Le ultime giornate sui mercati finanziari hanno mostrato segni di tenuta da parte dei principali indici azionari, che dopo uno storno abbastanza significativo, soprattutto in America, hanno rfermato il calo ed abbozzato un rimbalzo a partire dai primi livelli di supporto. Ora la situazione è sostanzialmente aperta ed i prossimi giorni si incaricheranno di risolvere l'enigma se quella che abbiamo vista è stata soltanto una pausa di riflessione all'interno del lungo trend rialzista destinato a raggiungere gli obiettivi conclusivi di 1250 per SP500, 2320 per Nasdaq, 4480 per Dax e area 24200 per il nostro Mibtel, oppure se la rottura dei minimi della settimana scorsa segnerà una inversione di trend almeno per il breve periodo ed un appesantimento della correzione.
Saranno piuttosto importanti nei prossimi giorni i dati societari relativi all'ultimo trimestre, che in USA hanno iniziato ad essere comunicati e nei prossimi giorni si infittiranno.
Il dollaro sta vivendo anc'esso un momento di relativa grazia, nonostante i brutti dati sul saldo della bilancia commerciale americana dei giorni scorsi. Il recupero sembra in questo momento voler testare il livello di 1,30, che se venisse violato potrebbe portare il movimento di recupero anche fino all'area 1,25-1,26. Credo comunque che il recupero del dollaro sia soltanto di natura correttiva e che sarà seguito da una ulteriore vampata dell'euro verso e probabilmente oltre i recenti massimi di 1,36.
Il dato su cui vorrei un attimo riflettere questa settimana è però la forza evidente ed inaspettata, almeno a giudicare dallo stupore che anche i giornali specializzati hanno mostrato nell'annunciarla, del nostro mercato azionario. Il nostro indice Mibtel proprio ieri ha ritoccato ancora una volta il massimo relativo, a differenza di tutti gli altri mercati più importanti, che sono ancora ben sotto il precedente massimo.
La forza del nostro indice stride con i piagnistei della Confindustria e gli allarmi dei principali istituti di ricerca economica, che da mesi parlano di declino industriale del nostro paese e di incapacità cronica di crescita, nonostante l'ottimismo governativo. Siccome non si può pensare che il taglio delle tasse abbia prodotto effetti così positivi sulle prospettive del nostro paese da giustificare l'ottimismo del mercato di questi ultimi mesi, bisogna chiedersi perché la Borsa sale mentre l'economia langue, realizzando un paradosso che può mettere in crisi la fiducia che molti investitori rivestono nei mercati finanziari come termometro dell'andamento dell'economia.
La risposta, a mio parere, è abbastanza semplice. La Borsa italiana non riflette l'andamento dell'economia italiana, o almeno non di tutta l'economia italiana, come del resto possiamo affermare che l'indice Eurostoxx50, cresciuto anch'esso decisamente negli ultimi mesi, non riflette l'andamento dell'asfittica economia europea. Nell'indice SPMIB, che riflette l'80% dell'importanza dell'intero mercato, infatti, non si trovano rappresentate in modo fedele tutte le realtà che compongono il variegato panorama economico italiano. A ben vedere le realtà appartenenti al settore industriale si contano sulle dita di una mano. La maggior parte delle società del nostro principale paniere sono società di servizi, in particolare di servizi di pubblica utilità e imprese bancarie. E' noto che le utility e le banche siano generalmente società dove non si realizza una significativa concorrenza. Gran parte delle utility italiane sono direttamente o indirettamente ex monopoliste (pensiamo a Eni, Enel, Telecom, Tim, Saipem, Terna, Snam gas, Autostrade), mentre le numerossissime banche fanno parte di una realtà dove l'attenta vigilanza del Governatore Fazio ha impedito e continua ad impedire l'accesso di colossi stranieri, proteggendo così le banche italiane dalle insidie competitive che una liberalizzazione degli accessi potrebbe portare.
Non deve quindi stupire che se il Sistema Italia fa acqua da tutte le parti e la competitività delle imprese italiane più esposte alla concorrenza internazionale viene erosa continuamente, questo fatto non venga registrato nell'andamento della nostra Borsa. Queste società infatti sono minimamente rappresentate.
La nostr Borsa riflette la realtà poco concorrenziale del sistema bancario e dei servizi ex monopolistici, dove la cocorrenza è una parola che riappresenta più un sogno che una realtà.
La conseguenza è quindi che mentre buona parte del tessuto produttivo italiano perde i pezzi e cominciano a diventare molte le imprese anche blasonate in procinto di essere vendute a stranieri, la maggior parte delle società dell'indice SPMIB nel 2004 ha continuato a macinare utili in crescita. E' ovvio pertanto che la Borsa salga, perché il suo compito è valutare nei prezzi la capaità reddituale delle società quotate. Non è colpa del Mibtel se in esso è rappresentato un paese immaginario.
FOCUS MACROECONOMICO
Dagli Stati Uniti continuano a giungere segnali macroeconomici di tenuta del ritmo di crescita economica, al di sopra delle aspettative degli esperti. Vendite al dettaglio e Produzione industriale hanno segnato aumenti superiori alle previsioni degli esperti e, grazie al rallentamento del prezzo del petrolio a dicembre, la crescita sembra anche non premere eccessivamente sui prezzi, dato che quelli alla produzione sono addirittura scesi nell'ultimo mese del 2004. Sembra, insomma, che la voglia di spendere degli americani non conosca sosta e tale spinta stia riportando il grado di sfruttamento degli impianti verso l'80%, che è un limite oltre il quale si comincerebbero a manifestare qualche spinta inflazionistica. Il rovescio della medaglia si è però visto nel dato sulla bilancia commerciale americana, che è uno dei tre talloni d'achille dell'economia USA (gli altri sono il deficit federale e la capacità di risparmio delle famiglie). Il deficit commerciale ha raggiunto, nella rilevazione relativa a novembre, il record assoluto di 60,3 miliardi di dollari, ben superiore alle previsioni. Gli esperti si stanno ora arrovellando nell'interpretare il motivo per cui, nonostante la svalutazione del dollaro, in atto ormai da quasi due anni, i conti con l'estero continuino a peggiorare. D'altra parte, e da questa sponda dell'Atlantico, è altrettanto difficile spiegare il motivo per cui il Europa, nonostante la teorizzata perdita di competitività per colpa del super-euro, la scarsa crescita sia trasinata più dall'export che dalla domanda interna.
Il combinato disposto dei vari dati porta comunque nuovamente a ritenere probabile la prosecuzione del rialzo dei tassi da parte della Fedral Reserve. Sono tutti d'accordo che la politica di rialzo sarà improntata a gradualità, ma molti sottolineano l'esigenza di aumentare il numero degli interventi nel 2005, per portare i tassi sui Fed Funds almeno al 3% entro fine anno.
Il dollaro ha risentito della pessima forma dei conti con l'estero solo in modo marginale, dal momento che prevalgono in questi giorni le spinte correttive verso un suo momentaneo rafforzamento e queste sono state appena scalfite dal dato sul deficit.
La terza settimana di gennaio riserva l'appuntamento (Mercoledì) con la rilevazione dell'inflazione al consumo, e la fotografia della situazione dell'economia americana presente (mercoledì, Beige Book) e futura (venerdì, superindice). Sono comunque da rimarcare le comunicazioni trimestrali di alcuni importanti big americani, che non mancheranno di condizionare i mercati.
Pierluigi Gerbino
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