L'Italia intera è condizionata dal tormentone che il mitico molleggiato ha introdotto da tre settimane. Non si può evitare di tagliare a fette ogni aspetto della vita e classificarlo in uno dei due scomparti che questo "manicheismo relativista" ci ha confezionato. Persone, cose e fatti vengono catalogati: lento oppure rock. Il bello è che il molleggiato si è guardato bene dal definire che cosa si debba intendere per "lento" o "rock". Così ciascuno può riempire come vuole il contenitore.
Allora partecipiamo al gioco, ovviamente nell'ambito che ci è più consono, relativo ai mercati finanziari.
Gli ultimi giorni ci consegnano uno scenario che vede i mercati obbligazionari irrimediabilmente "lenti". Gli ultimi dati macroeconomici provenienti dagli USA ci hanno delineato un quadro piuttosto robusto della congiuntura americana. A parte il dato sul PIL di fine ottobre, molti altri indicatori sono apparsi ultimamente migliori delle attese degli esperti, dando così ragione alla lettura della Federal Reserve, che in questi mesi ha sempre sottolineato la solidità della congiuntura economica americana.
Se aggiungiamo poi le pressioni inflattive, che si sono ultimamente manifestate in modo piuttosto esuberante, e che forniscono l'unica fonte di preoccupazione, almeno nel breve termine, per la Federal Reserve, otteniamo il cocktail che ha spinto al ribasso le quotazioni sull'obbligazionario, in coincidenza con il rialzo dei tassi di mercato anche sulle scadenze medio-lunghe, che solo due mesi fa sembravano avviati verso gli stessi livelli delle scadenze brevi.
Anche in Europa, benchè non si pongano problemi di eccessiva crescita economica, il timore di fiammate inflazionistiche ha spinto Trichet a dichiarare che la BCE segue attentamente la situazione pronta ad ogni evenienza. Ciò significa, nella traduzione più accreditata, che a dicembre o al più a gennaio anche in Europa avremo l'avvio della stretta creditizia con il primo segnale di rialzo dei tassi a breve, fermi da oltre 2 anni al 2%.
Che il mercato stia ormai scontando questa eventualità lo si coglie anche dall'azione dei prezzi che quotidianamente si può osservare sul contratto future relativo al titolo di stato tedesco, il bund.
Lo sfondamento dell'importante livello di 121 ed il raggiungimento di 119,50 non ha soltanto posto fine al trend rialzista di lungo periodo innescando una correzione di medio termine, ma ha modificato il comportamento delle forze di mercato. Il Bund tende a rimanere a lungo schiacciato sui supporti, con reazioni estemporanee e di pochi centesimi. I volumi sono rilevanti sui ribassi e moderati sui rimbalzi. Segno che il mercato in questo momento è in mano ai venditori.
Proprio i buoni dati macro hanno invece consentito alle borse azionarie di mettere a segno un buon rimbalzo dai minimi di ottobre, che le candida diventare potenzialmente piuttosto "rock".
E' vero che se la politica monetaria diventerà restrittiva un po' dappertutto, come si teme, le borse avranno poche possibilità di dare molto pascolo al toro. Tuttavia la constatazione di una certa saldezza economica della locomotiva americana, unita alla presentazione di trimestrali tutto sommato buone da parte delle società anche nel terzo trimestre, rende maggiormente sostenibile la tenuta delle borse o addirittura una moderata crescita anche in un periodo improntato alla ripresa dell'inflazione. Non dimentichiamo che per le azioni anche le prospettive di utile rivestono una certa importanza, oltre alle condizioni monetarie.
Il tutto però a patto che la ripresa dei prezzi si mantenga graduale e non imponga alle autorità monetarie brusche accelerazioni nel ritmo di aumento dei tassi.
Per ora le borse sembrano accreditare l'ipotesi, avendo messo a segno un corposo rimbalzo dai minimi di ottobre, sostenute anche dai vistosi segni di rallentamento che provengono dai prezzi del petrolio, che tenta da qualche giorno di portarsi al di sotto dei 60 dollari al barile.
L'indice giapponese Nikkey è senza dubbio quello maggiormente rock, poiché in questi giorni ha messo a segno addirittura nuovi massimi annuali. Gli indici americani Nasdaq e SP550 suonano anch'essi melodie abbastanza vivaci, poichè hanno già ritracciato oltre i due terzi del calo dai massimi dell'anno e sembrano in grado di trasformare il calo in un movimento sostanzialmente laterale. Decisamente meno tonico è il nostro Mibtel, che sta cercando le forze per oltrepassare il 50% del ritracciamento della pesante flessione subita nel mese scorso, cosa che, se riuscisse, lo riporterebbe oltre 25.700 ed al di sopra della trend line che identificava il movimento positivo di lungo termine, abbandonata frettolosamente con il calo del 19 ottobre.
FOCUS MACROECONOMICO
La scorsa settimana abbiamo assistito a dati macroeconomici sostanzialmente positivi, che hanno spinto ad una prova d'orgoglio del settore azionario, riuscito a mettere a segno un cospicuo rimbalzo, mentre l'obbligazionario ha proseguito nella sua lenta erosione delle quotazioni, conseguenza della presa d'atto che ormai i tassi sono destinati a salire, e non soltanto in America.
Tutti gli indici di sentiment dei managers americani (PMI e ISM) hanno presentato rilevazioni decisamente superiori alle stime. Ottimo è stato anche il dato sulla produttività del 3° trimestre, misurata in crescita di oltre il 4%, quasi il doppio del previsto, che ha rafforzato la speranza nella tenuta degli utili societari.
L'unico dato sostanzialmente debole è stato quello di venerdì scorso sulla creazione di posti di lavoro, al di sotto delle attese. E' ormai il terzo mese che la misurazione dei nuovi occupati si ferma su cifre decisamente inferiori alla media di quest'anno e ciò manifesta qualche ombra sulla sostenibilità della crescita economica ai ritmi del passato.
I mercati azionari hanno comunque tratto da questi dati conferme sulla robustezza dell'economia americana, che ha fugato buona parte delle paure di ottobre, dovute anche ai timori sugli effetti di Katrina, rivelatisi poi abbastanza limitati.
La solidità dell'economia, unita alle recenti pressioni inflazionistiche dal lato dei costi non ha invece giovato al mercato obbligazionario, che ormai, dopo il rialzo dei tassi al 4% effettuato il giorno dei Santi, sconta ancora un paio di rialzi da parte di Greenspan fino al 4,5%, prima di fare le valigie il 31 gennaio e lasciare le redini a zio Ben Bernanke.
Ad agitare le acque dei bonds ci ha pensato anche, in Europa, mr. Trichet, che con discorsi abbastanza espliciti sta preparando il mercato ad un imminente rialzo anche da parte della BCE.
La seconda settimana di novembre è piuttosto scarna di dati macro e sarà animata soprattutto dalle ultime trimestrali societarie ancora da pubblicare. Segnalo soltanto come deglo di nota l'appuntamento di giovedì 10, quando arriveranno i dati dei deficit gemelli americani (Bilancia Commerciale e Bilancio Pubblico) oltre al sempre seguito sondaggio sulla fiducia dei consumatori a cura dell'Università del Michigan.
Pierluigi Gerbino
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