I mercati azionari proseguono ancora in moderato rialzo per concludere l’anno positivamente, più o meno come hanno fatto lo scorso anno. La situazione intermarket depone a favore dei mercati azionari, che possono sfruttare per un ulteriore allungo la discesa del prezzo del petrolio ed in genere delle materie prime, unita alla debolezza del dollaro.
Non c’è notizia in questo momento in grado di impensierire per più di due o tre giorni la salita del mercato azionario. Nemmeno le aspettative di un ulteriore rialzo dei tassi americani, che viene dato per certo questa sera al termine della riunione del FOMC della Federal Reserve, riescono a scalfire l’ottimismo che generalmente prende i mercati azionari in inverno. Negli ultimi 30 anni, infatti, sul mercato americano nei mesi di novembre, dicembre e gennaio i mercati sono saliti due volte su tre. Tutto sembra deporre nel senso di una continuazione della tradizione anche quest’anno.
Se vogliamo tentare di andare oltre alla semplice descrizione del movimento che stanno esprimendo i mercati possiamo allora cercare di porci due domande: dove e quando si fermeranno?
Pur con tutte le avvertenze del caso individuerei due possibili obiettivi del rally in corso.
L’obiettivo minimo è l’area intorno a quota 1250 dell’indice SP500, cioè grosso modo un 3-4% più in alto di quanto non sia ora tale indice. Questo livello deriva da molteplici indicazioni. Innazitutto rappresenta la proiezione dell’ampiezza del canale ribassista violato al rialzo all’inizio di novembre. Inoltre rappresenta la correzione del 61,8% del grande movimento ribassita scaturito nel triennio infernale tra i massimi assoluti di marzo 2000 ed i minimi dell’ottobre 2002. Siccome oltre tale livello comincerebbe a perdere validità l’ipotesi di un semplice anche se esteso rimbalzo all’interno di una negatività di lunga durata, è ipotizzabile che i ribassisti a quei livelli tornino a farsi pesantemente vivi, specialmente se i numerosi squilibri economici presenti nell’economia americani rimarranno intatti a minacciare la robustezza e la sostenibilità della ripresa in atto.
Un obiettivo un po’ più ottimistico potrebbe essere l’estensione del rialzo fino all’area 1320, che rappresenta il massimo della primavera del 2001, quando il mercato tentò di illudersi che la recessione non ci sarebbe stata e tentò un vano rimbalzo verso i massimi assoluti, prima di rassegnarsi allo scoppio della bolla speculativa reso eclatante dai fatti del settembre successivo.
Tra le due ipotesi prediligo la prima, poiché il mercato non ha effettuato una correzione rilevante nella prima parte di quest’anno e pertanto non si è depurato a sufficienza degli eccessi accumulatisi con il lungo “rally dei marines” dal marzo 2003 al marzo 2004.
Se la correzione durata i sei mesi centrali di quest’anno si fosse espressa in modo un po’ più marcato ed avesse corretto almeno il 38,2% del suddetto rally dei marines, le possibilità di superare l’area 1250 con la presente gamba rialzista sarebbero state superiori. Ma ciò non è avvenuto, per cui propendo maggiormente per l’ipotesi che vede i mercati ormai abbastanzavicini al top.
In termini temporali il top potrebbe essere raggiunto entro il primo trimestre 2005, per poi intraprendere una fase ribassista di portata considerevole, in grado di correggere questa volta in modo significativo tutto il rialzo di questi ultimi due anni.
Sulla primavera 2005 convergono diverse ipotesi. Innazitutto la stagionalità della parte centrale dell’anno è generalmente negativa. Inoltre la luna di miele con Bush, tuttora in atto, è da presumere che lascerà il posto alla constatazione che nel secondo mandato il Presidente non avrà certo più bisogno di stimolare a tutti i costi l’economia per farsi rieleggere, dato che non potrà presentarsi più alle elezioni. Le statistiche americane evidenziano che generalmente il secondo anno del secondo mandato presidenziale il ciclo economico vira verso la recessione. I Presidenti, infatti, per farsi rieleggere somministrano ogni sorta di stimoli all’economia. Una volta ottenuto lo scopo i cordoni della borsa devono necessariamente restringersi, col risultato di far mancare al sistema la benzina necessaria a proseguire nell’espansione. Bush non ha certo fatto eccezione a questa regola. Anzi, ha ricalcato alla perfezione tale copione. Pertanto c’è da attendersi che si avveri anche la seconda parte della regola.
Inoltre al ciclo eletorale si aggiunge anche il ciclo della politica monetaria. Tradizionalmente quando le autorità monetarie annunciano una stretta creditizia, il ciclo economico inverte e diventa recessivo dopo circa 1-2 anni. Grenspan ha iniziato la politica di rialzo dei tassi nel giugno scorso, per cui si può ipotizzare che in primavera i mercati dovranno cominciare a scontare l’ipotesi di fine del ciclo economico positivo.
Aggiungiamo infine che il forte balzo dei prezzi dell’energia, che si è realizzato nel 2004, dovrebbe essere prossimo al manifestare i suoi effetti inflazionistici, che finora non si sono ancora visti. Anche questo fattore dovrebbe favorire la discesa dalle nuvole da parte dei mercati.
FOCUS MACROECONOMICO
Gli ultimi giorni hanno portato notizie macroeconomiche piuttosto contrastanti, come capita ormai da qualche mese. Se gli indici di fiducia dei consumatori ed il dato di ieri sulle vendite al dettaglio americane di novembre sono stati superiori alle attese, dobbiamo anche rilevare il decisamente elevato indice dei prezzi alla produzione. Venerdì scorso negli USA è infatti stato misurato un PPI di novembre in rialzo mensile dello 0,5% e di oltre il 5% su base annua. Il dato riflette l’acuirsi delle pressioni inflazionistiche americane, che si teme, prima o poi, si scaricheranno anche sui prezzi al consumo. Risulta ora perciò ancora più semplice la previsione di un ulteriore rialzo dei tassi di un quarto di punto che la maggioranza degli esperti americani pensa uscirà dalla riunione periodica del FOMC della Federal Reserve americana che si terrà martedì 14 dicembre.
Martedì il responso sui tassi sarà preceduto dalla Bilancia Commerciale e dalla Produzione Industriale USA, che sono dati piuttosto importanti. L’altro giorno caldo della settimana è venerdì 17 (i superstiziosi tengano ferme le mani), quando arriveranno le stime mensili dell’inflazione americana, misurata dall’indice dei prezzi al consumo. Finora tale indicatore ha sempre sorpreso per la moderazione della sua crescita. Si tratta adesso di verificare se le pressioni sui prezzi alla produzione verranno ancora assorbite dagli sconti natalizi oppure se i commercianti americani sono giunti al limite della compressione dei margini e si trovano costretti a scaricare sui prezzi gli aumenti dei costi, soprattutto energetici.
Pierluigi Gerbino
Sommario: Indice