbe necessario anche simulare la struttura ed il funzionamento biologico del resto del corpo.

Può essere che un ente costruito in altro modo possa 'provare dolore' se sottoposto a determinati stimoli, ma il fatto che sia composto da un materiale differente, seppur apparentemente analogo, porta a dubitare che possa trattarsi proprio di 'quel' dolore, o di qualcosa che possa definirsi dolore, nel senso in cui generalmente ne parliamo. Forse sarà possibile, in futuro, realizzare un essere molto vicino all'uomo, ma è al momento difficile credere che si possa concretizzare un essere artificiale indistinguibile da quello umano; sono ancora troppe le domande, i dubbi, gli ostacoli che ci allontanano da quell'obiettivo.

Per ora, il sogno di una creatura artificiale dotata di coscienza, sentimenti, volizioni al pari di un uomo rimane quello che è stata finora: un sogno, forse un po' meno evanescente, ma pur sempre un sogno.


[62] Fifth-Generation-Computer-Systems.

[63] Si vedano le prime realizzazioni di G. Edelman.

[64] Galeno, Claudio (129-200 ca), medico e filosofo greco.

Pubblicazione del prof. Matteo Fini e della prof. Paola Milani

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