Anche se nelle ultimissime sedute abbiamo assistito ad un allentamento della pressione ribassista, il periodo successivo al 4 ottobre merita di essere ricordato a lungo, poiché ci ha presentato una faccia del nostro indice Mibtel che quasi ci eravamo dimenticati. Complici i ribassi sui mercati americani, che tuttavia non hanno raggiunto livelli di panico partilarmente intensi, il nostro indice ha collezionato nove sedute negative (alcune anche pesanti) e soprattutto ben 13 sedute consecutive rappresentabili con candele nere, cioè quelle in cui la chiusura è inferiore all'apertura. La negatività del momento non potrebbe essere meglio rappresentata.
Dal punto di vista dinamico l'indice ha raggiunto livelli di eccesso ribassista che non si vedevano più dal lontano 2002 e segnano un evidente cambiamento di scenario.
Non è la prima volta che il nostro mercato in questi ultimi 3 anni di ciclo rialzista effettua correzioni anche significative. Ricordo febbraio e soprattutto aprile di quest'anno, ma anche imesi estivi del 2004.
Tuttavia questa è la prima volta dai tempi del mercato orso del 2002 che un oscillatore come l'indice di forza relativa (RSI) raggiunge valori inferiori a 20.
Segno che probabilmente il giocattolo si è rotto o perlomeno che il mercato comincia ad avere il respiro affannoso tipico di chi ha corso troppo ed è a corto di energia.
Un altro dato significativo che abbiamo dovuto constatare in questo periodo è stata la fine della baldanza del nostro indice rispetto agli altri.
Nei mesi scorsi abbiamo più volte dovuto ripetere in tono sorpreso il ritornello che il nostro mercato mostrava una forza rialzista superiore a quella di qualunque altro nel mondo occidentale.
Ora non è più così. Nel mese di ottobre al semicrollo del nostro indice ha fatto da contrappunto la sostanziale tenuta del tedesco Dax, che resta al di sopra dei principali supporti ed al momento appare il più solido, ma anche il modesto calo degli indici americani che distano dai propri massimi molto meno di quanto disti il nostro Mibtel.
Dei motivi dell'inversione ribassista ci siamo già occupati la scorsa settimana, attribuendo la responsabilità al brusco risveglio che i dati sull'inflazione americana hanno provocato negli operatori, che pensavano di essere ormai immuni all'inflazione nonostante l'impennata del prezzo delle materie prime. Negli ultimi giorni sono venute importanti conferme dai prezzi alla produzione ed anche dalla rilevazione dei prezzi al consumo di eurolandia. Qui si è assitito ad un significativo aumento dell'indice al 2,5%, che fa prepotentemente prendere in considerazione l'ipotesi di un rialzo dei tassi di interesse da parte della BCE.
A spiegare la maggior debolezza del nostro mercato dobbiamo invece ricorrere alla forte presenza di titoli energetici sui nostri indici. Eni, Enel e Saipem, che hanno trascinato i rialzi dei mesi scorsi grazie al peso complessivamente vicino al 30% dell'intero indice Mibtel, stanno vivendo un naturale, anche se abbastanza sostenuto periodo di correzione ribassista.
Inevitabile quindi che la loro debolezza si rifletta sull'indice, come è abbastanza naturale che si veda una certa fuga di investitori stranieri dopo i recenti spettacoli forniti dalla telenovela "I furbetti del quartierino" con Fazio attore protagonista ed il governo del tutto impotente a ristabilire un po' di credibilità nelle nostre istituzioni.
FOCUS MACROECONOMICO
Dopo il dato sull'inflazione al consumo della settimana precedente, a spaventare i mercati la scorsa settimana sono arrivati i numeri dell'indice USA dei prezzi alla produzione, che hanno confermato l'impennata dei prezzi anche al momento dell'uscita dalla fabbrica. Il valore mensile di aumento (1,9%) è stato il più alto degli ultimi 31 anni ed ha portato l'aumento tendenziale annuo al 6,8%. Si comprende che simile vette inflazionistiche abbiano messo un po' di nervosismo sui mercati, nonostante il dato positivo dell'indice Fed Philadelphia e nonostante che il prezzo del petrolio abbia accennato a flettere ulteriormente raggiungendo il livello di 60 dollari. Quello che preoccupa non è tanto lo strappo nell'indice globale, considerato molto volatile e che nei prossimi mesi potrebbe oscillare magari anche al ribasso se i prezzi del petrolio confermassero la momentanea discesa. Impensierisce il livello molto alto dell'inflazionespecie se paragonato a quello di soli 3 mesi fa, quando tutti ritenevano che gli indici globali dei prezzi fossero praticamente invulnerabili agli aumenti dei prezzi delle materie prime. La serie delle rilevazioni degli ultimi mesi costringe invece i mercati ad un brusco risveglio ed a temere che l'impennata si trasmetta nei prossimi mesi anche all'inflazione "core", cioè depurata dalle componenti dell'energia e degli alimentari, e che magari inneschi la rincorsa delle rivendicazioni salariali per tenere il passo con la perdita del potere d'acquisto delle buste paga.
A rendere cupo l'umore dei mercati azionari ha contribuito anche il Superindice anticipatore USA che ha registrato in settembre un calo dello 0,7%, ben oltre le già negative previsioni degli esperti.
A nulla è valso apprendere dalle numerose società che hanno presentato le trimestrali che il terzo trimestre per gli utili societari sembra essere ancora una volta assai migliore delle aspettative degli analisti. Infatti circa il 70% delle società che hanno riportato i dati ha battuto le previsioni di utile. Molte tuttavia sono state comunque penalizzate dal mercato, poiché a fronte di brillanti risultati passati ben poche si azzardano a prevedere dati positivi per il trimestre in corso. E si sa che i mercati sono proiettati al futuro, poiché il passato ed il presente sono già nei prezzi.
L'altra relativa sorpresa della settimana è stato il diffondersi dei primi segnali inflazionistici anche in Europa, con l'indice dei prezzi dell'Eurozona passato in settembre ad un tasso d'incremento del 2,6% annuo contro il 2,2 del mese precedente. Non sono i ritmi di crescita americani, ma bastano a far temere che il mutamento di politica monetaria da parte della BCE sia ormai imminente. Non a caso i rappresentanti della BCE, come ad esempio il capo ufficio studi della BCE Issing, hanno affermato che l'autorità monetaria europea segue la situazione ed è pronta ad intervenire con un rialzo dei tassi se i segnali inflazionistici dovessero essere confermati nei prossimi mesi.
L'ultima settimana di ottobre ci presenta due interventi di Greenspan, che solitamente animano i mercati e rappresentano l'occasione per dffondere il suo "testamento spirituale" per il successore, a 3 mesi dalla scadenza del suo mandato. Inoltre sarà seguita con molta attenzione la prima stima del PIL americano del 3° trimestre, che verrà resa nota venerdì. Segnalo la presenza anche di numerose comunicazioni societarie trimestrali.
Pierluigi Gerbino
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