La settimana scorsa è stata piuttosto scoppiettante sui mercati finanziari.
A mettere il peperoncino nella minestra delle borse ci ha pensato il solito Greenspan, che per l'ennesima volta, come una balia attenta che il pupo non prenda troppo freddo, ha messo un pannicello caldo sui dubbi che da mesi arrovellano gli operatori finanziari di tutto il mondo.
Che cosa ha detto di tanto sorprendente da far impennare venerdì scorso i grafici dei mercati?
Esattamente il contrrario di quel che aveva sostenuto un paio di mesi fa.
A novembre, se non vado errato, si era spinto a sentenziare che i nodi dei deficit gemelli prima o poi sarebbero venuti al pettine e che non era affatto scontato che il mondo avrebbe continuato a finanziare l'economia americana che non è in grado di risparmiare.
Venerdì scorso, a margine della riunione del G7, ha fatto un clamoroso dietro front con un paio di profezie che sembrano messe lì apposta per rassicurare i mercati.
Secondo la prima il deficit della bilancia commerciale non è preoccupante perché il dollaro basso nel lungo periodo contribuirà a farorire l'export e ridurre l'import (specialmente quello proveniente dall'Europa), riequilibrando la bilancia commerciale. A questo fattore si aggiunge a suo parere anche il fatto che la maggior crescita della produttività americana continuerà ad attrarre in USA capitali in cerca di rendimenti, riducendo la necessità di alzare i tassi per favorire l'afflusso di capitali stranieri.
D'altra parte neppure il deficit federale deve preoccupare più di tanto poiché Bush ha manifestato l'intenzione di dimezzare il deficit federale entro il 2009.
Si tratta di affermazioni al limite dell'equilibrismo verbale.
Infatti se il calo del dollaro avesse tali effetti taumaturgici sulla bilancia commerciale, essi si sarebbero già dovuti manifestare, poiché sono due anni che il dollaro si svaluta nei confronti dell'euro e dello yen. Eppure in questi due anni i saldi negativi della bialncia commerciale americana sono passati da una media di 40 miliardi di dollari del 2002-2003 ai quasi 60 miliardi degli ultimi mesi. Inoltre la produttività americana, come hanno rivelato le statistiche dela settimana scorsa, è cresciuta nel 2004 ad un ritmo sensibilmente inferiore a quello degli anni scorsi.
Sulla credibilità della professione di morigeratezza finanziaria di Bush, soprannominato da parecchi commentatori americani "mani bucate", è lecito inoltre più di un dubbio, dopo le dichiarazione che dall'Iraq non è previsto un disimpegno a breve, ma anzi si sta studiando come ridurre a miti consigli anche l'Iran.
Comunque sia e indipendentemente dalla fondatezza delle affermazioni di Greenspan, in netto contrasto con buona parte dei suoi colleghi banchieri centrali, che continuano ad avere parecchie preoccupazioni sulla capacità americana di rientrare dai deficit gemelli, le parole di Greenspan hanno suonato come dolce melodia per le orecchie dei mercati, che vi hanno trovato un sestegno ai movimenti direzionali che in quei giorni stavano autonomamente intraprendendo.
Pertanto i mercati azionari europei sono balzati su nuovi massimi relativi, riprendendo il movimento rialzista che li potrebbe portare verso gli obiettivi primaverili, situabili rispettivamente in area
Gli indici americani, pur rimanendo al di sotto dei massimi di inizio anno, sembrano anch'essi voler intraprendere un rally con destinazione 1250-1280 per SP500 e
Il dollaro ha anch'esso approfittato della fiducia di Greenspan per confermare il segnale di ripresa dato dalla rottura di area 1,29 nel rapporto con l'euro ed appare intenzionato a raggiungere zona 1,25-1,26.
Persino il comparto obbligazionario è sembrato rassicurato dalle parole del timoniere ed ha raggiunto quotazioni che in Europa hanno toccato i massimi assoluti mentre in USA sono molto vicine ai massimi, scontando così tassi a medio-lungo termine ancora bassi per molto tempo. Tale andamento contrasta in modo netto con la recente progressiva salita dei tassi ufficiali americani a breve, al ritmo di un quarto di punto al mese.
Tutto bene dunque? Sembra di sì, almeno per ora. Se lo dice Greenspan..
FOCUS MACROECONOMICO
Le Borse hanno chiuso una settimana all'insegna dell'euforia, infischiandosene dei dati macroeconomici piuttosto zoppicanti.
Si è verificato quel che a volte capita quando parla Greenspan: le parole dell'oracolo valgono più di mille fatti. Venerdì scorso è infatti bastato che le dichiarazioni ottimistiche di Greenspan sui deficit americani, rilasciate a margine della riunione del G7 di Londra, piombassero sui mercati insieme ai dati sull'occupazione e sulla fiducia dei consumatori, entrambi inferiori alle attese, per indurre le borse ad ignorarli e chiudere in bellezza la settimana. Che gli operatori abbiano deciso di credere a Greenspan lo si è visto non solo sui mercati azionari, ma anche nel rialzo delle quotazioni dei bond, che vedono meno impellente il bisogno di alzare i tassi, e nella vitalità del dollaro, che impone all'euro la rottura del livello di 1,29 nel rapporto di cambio.
Eppure la settimana macroeconomica è stata meno brillante di altre, che avevano pur visto flettere i mercati. Segno che spesso più dei dati conta il sentiment degli operatori, che il giorno prima non hanno dato particolare risalto neanche al basso livello di aumento della produttività nel 4° trimestre 2004, quando per la prima volta l'aumento del costo del lavoro ha superato l'aumento della produttività. Il segnale non è di quelli buoni per la competitività delle imprese USA. Sono stati sostanzialmente ignorati anche i dati inferiori alle attese dei due indici ISM, sia il manifatturiero che quello dei servizi.
La seconda settimana di febbraio si presenta con una certa scarsità di dati macroeconomici. Gli unici degni di nota sono le rilevazioni dei deficit gemelli americani (federale e bilancia commerciale) che avverranno giovedì.
Tra le comunicazioni societarie va prestata attenzione a Cisco, sempre in grado di muovere il mercato.
Pierluigi Gerbino
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