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Report finanziario "CLASSIC" 06 Dicembre 2005

TUTTI ADDOSSO ALLA BCE

I mercati si avviano gradatamente verso un tranquillo rally di fine anno. Tutto procede a meraviglia e, se ignoriamo qualche incongruenza, sembra di vivere nel migliore dei mondi possibile.

Gli ultimi dati macroeconomici ci hanno testimoniato come l'America procede nella crescita come un treno e sembra aver completamente snobbato anche gli uragani.

Ricordiamo che gli economisti solo un mese fa si affannavano a stimare gli effetti di Katrina sul PIL.

Ora scopriamo che persino nel mese degli uragani la locomotiva Usa è riuscita a creare occupazione, e dopo un solo mese è tornata a sfornare più di 200.000 nuovi posti di lavoro al mese. La forza dell'economia Usa è ben rappresentata dal tasso di crescita del PIL, che per il terzo trimestre, quello degli uragani, è stato stimato ad uno stellare +4,3%. Alla faccia del rallentamento previsto.

A mettere nuovo carburante nel motore dei mercati sembra in questi giorni essere la convinzione che tutto sommato le spinte inflazionistiche dovrebbero attenuarsi nei prossimi mesi, grazie al petrolio che sembra stabilizzarsi (fino al prossimo evento imprevisto) al di sotto dei 60 dollari al barile ed al notevole incremento della produttività, che ha consentito nel terzo trimestre di ridurre addirittura il costo del lavoro per unità di prodotto. Questo indicatore è assai importante poiché siccome le spinte inflattive si traducono in pressioni salariali, l'aumento di produttività consente alle imprese di non vedere erosi i loro margini e rende meno impellente il ritocco dei listini.

Cominciano ad essere abbastanza numerosi gli esperti che ipotizzano un periodo di sosta nella politica di rialzo dei tassi quando questi tra due mesi avranno raggiunto il livello di 4,5%. Se ciò avvenisse i mercati obbligazionari potrebbero respirare nuovamente e quelli azionari proseguire nel tranquillo rialzo in corso.

Stona quindi in questo quadro idilliaco l'aumento dei tassi confezionato dalla BCE giovedì scorso.

Il povero (si fa per dire) Trichet è stato subissato di critiche per aver fatto quel che da settimane aveva annunciato. Politici, economisti e giornalisti si sono scagliati contro la decisione della BCE, colpevole di strozzare la ancor flebile ripresa europea, quasi che la colpa della mancata crescita sia della Banca Centrale Europea.

In realtà non esiste decisione più prevedibile di quella attuata dal comitato monetario di eurolandia.

Lo statuto di questa istituzione non lascia margini di scelta al Governatore ed ai suoi colleghi. La BCE infatti ha l'unico obiettivo di perseguire una politica di stabilità del valore interno ed esterno della moneta europea. Tradotto, significa difesa dall'inflazione e difesa dell'euro. Proprio per non lasciare margini di dubbio da anni è stato reso pubblico l'obiettivo di inflazione che nel medio periodo si sarebbe perseguito: il 2%.

Siccome da quest'estate l'inflazione dell'area euro ha superato il livello obiettivo e negli ultimi due mesi si è portata intorno al 2,5%, rendendo negativo il tasso di interesse reale a breve termine, non restava altro da fare che ritoccare il Tasso Ufficiale, anche perché nel frattempo lo spread con il tasso sul dollaro si era portato al 2% di vantaggio per il dollaro, che ne sta approfittando rivalutandosi forse troppo sull'euro.

Non capisco tanto scandalo, a meno che non si vogliano affidare di soppiatto alla BCE quei compiti che non le si sono voluti attribuire quando è stato fatto il trattato istitutivo dell'Euro a Maastricht. Il compito di stimolare l'economia in Europa spetta ai governi e se questi non sono in grado di svolgerlo, perché la finanza pubblica è quasi dappertutto un fardello da cui non si possono cavare altre risorse, non se ne può fare una colpa alla BCE.

Quando si confronta l'operato di Trichet con quello di Greenspan, biasimando il primo ed esaltando la flessibilità e il dinamismo delle manovre del secondo, si dimentica che in USA la Federal Reserve ha invece il duplice compito di guardare all'inflazione ma anche alla crescita del paese cercando quel mix che massimizza la crescita compatibilmente con la stabilità dei prezzi.

Se si voleva una BCe stile Fed si doveva attribuirle maggiori poteri. Se non lo si è fatto non ha senso lamentarsi.

Eppure mentre in Europa si dà addosso a Trichet proprio in questi giorni in USA le dichiarazioni di Bernanke sembrano ipotizzare la graduale trasformazione della Federal Reserve verso il modello BCE, con la fissazione anche là dell'obiettivo di inflazione da perseguire e la subordinazione degli obiettivi di crescita a quelli di stabilità.

Nessuno è profeta in patria, verrebbe da chiosare. Certo però che la BCE imitata nientemeno che dalla Federal Reserve sembra proprio una di quelle ironie che la sorte talvolta riserva alla storia dell'umanità.

FOCUS MACROECONOMICO

 

Quella passata è stata una settimana molto significativa dal punto di vista macroeconomico, con la presentazione di alcuni dati im portanti che hanno suonato la carica all'economia americana.

Ordini di beni durevoli, Fiducia dei consumatori, indice ISM, ma soprattutto la seconda stima sul PIL ed i dati sul mercato del lavoro sono stati significativamente migliori del previsto ed hanno giustificato a posteriori lo strappo rialzista dei mercati avvenuto nel mese scorso dopo la pausa di ottobre.

Con un panorama così positivo i mercati si sono addirittura permessi di snobbare, anche perché largamente atteso, il non positivo aumento dei tassi europei dopo quasi tre anni di stasi.

Anche le parole allarmate di Greenspan sui deficit americani, pronunciate venerdì scorso, non hanno impressionato più di tanto. Si sta addirittura facendo strada sui mercati l'ipotesi che l'inflazione possa rallentare la sua corsa e consentire alle Banche centrali di sospendere la politica di rialzo dei tassi a partire dalla primavera prossima. Questa interpretazione si scontra però con il forte aumento dei prezzi dell'oro, che ha superato ampiamente i 500 dollari l'oncia. Questo metallo, tradizionale bene rifugio contro le paure inflazionistiche, non dovrebbe salire se non ci fossero timori di aumenti generalizzati nei prezzi.

In Europa intanto divampano le polemiche sull'operato della BCE, dai più criticata per aver compromesso con il rialzo dei tassi le prospettive di crescita economica e i bilanci pubblici dei paesi europei più indebitati.

La settimana entrante presenta non molti dati significativi. Segnalo, provenienti dagli USA, l'indice ISM (lunedì), la produttività (martedì) e la Fiducia dei consumatori (venerdì).

Pierluigi Gerbino

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