Home > Doc > Report FINANZIARIO "CLASSIC" > 01 Febbraio 2005

Report finanziario "CLASSIC" 01 Febbraio 2005

GRAZIE IRAQ!

Chi l'avrebbe mai detto che ci sarebbe voluto l'Iraq per risollevare le sorti delle borse americane?

Eppure è proprio ciò che è successo. In mancanza di notizie consolanti dalle statistiche economiche, che hanno sottolineato, pur nella provvisorietà del dato sul PIL USA del 4° trimestre, un certo rallentamento nel ritmo di crescita americano, è stato l'insperato successo nelle elezioni irakene a dare una sferzata di fiducia ai mercati.

E' proprio il rialzo messo a segno dai principali indici a dimostrare che l'esito positivo dell'appuntamento elettorale non era affatto scontato. La stessa amministrazione americana, furbescamente aveva lasciato trapelare una certa preoccupazione sia per l'afflusso alle urne che per il pericolo di rovinosi attentati.

Il fatto che gli attentati ci siano stati, ma meno rovinosi del temuto e soprattutto le evidenti file di irakeni che, con enorme sprezzo del pericolo, si sono incamminati sulla via tortuosa della democrazia, hanno consentito ai mercati di brindare nella giornata di lunedì e proseguire più timidamente nel rialzo anche oggi.

Al momento in cui scrivo il movimento rialzista dei mercati, specialmente di quelli azionari, non è ancora tale da poter essere classificato come inversione rialzista di breve periodo. Lo sarà se i mercati americani riusciranno a portarsi oltre gli ostacoli che a metà gennaio avevano già fermato il primo tentativo di rimbalzo. Questi livelli sono posizionati a 2105-2110 dell'indice Nasdaq e a 1195 dell'indice SP500.

Fin quando gli indici sono al di sotto di questi valori possiamo soltanto parlare di rimbalzo tecnico.

Tuttavia è innegabile che se l'Iraq comincia a prendere la piega giusta della democrazia, sia pure con tutti i "se" ed i "ma" di un sistema dal quale si è autoesclusa la grossa minoranza dei sunniti, l'amministrazione si può fregare le mani non soltanto per il successo politico, che a mio parere (che conta poco) non giustifica comunque una guerra fatta con motivazioni falsificate, ma anche per l'insperato sollievo economico che il bilancio federale potrebbe avere dall'accelerazione del disimpegno. Se è vero che questa guerra è già costata più di 250 miliardi di dollari, in un bilancio che accusa un deficit previsto per il 2005 di circa 470 miliardi, è evidente che anche un solo mese di anticipo del disimpegno delle truppe sarebbe di gran sollievo.

A meno che i consiglieri "neocon" del fortunato Presidente, galvanizzati dal successo ottenuto nella tanto sbandierata "esportazione della democrazia", non riescano a forzare Bush nel tentare di fare piazza pulita delle forze del male nella regione.

Come ha già sibillinamente anticipato il vice Cheeney nel discorso di insediamento qualche giorno fa, il prossimo acquirente della democrazia occidentale potrebbe essere l'Iran, accusato, come a suo tempo l'Iraq, di voler costruire un arsenale nucleare. L'idea dei "neocon" sembra essere per ora quella di far compiere il lavoro sporco ai bombardieri israeliani, ma comunque prima del ritiro americano dalla regione.

Per preoccuparsi della prossima guerra c'è comunque tempo. Per Greenspan, che riunisce oggi e domani il suo Comitato per la politica monetaria (FOMC), sembra che le più immediate preoccupazioni siano altre: la caparbietà dei consumatori americani, che continuano incessantemente ad aumentare i propri consumi da ormai 14 anni, indebitandosi sempre più pur di non rinunciare agli ultimi modelli dell'elettronica di consumo; il ritmo meno aggressivo della crescita della produttività. L'aumento di produttività, che negli scorsi anni ha mantenuto ritmi di crescita tra il 4 e il 6% annui, negli ultimi trimestri si sta stabilizzando a livelli più modesti intorno al 2%. Se la produttività smette di salire può diventare un problema per le imprese mantenere la stabilità dei prezzi, di fronte a consumi in espansione e pressioni dal lato dei costi energetici.

Ecco perché qualcuno comincia ad ipotizzare che il custode della Fed voglia accelerare il ritmo di aumento dei tassi di interesse, magari a cominciare già da domani con un aumento superiore al da tutti atteso 0,25%.

Se questo succedesse per le Borse sarebbe un brusco risveglio.

Personalmente non penso che questo succederà ora, ma non mi sento di escluderlo tra qualche mese, se il petrolio non scenderà e i prossimi dati sulla produttività saranno deludenti.

FOCUS MACROECONOMICO

L'incapacità dei mercati di riprendere con convinzione la direzione rialzista è motivata anche da notizie economiche non troppo positive giunte la scorsa settimana. Se dal campo delle trimestrali continuano a giungere segnali contradditori, con più di una società, soprattutto del settore farmaceutico, a segnare battute d'arresto nella crescita dei profitti, a far da padrone è stato il dato sintetico che meglio di ogni altro esprime lo stato di salute dell'economia americana. Venerdì 28 gennaio è stata infatti resa pubblica la prima stima del PIL USA del 4° trimestre, che è stata per ora fissata nel 3,1% annualizzato, inferiore al 3,5% che gli analisti attendevano. Già ho rilevato la scorsa settimana la scarsa attendibilità della prima stima, poiché sconta un certo grado di approssimazione in cambio di una relativa rapidità di diffusione e tende spesso ad essere inferiore a quanto verrà poi ufficializzato definitivamente. Ciò spiega anche il motivo per cui i mercati non abbiano reagito con pesanti cali, ma soltanto con qualche presa di beneficio, ad un dato che, se venisse confermato, imprimerebbe una decisa frenata al ritmo di crescita che abbiamo visto in USA nel 2004.

E' curioso osservare che il rallentamento non è dovuto ad un calo dei consumi, che continuano a crescere ad un ritmo vicino al 5% nel trimestre (4,7%), ma piuttosto ad una certa perdita di competitività delle imprese americane. Infatti la sensazione è che i forti consumi abbiano trovato soddisfazione più all'estero che in patria, dal momento che nel trimestre le importazioni sono aumentate di oltre il 9% mentre le esportazioni americane sono calate quasi del 4%. Il peggioramento della bilancia commerciale ha perciò sottratto circa l'1,7% alla crescita del PIL.

Sarà perciò interessante osservare la reazione della Federal Reserve al termine della riunione del suo FOMC, che si nei primi due giorni di febbraio.

Così come piuttosto interessanti saranno parecchi altri tra i numerosi dati americani che giungeranno in settimana. Tra essi segnali in particolare gli indici ISM, manifatturiero (martedì 1) e servizi (Giovedì 3), l'indice trimestrale di produttività (giovedì), che da qualche tempo registra un certo rallentamento nella crescita. Questo fatto fa pensare a qualche esperto che nel medio periodo sarà difficile mantenere bassa l'inflazione americana se non calerà la domanda. A fine settimana arriva infine il sempre molto atteso dato sulla creazione di posti di lavoro, che fa sempre molto discutere sulla qualità della crescita americana.

Pierluigi Gerbino

Successivo: La balia Greenspan

Sommario: Indice