La Efficient Market Hypothesis o "Ipotesi dei Mercati Efficienti", nella sua definizione più nota, afferma che il prezzo attuale di ogni titolo rispecchia completamente tutte le relative informazioni. Una formulazione alternativa è che il prezzo riassume in sé tutte le previsioni su quelli futuri e, come tale, sia la miglior stima del prezzo futuro, la stima con "minima varianza" ovverosia quella che presenta il margine di errore minimo. Le variazioni nei prezzi sarebbero dovute solo alle nuove informazioni disponibili.
In un mercato efficiente non sarebbe possibile "battere" il mercato stesso, vale a dire ottenere performance costantemente superiori a quelle medie di mercato, in quanto non solo tutte le informazioni disponibili sono già incorporate nei prezzi, ma anche perché l'alto numero dei partecipanti al mercato assicurerebbe che i prezzi si assestino su valori di equilibrio. Per tale motivo essi sono considerati razionali: conoscono, in senso collettivo, quali sono le informazioni importanti e quali lo sono di meno.
Quindi, dopo le opportune valutazioni la consapevolezza collettiva degli operatori sarebbe in grado di portali verso il giusto prezzo di equilibrio. Posta in questi termini, l'ipotesi dell'efficienza informativa non è sufficientemente precisa per essere verificata sperimentalmente o dimostrata teoricamente. Esiste, proprio a causa di ciò, un forte contrasto tra chi sostiene che i mercati siano efficienti dal punto di vista informativo e chi afferma, al contrario, che siano inefficienti, ossia che gli investitori nella formazione delle loro aspettative non utilizzano tutte le informazioni rilevanti. Un mercato si dice efficiente rispetto ad una determinata informazione se questa è già scontata dai prezzi correnti o, in altri termini, se un investitore non può trarre alcun profitto da operazioni basate su di essa. Il contrasto tra queste due posizioni è evidentemente condizionato anche da una diversa valutazione delle informazioni oltre che dalle diverse tipologie e dai relativi pesi dei partecipanti al mercato.
I sostenitori dell'inefficienza affermano che l'ipotesi dell'efficienza dei mercati è il maggior errore intellettuale della storia del pensiero economico e si chiedono quale informazione sia pervenuta al mercato tra le 9 di mattina e le 4 del pomeriggio del 19 ottobre 1987 da indurre investitori razionali a ridurre del 22 per cento la valutazione del valore a lungo termine dell’intera economia americana (G. Szego, 1995). I sostenitori dell’efficienza fanno invece presente che, se i mercati fossero inefficienti, investitori che utilizzino informazioni non usate da altri sarebbero in grado di ottenere profitti superiori a quelli di equilibrio.
Se un gruppo d’investitori fosse in grado di prevedere i prezzi dei titoli in modo sistematicamente più preciso rispetto agli altri, essi otterrebbero profitti crescenti, come pure crescente sarebbe la rilevanza dei loro investimenti e il relativo peso nella formazione dei prezzi di equilibrio. D'altro canto gli investitori con capacità previsiva peggiore della media avrebbero un peso decrescente nel mercato. Portando questo ragionamento alle sue estreme conseguenze risulta che il prezzo attuale, determinato dalla prima categoria di investitori, riflette le migliori informazioni sul futuro e costituisce quindi la migliore stima del prezzo futuro (P. Cootner, 1964).
Si noti che il processo descritto non può essere interrotto ma deve essere seguito tenendo conto che il profitto associato agli investimenti nelle previsioni tende a ridursi. L'efficienza del mercato produce quindi un disincentivo crescente a investire in ricerche previsive. Si può anche ipotizzare un processo ciclico di investimenti e disinvestimenti in previsioni con conseguente diverso peso finanziario dei partecipanti al mercato.
Giancarlo Fabbro
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