Alla ripresa dopo la pausa natalizia, cerchiamo di fare il punto della situazione sui mercati finanziari.
Fino all'ultimo giorno dell'anno vecchio i mercati azionari hanno pervicacemente recitato il solito copione: salire piano, ma salire. La volatilità si è contratta fino al punto di annullarsi quasi, mentre le quotazioni si arrampicavano pian piano verso gli obiettivi finali del movimento rialzista, che avevo indicato nelle settimane precedenti: 1250 per SP500, 2320 per Nasdaq, 4480 per Dax e area 24200 per il nostro Mibtel. Soprattutto non mostravano nessun segnale di cedimento, nonostante la presenza di forti eccessi (sul nostro indice Mibtel si sono visti valori dell'oscillatore RSI che in precedenza si erano registrati soltanto a dicembre 1999, in piena bolla speculativa) o di divergenze ribassiste in formazione (su tutti i principali altri indici: SP500, Nasdaq, Dax, Eurostoxx50). L'idilliaco quadretto sembrava completarsi con la debolezza del dollaro, che in questi mesi ha sempre favorito il mercato azionario americano (e di conseguenza anche quello degli altri paesi) ed il calo del prezzo del petrolio, tornato in prossimità dei 40 dollari al barile, ben distante dal record di ottobre a 55 dollari.
Si sono udite le grida di giubilo dei gestori dei fondi, per il secondo anno consecutivo in performance positiva, mentre i guru esultavano per aver in maggioranza azzeccato la previsione di crescita moderata dell'indice SP500 compresa tra il 5 ed il 10%. Erano parecchi anni che la maggioranza degli esperti non azzeccava le previsioni. Costoro puntualmente prevedono ogni anno una crescita moderata della borsa compresa tra il 5 ed il 10%. Erano diversi anni che ciò non accadeva ma è finalmente successo.
Quando tutto sembrava andare per il verso giusto, con l'inizio dell'anno nuovo è bastato un rimbalzo del dollaro e del petrolio, accompagnato a qualche timore della Federal Reserve sul riacutizzarsi dell'inflazione per far completamente voltare pagina a partire dalla prima seduta del 2005. Gli indici americani hanno innestato la retromarcia e messo in atto l'inizio di quella correzione a lungo rimandata, perdendo la prima settimana dell'anno chi il 2% (SP500) chi oltre il 4% (Nasdaq).
La cosa sorprendente è stata l'assoluta noncuranza dei mercati europei allo storno americano. La solida relazione che lega le sorti europee all'andamento di Wall Street è sembrata tramontare improvvisamente.
L'america scendeva ma le Borse Euro ritoccavano i massimi ogni giorno. Tutto ciò fino a ieri.
Oggi le vecchie regole del gioco sono tornate a prevalere. L'incapacità di rimbalzare prontamente dai supporti ha innescato una prima ondata di prese di beneficio in Europa ed anche sulla nostra Borsa, che ha perso oltre l'1%, come non si vedeva dal 6 agosto scorso.
L'inizio d'anno alquanto incerto getta ora un'ombra scura sulle certezze rialziste dell'industria del risparmio gestito e di quella che io chiamo "la Finanza con la F maiuscola". Sui settimanali specializzati, che a fine anno si prodigano a fare l'oroscopo ai mercati intervistando Guru e Gestori, non ho letto nessuna previsione di calo per il 2005. Come al solito la previsione più gettonata è stata quella di una ripetizione dei risultati del 2004, con qualche temerario ad ipotizzare un rialzo leggermente più blando o uno strappo consistente verso i massimi.
Se andasse come prevede la maggioranza sarebbe un record storico, poiché non è mai capitato che la maggioranza abbia azzeccato per due anni consecutivi.
Ad annebbiare le carte ci si mettono poi le statistiche varie, tanto amate e seguite dagli americani.
Su questo tema c'è divergenza più totale. Infatti da un lato c'è chi fa notare che nel 2005 cade l'inizio del secondo mandato presidenziale americano, che non ha quasi mai portato bene alle borse. Inoltre non manca chi fa notare che sembra esserci una relazione diretta tra il modo in cui si comincia l'anno borsistico ed il risultato finale. C'è chi nota che molto spesso l'anno termina nella stessa direzione intrapresa dalla prima settimana di gennaio. Altri hanno fatto notare che l'andamento del primo mese prefigura quasi sempre l'andamento dell'anno intero. Allora, se il buon giorno si vede dal mattino, diciamo che la mattinata dell'anno borsistico non è iniziata proprio col piede giusto. La prima settimana è stata negativa e se il mese di gennaio dovrà chiudere positivamente sarà il caso che le borse non tardino troppo a riprendersi dallo scrollone subito in questi giorni.
Per fortuna c'è anche chi ha fatto notare una statistica tra le più bizzarre, vale a dire "la legge del 5". Sembra che da oltre un secolo gli anni contraddistinti dal numero finale 5 si sono chiusi con un rialzo di borsa e quello appena iniziato è il 2005.
Insomma, comunque vada ci sarà qualcuno che potrà dire: "Visto? L'avevo detto. Le statistiche non mentono mai".
Basta trovare la statistica giusta.
FOCUS MACROECONOMICO
Le settimane attorno alle festività natalizie non hanno portato grossi sconvolgimenti in materia di dati macroeconomici, consentendo alle Borse di traghettarsi nel nuovo anno con una certa tranquillità. I primi dati del 2005 sono stati sotanzialmente positivi. Entrambi gli indici ISM americani, che misurano il sentiment dei direttori degli acquisti, sono cresciuti ed in misura superiore alle previsioni degli analisti. Il dato di venerdì scorso sulla creazione di posti di lavoro in USA a dicembre (157.000 nuovi occupati) è stato solo leggermente inferiore alle stime attese, ma ha rivelato un sufficiente dinamismo dell'economia americana, senza instillare il dubbio di pressioni inflazionistiche da costo del lavoro. La previsione sui futuri movimenti dei tassi americani sembra perciò orientarsi nuovamente verso una moderata crescita senza strappi. La maggior parte degli esperti è orientata a prevedere un altro ritocco di 0,25% al rialzo entro febbraio-marzo, che porterebbe così il livello dei tassi sui Federal Fusnds al 2,50%. Sarebbero poi ancora due i rialzi successivi fino a raggiungere il 3% entro fine anno. La crescita economica americana è prevista invece in moderato rallentamento rispetto al 2004 e dovrebbe attestarsi secondo gli esperti intorno al 3,5%, che è un livello inferiore al 4% dello scorso anno, ma pur sempre di tutto rispetto.
Un panorama roseo quindi, che è riuscito addirittura a femare la discesa del dollaro, che in pochi giorni ha recuperato ben 6 punti sull'euro, passando dal record negativo di 1,366 ad una più lusinghiera quotazione di 1,305 venerdì scorso. Meno favorevole invece l'andamento del prezzo del petrolio, che pur rimanendo ben al di sotto del record di 55,50 $ dello scorso ottobre, ha mostrato una notevole tenuta e per l'ennesima volta ha mancato lo sfondamento di quota 40, rimbalzando nuovamente oltre i 45 $.
La seconda settimana di gennaio presenta alcuni importanti dati macroeconomici. Ne segnalo soprattutto alcuni provenienti dall'America, come la bilancia commerciale, che uscirà mercoledì, molto significativa per i riflessi sul dollaro; le vendite al dettaglio dopo la campagna natalizia, che uscira giovedì. Venerdì i prezzi alla Produzione forniranno indicazioni sull'evoluzione futura dell'inflazione.
Da evidenziare anche l'inizio della stagione delle trimestrali, con le comunicazioni relative all'ultimo trimestre 2004 di alcune importanti società.
Pierluigi Gerbino
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