Le ultime giornate borsistiche hanno confermato una importante, anche se non nuova, divergenza di comportamento dei listini americani rispetto a quelli europei e soprattutto a quelli asiatici.
Mentre in Europa sono stati raggiunti nuovi massimi annuali ed in Giappone, grazie anche ai risultati elettorali di cui abbiamo parlato la scorsa settimana, l'indice sta proseguendo in un rally da oltre il 30% negli ultimi 4 mesi, in USA gli indici stanno arrancando sotto i massimi di inizio agosto senza quella convinzione necessaria a superarli per fornire un chiaro segnale di forza.
Non eravamo abituati a vedere a lungo comportamenti divergenti tra i listini mondiali, anche se nell'ultimo anno non è la prima volta che ciò accade.
Nonostante questa sbavatura i mercati azionari stanno comunque mostrando una solidità che apparentemente contrasta con le indicazioni provenienti dagli esperti, intenti a stimare gli effetti recessivi dell'uragano Katrina, che ha devastato la Louisiana.
La maggioranza degli analisti stima una ricaduta negativa dell'uragano sul PIL americano nell'ordine di circa un punto percentuale. I calcoli sono meno drammatici delle prime stime fatte a caldo, ma evidenziano comunque un impatto che non dovrebbe essere recepito positivamente dai mercati, anche in considerazione dei danni alle strutture petrolifere in un contesto preesistente di strozzatura nell'offerta mondiale di greggio.
Occorre quindi sforzarsi per capire quale motivo induca i mercati a proseguire imperterriti al rialzo nonostante tutto.
Qualche commentatore è ricorso ad una spiegazione un po' paradossale. Il ragionamento non nega l'impatto negativo di breve termine sulla crescita americana e mondiale. Però si rileva che le spese per la ricostruzione, già quantificate con un primo stanziamento federale di 62 miliardi di dollari, a cui certamente ne seguiranno altri, forniranno un impulso espansivo nel medio periodo in grado di riverberare sull'economia USA effetti benefici superiori ai danni immediati inferti dall'uragano.
Tale ragionamento paradossale mi lascia un po' perplesso. Porterebbe infatti alla conclusione di augurare altri uragani agli americani per incrementare la loro crescita economica.
Ma non solo. Ha il difetto di prescindere dal considerare gli effetti del finanziamento della ricostruzione.
La cifra citata di 62 miliardi di spesa pubblica aggiuntiva equivale più o meno allo 0,8% del PIL americano.
Bush ha affermato che non sarà finanziata con aumenti delle tasse.
Deduco allora che causerà un corrispondente peggioramento del già drammatico deficit federale, che preoccupa molti per l'onere e le difficoltà che incontrerà il Tesoro nel collocare titoli di Stato.
Se è vero che la ricostruzione a spese del debito pubblico causerà effetti macroeconomici espansivi, è altrettanto vero che fornirà potenti effetti inflazionistici, oltre ad accentuare quella dipendenza dai flussi di capitale stranieri di cui gli USA non possono assolutamente fare a meno, dato che le famiglie americane negli ultimi tempi sono riuscite a far scendere sotto zero il loro tasso di risparmio.
E' possibile che Greenspan o chi per esso, data l'imminente sostituzione in cabina di pilotaggio della Federal Reserve, dopo aver portato ormai vicino al 4% il livello dei tassi di interesse a breve, possa essere costretto a proseguire nella manovra restrittiva non tanto perché l'economia USA continuerà a mostrare i muscoli ma piuttosto perché altrimenti il deficit federale non potrà essere finanziato.
Per questo tutto l'ottimismo che si vede in giro a me appare più motivato da basi emotive che da fondamenti economici. Il "sentiment" del mercato azionario è rialzista da due anni e mezzo, quasi senza interruzioni. Cicli così lunghi non sono frequenti e si estendono con eccessi non giustificati dal punto di vista razionale, che solo quando finiranno si capirà quanto fossero insensati. E' una situazione che abbiamo già visto nel recente passato.
Quando il "tanto peggio, tanto meglio" domina i mercati, il trend cavalca le buone notizie ignorando le cattive ed anche li fatti peggiori vengono interpretati in modo favorevole alla prosecuzione del rialzo dovrebbe scattare un campanello d'allarme per l'investitore avveduto. Forse è bene cominciare a prepararsi a scendere dal trend.
FOCUS MACROECONOMICO
I numerosi dati macroeconomici pubblicati la scorsa settimana hanno registrato, in alcuni casi valori migliori del previsto. I conti con l'estero americani ed i prezzi alla produzione ed al consumo hanno avuto un peggioramento inferiore alle attese degli esperti. Tutte queste rilevazioni si riferivano però ad un momento antecedente all'uragano.
L' unica rilevazione successiva al passaggio devastante di Katrina, cioè quella dell'indice di fiducia dell'Università del Michigan, ha fornito un dato in sensibile peggioramento.
Intanto siamo agli sgoccioli anche nelle comunicazioni trimestrali societarie relative al secondo trimestre. La grande maggioranza delle imprese americane quotate ha riportato utili migliori delle previsioni degli analisti. E' quindi ipotizzabile che la crescita media degli utili delle imprese USA sarà ad un tasso a due cifre anche quest'anno, dopo il +18% del 2004.
Tutto lascia quindi prevedere che le conseguenze dell'uragano potrebbero anche essere assorbite elegantemente e che la Fed potrebbe proseguire nella sua politica monetaria restrittiva ancora per qualche mese e martedì ritoccare ancora una volta i tassi.
Questa settimana i dati macroeconomici americani sono piuttosto scarni. L'unico degno di attenzione è il superindice, che, dopo essere stato negativo per 8 mesi consecutivi, il mese scorso sembrava rialzare la testa, ma ora è previsto nuovamente in calo.
Pierluigi Gerbino
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