Aleggia sui mercati una strana situazione. Mentre dal fronte macroeconomico prosegue la serie di dati decisamente inferiori alle aspettative, che conferma ulteriormante il rallentamento della crescita economica americana per il trimestre in corso e probabilmente anche per il prossimo futuro, Greenspan, fedele a se stesso, se ne frega ed alza ancora i tassi di un altro quarto di punto, come aveva largamente anticipato. Tuttavia l'ottimismo mostrato a più riprese viene ora temperato dall'annuncio che la politica monetaria potrà anche mutare, se ce ne sarà bisogno. Non è ancora un'ammissione di errore, ma certamente un freno ai facili entusiasmi.
I mercati obbligazionari, a sua volta, se ne fregano dell'aumento dei tassi, avendolo già ampiamente scontato in precedenza ed il giorno dopo la manovra della Fed mettono a segno un balzo impressionante nelle quotazioni, il che corrisponde ad una limatura notevole nei rendimenti a lungo termine, tornati nuovamente intorno al 4%.
I prezzi delle materie prime, particolarmente metalli e petrolio, fregandosene delle avvisaglie di rallentamento della crescita, mettono il turbo e tornano ai massimi dell'anno, molto più attenti alla spinta proveniente dalla Cina che ai segnali di fiacchezza americana.
Dal canto loro le borse azionarie non sono da meno. Fregandosene del rialzo di Greenspan e dell'aumento dei prezzi delle materie prime che spingeranno in alto i costi per le imprese e ridurranno ulteriormente i margini di profitto di quest'anno, nonché dei segnali di rallentamento in atto, continuano a mostrarsi complessivamente ben intonate e concludono la settimana con un calo tutto sommato abbastanza modesto, che per ora dà l'impressione di essere più che altro generato da semplici prese di beneficio.
Il cambio euro-dollaro, strattonato dall'ottimismo di Greenspan ed i segnali negativi provenienti dal fronte dell'economia reale, non sa più che pesci pigliare ed oscilla molto nervosamente ormai da oltre 4 mesi tra 1,20 e 1,24, con un movimento a zig-zag incapace di prendere una direzione.
Infine l'oro. Il bene rifugio per eccellenza sembra aver perso da tempo la correlazione inversa con l'andamento del mercato azionario. Infatti, dopo il violento storno in aprile, da 430 $ a 380, da maggio ha costruito un sentiero di crescita che lo ha riportato in area 410 $, recuperando oltre metà della perdita e viaggiando negli ultimi tempi di pari passo con l'andamento del petrolio.
In questo gigantesco gioco delle parti, con tutte le relazioni intermarket saltate come birilli, chi ci capisce qualcosa è bravo.
Per non perdere la bussola direi che la miglior cosa è forse quella di giocare il medesimo gioco: fregarsene delle relazioni tra i mercati e rinunciare a dare una spiegazione logica alla concatenazione dei movimenti che si stanno stanno sviluppando.
Allora stiamo semplicemente a ciò che ci dicono i grafici.
E quel che ci dicono è che il trend rialzista delle materie prime e soprattuto del petrolio sembra ancora lontano dall'esaurimento, avendo quest'ultimo realizzato proprio venerdì un nuovo massimo storico.
Il mercato obbligazionario, rappresentato dai futures sul T-bond e sul Bund, sta effettuando un movimento rialzista impulsivo che l'ha avvicinato ai massimi di quest'anno. Questa è la resistenza. Se verrà superata lo scenario paventato da questi mercati tornerà ad essere quello di una recessione imminente e l'obiettivo diventerà il ritorno verso i massimi dello scorso anno quando si discuteva dello spettro della deflazione.
Le borse azionarie hanno tutte sviluppato un ampio recupero che le ha riportate a ridosso della trend line ribassista che unisce i massimi di quest'anno e che rappresenta un forte ostacolo alla prosecuzione del rialzo. Infatti appena arrivati in prossimità, sono subito scattate le prese di beneficio che hanno fatto arretrare gli indici. Il consolidamento, ipotizzato la scorsa settimana, prima del tentativo di attacco a queste resistenze sembra in effetti realizzarsi. La situazione è da seguire poiché se di consolidamento si tratta i mercati non dovranno scendere al di sotto di 1095 (livello valido per SP500, che è il perno attorno a a cui ruotano gli altri mercati). Violato questo supporto decadrebbe l'ipotesi di prosecuzione rialzista e diventerebbe probalile un ritorno verso i minimi di agosto.
La direzione dell'Euro-dollaro ci sarà data dalla fuoriuscita dalla fascia laterale di congestione. Al momento non possiamo ipotizzare da che parte avverrà il movimento. Ma ipotizzo che sarà di ampiezza almeno pari alla fascia di congestione, cioè 4 centesimi.
Per concludere con l'oro, il livello chiave è 415 $. Se superato con decisione la strada dovrebbe aprirsi per un ritorno all'attacco dei massimi dell'anno di 430. Altrimenti si potrebbe sviluppare un movimento laterale tra 395 e 415.
Non resta che vivere alla giornata.
FOCUS MACROECONOMICO
Pioggia di dati negativi la scorsa settimana. I dati comunicati sono stati pochi, ma abbastanza importanti. Tutti hanno evidenziato debolezza congiunturale e sono stati ampiamente inferiori alle attese degli esperti. In particolare il superindice ha registrato il terzo mese di calo consecutivo. Ciò depone a favore di un rallentamento della crescita USA anche nel prossimo trimestre, se le doti anticipatrici di questo indice funzioneranno anche questa volta. Anche il dato sugli ordini di beni durevoli è stato deludente, manifestando una certa cautela degli imprenditori ad investire.
Dal fronte societario provengono parecchi profit warning, che potranno addirittura infittirsi nelle prossime settimane se proseguirà l'imponente rialzo messo in atto in settimana da molte materie prime, tra cui in particolare il petrolio ed i metalli. L'aumento dei costi, dato che al momento non sembra ancora tradursi in rilevanti pressioni inflazionistiche, si traduce in una erosione dei margini di profitto delle imprese manifatturiere, che dovrebbero quindi trovare difficoltà a mantenere i loro obiettivi reddituali.
Dal lato monetario registriamo da parte della Federal Reserve l'avvenuto rialzo dei tassi, portati al livello di 1,75%, ampiamente scontato dai mercati, che hanno la mente rivolta ai prossimi mesi. Il tenore del comunicato che ha accompagnato la decisione, meno trionfalistico dei precedenti, lascia presumere che la Fed dovrebbe approfittare delle ormai imminenti elezioni americane per lasciare immutati i tassi fino a fine anno, potendo così verificare meglio la necessità di ulteriori rialzi futuri.
La settimana entrante ci porterà la stima definitiva del PIL Usa del 2° trimestre, che non dovrebbe discostarsi dalla precedente, e parecchi indici di Fiducia meritevoli di attenzione: due relativi ai consumatori (Conference Board e Michigan) e due sui direttori degli acquisti (PMI chicago e ISM manifatturiero).
Oltre a questi usciranno altri dati minori e probabilmente altri profit warning, che non vengono però messi in calendario.
Pierluigi Gerbino
Successivo: 04 Ottobre 2004
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