In questi ultimi giorni abbiamo visto i principali mercati finanziari azionari mettere a segno una notevole dimostrazione di forza. Tutto ciò a dispetto delle funeree previsioni dei "gufi", tra cui mi ci devo onestamente catalogare, dato che in ottobre avevo tratto l'impressione che il lungo ciclo rialzista fosse finito.
Invece è bastato che il dato sull'inflazione Usa fosse sostanzialmente in linea con le previsioni e mostrasse un certo rallentamento nella crescita in ottobre, e che Ben Bernanke, nella sua prima audizione da futuro numero 1 della Fed, parlasse di una sovrastima dell'inflazione effettiva da parte degli indici tradizionali, per suscitare una nuova euforia sui mercati azionari in grado di portarli a realizzare nuovi massimi annuali.
L'indice SP500 si è pertanto spinto ben oltre il vecchio ostacolo di 1.245 e si appresta ad attaccare la successiva resistenza di area 1.280. Il Nasdaq non è da meno e, una volta oltrepassata agilmente quota 2.220, punta all'obiettivo successivo di area 2.300.
Anche l'Europa galoppa a spron battuto, con l'indice Dax che ha superato anch'esso il massimo dell'anno, mentre l'Eurostoxx50 è ad un soffio dal corrispondente livello.
In questo clima idilliaco spicca la debolezza relativa del nostro indice Mibtel.
E' ovvio che con un quadro circostante così positivo anch'esso non può fare a meno di salire.
Tuttavia deve far riflettere la sua momentanea incapacità di superare l'area 26.000 punti, che rappresenta all'incirca i due terzi della strada da fare per annullare il profondo ribasso del mese di ottobre. Se verrà superata tale soglia è probabile che anche il nostro mercato torni in zona massimi, tuttavia la distanza che lo separa da quell'area, quando gli altri l'hanno già superata, la dice lunga circa la crisi, questa volta anche borsistica, che attraversa il nostro paese.
La minor forza relativa rispetto agli altri mercati europei è venuta alla luce a partire da questa primavera, in concomitanza con la revisione del Patto di Stabilità in ambito europeo, quasi come se gli investitori stranieri si fossero passati la voce che il nostro paese avrebbe accentuato la sua caratteristica di "pecora nera" nella stabilità economica e finanziaria. La crisi si è poi accentuata in ottobre, a causa della ben nota vicenda che ha messo in ridicolo il prestigio della nostra Banca Centrale e della presentazione della legge finanziaria da parte del "mago" Tremonti, tornato al Ministero dell'Economia per realizzare con la sua "finanza creativa" il miracolo di rispettare i vincoli europei, che vorrebbero il nostro deficit pubblico per il 2006 al livello del 3,8% del PIL contro la naturale evoluzione prevista intorno al 4,6% in assenza di interventi.
Che la cosa sia ben difficile e che ancora una volta la si voglia realizzare con misure in gran parte "una tantum", tra cui, vedrete, spunterà in extremis anche l'ennesimo condono, sono purtroppo fatti che non possono certamente essere interpretati come segnali di stabilità.
Gli investitori percepiscono la pesantissima eredità che al termine di questo semestre elettorale il prossimo governo si troverà a gestire. I nodi verranno al pettine. Accanto al deficit pubblico esplosivo, per la prima volta dopo dieci anni anche il rapporto Debito/PIL tornerà a salire, tornando nuovamente al di sopra del 108% e interrompendo quel faticoso cammino verso l'obiettivo del 60% che il governo Prodi si impegnò nel 1997 a realizzare in 20 anni. Ne sono passati 8, cioè quasi metà e di strada ne abbiamo fatta soltanto un terzo. Ma quel che è peggio abbiamo ricominciato ad arretrare.
Ma non è finita qui. I conti pubblici dimostrano che questo governo è riuscito a dilapidare il patrimonio di risanamento che era faticosamente stato raggiunto dai suoi predecessori. Il saldo primario di bilancio, cioè l'ammontare del risultato del bilancio pubblico al netto degli interessi pagati sul debito pubblico, era positivo per circa il 5% quando Berlusconi si insediò. Ora, dopo 5 anni di finanza creativa, è ridotto al lumicino di un modesto 0,5%.
La notizia della settimana, cioè che la BCE è pronta ad iniziare la manovra di rialzo dei tassi cade come un macigno sulle prospettive della nostra finanza pubblica. Se siamo riusciti a peggiorare la situazione in un periodo straordinariamente favorevole per il costo del denaro come quello che ha visto il tasso di interesse ufficiale dell'area euro al 2% dal giugno 2003 ad oggi, c'è da chiedersi come farà Tremonti a fronteggiare futuri incrementi dei tassi di mercato, se si pensa che ogni punto di incremento dei tassi, a regime, pesa per circa 5-6 miliardi di euro di interessi passivi aggiuntivi sulle casse dello stato.
L'uffico studi di Banca Intesa, in una sua recente analisi, ha misurato l'aumento del "rischio Italia" ipotizzando che lo spread esistente tra il Bund tedesco ed il BTP italiano, che dai valori intorno a 12 punti base dello scorso anno in estate si è portato ad oscillare tra 18 e 20, possa salire a marzo oltre quota 22 e a giugno addirittura a 24.
Per non parlare della crescita economica, ferma ad una previsione di crescita zero o forse 0,1% per il 2005, quando la media europea è superiore all'1%, o del crollo della competitività dell'intera industria italiana, emerso da tempo e che oggi ha trovato una drammatica conferma nel deficit record di 7,6 miliardi di euro della bilancia commerciale con i paesi extra-ue per i primi 10 mesi dell'anno.
Non c'è quindi molto da stupirsi se dai dati del Bollettino Bankitalia emerge una fuga di capitali stranieri dalla Borsa Italiana per oltre 26 miliardi di euro nei primi sei mesi di quest'anno.
In giro per il mondo ci sono altri paesi in cui investire, dove sembra che il rischio sia minore. E l'Italia così rischia la marginalizzazione. Anche questo è globalizzazione.
FOCUS MACROECONOMICO
La settimana scorsa i dati economici non hanno portato grosse novità. Infatti l'attesissimo dato sull'inflazione americana ha confermato le previsioni degli esperti di sostanziale arresto della pressione inflazionistica a causa del calo del petrolio nel mese di ottobre. Ciò ha causato l'arresto della crescita dell'inflazione globale, che è salita di poco nella sola componente "core" (al netto dei prezzi energetici e alimentari). Sono stati così smentiti i pessimisti (compreso il sottoscritto) che temevano brutte sorprese dall'inflazione "core". I mercati azionari sono stati così liberi di tornare ai massimi annuali e quelli obbligazionari hanno tenuto i minimi raggiunti a metà settimana.
Un po' di vivacità è venuta questa volta dalle dichiarazioni delle autorità monetarie. Soprattutto il Governatore della BCE Trichet ha sorpreso tutti dichiarando in modo assai esplicito che la BCE "è pronta a iniziare a rimuovere parte dello stimolo fornito all'economia dalla politica monetaria". La traduzione della frase indica che la BCE alzerà i tassi dello 0,25% nella riunione del 1° dicembre prossimo, dando così inizio ad una manovra di restrizione monetaria che probabilmente vedrà almeno un secondo rialzo nella prima parte del 2006.
Anche Bernanke, il prossimo sostituto di Greenspan, ha contribuito ad agitare le acque dei mercati dando le prime indicazioni del suo pensiero di fronte al Senato USA. Si è trattato di musica abbastanza soave per i mercati, rassicurati dalla convinzione di Bernanke che l'inflazione sia abbastanza contenuta.
Siccome anche dal fronte petrolifero è continuata la discesa dei prezzi, i principali mercati azionari hanno approfittato della situazione per ritoccare i loro massimi annuali.
La settimana entrante presenta ben poco di significativo. L'unica giornata che potrebbe fornire qualche indicazione macro ai mercati è mercoledì, con l'indice di Fiducia del Michigan. Segnalo che il fine settimana in USA è segnato giovedì dalla Festività del Ringraziamento, che comporta la chiusura dei mercati e il possibile ponte per molti operatori il giorno seguente.
Pierluigi Gerbino
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