Dopo i pesanti cali del mese di ottobre sui mercati finanziari il mese si è concluso con il tentativo di rimbalzo necessario a scaricare i pesanti eccessi accumulati per settimane.
A dire il vero sui mercati azionari la situazione non è affatto uguale dappertutto, anzi.
A fronte di una certa debolezza europea e soprattutto italiana, non si registra affatto panico in USA, dove il mercato si è addirittura riportato nuovamente sopra 1200 (valore di SP500) e tantomeno in Giappone, dove si è interpretato il mese di ottobre inchiave di pausa di consolidamento dello strappo rialzista messo a segno quest'estate. Appena dall'America è giunto il segnale di rimbalzo, l'indice nipponico si è nuovamente incamminato in territorio rialzista riportandosi quasi ai massimi di settembre.
L'impressione che si trae ossevando i mercati è quella del "voltare pagina".
In Europa la debolezza relativa rispetto alle altre aree del mondo credo debba essere infatti giustificata proprio dalla convinzione dei mercati che il lungo periodo di stabilità dei tassi di interesse a livelli bassi stia per finire. Il rialzo dei tassi, l'ennesimo, attuato in USA ieri sera, ha portato i rendimenti a breve sui Fed Funds al 4%, valore che ora è esattamente il doppio del corrispondente tasso della BCE. E' vero che in Europa non c'è affatto la crescita economica che anche nel 3° trimestre è stata confermata in USA (3,8% su base annua), però è anche vero che l'ultima rilevazione dell'inflazione nell'area UE (2,5% a settembre) ha indicato per il terzo mese consecutivo valori significativamente superiori all'obiettivo indicato dalla BCE, che è fissato al 2%. Pertanto i mercati, ricordando che lo Stauto della BCE pone come unico obiettivo alla Banca Centrale il controllo del potere d'acquisto interno ed esterno dell'Euro, stanno tirando le conclusioni e cominciano ad attendersi l'inizio della manovra restrittiva sui tassi in Europa. Probabilmente non avverrà ancora domani, ma è molto probabile che entro i primi mesi del 2006 avremo i tassi superiori al 2%. A conferma di ciò si nota che anche i prezzi sul mercato obbligazionario stanno voltando pagina e si allontanano dai valori raggiunti in estate, quando si pensava che lo spettro della deflazione fosse l'evento più probabile in Europa. Il future sul Bund tedesco, che è il riferimento per il mercato obbligazionario europeo, nei giorni scorsi ha dato importanti segnali di debolezza, frantumando il livello di supporto di 121,20 ed avviandosi verso il prossimo obiettivo di medio periodo in area 117.
La massa dei risparmiatori non ha ancora percepito questo cambiamento di scenario, ma i segnali di deterioramento del quadro rialzista, che aveva sorretto il mercato obbligazionario dal 2002 in avanti, sono evidenti. Sottovalutarli continuando ad investire in titoli a tasso fisso e durata lunga li esporrà a perdite notevoli. Ritengo addirittura che al momento sia più rischioso investire in obbligazioni a tasso fisso che in azioni.
Anche in Giappone sembra che si sia definitivamente voltato pagina. Qui però lo scenario, per quanto riguarda l'economia, è passato dal negativo al positivo. Infatti sembra ormai acquisita l'uscita dalla pluriennale recessione e pare assai remoto il rischio di inflazione, in un paese che in passato ha caso mai avuto problemi opposti.
Merita quindi di essere presa in considerazione la possibilità che proprio l'azionario nipponico finisca per essere un porto abbastanza sicuro in momenti di mareggiata sulle borse europee ed americane, poiché mentre qui il ciclo rialzista dei mercati pare arrivato alla frutta, nel paese del sol levante ha ancora molta strada da fare.
Anche in USA si sta voltando pagina, ma qui non tanto nell'andamento dell'economia che, anzi, mostra ancora molta vitalità, quanto piuttosto nelle stanze del potere.
La designazione di Ben Bernanke al posto di Greenspan a partire dal febbraio prossimo sta dando parecchio lavoro agli analisti, che ormai interpretavano alla perfezione ogni sfumatura nel linguaggio di Greenspan. Sono ora indaffarati ad fare ipotesi se alla Fed avremo continuità o rottura con i comportamenti del passato. Il toto-Bernanke sembra per ora indicare, una maggiore attenzione ai pericoli inflazionistici da parte del nuovo timoniere, anche se ovviamente l'imprinting di Greenspan sulla macchina della Fed non sarà facile da cancellare. Credo però che il nuovo governatore, essendo accreditato di un quoziente di intelligenza da genio, sicuramente sarà in grado di stupire.
L'altra vicenda, che ha segnato il definitivo tramonto della fiducia degli americani nel loro Presidente, è la ben nota trama spionistica del Nigergate, che sta trascinando nella polvere i più stretti collaboratori del vice-presidente Cheeney, e potrebbe forse portare all'incriminazione dello stesso Cheeney, qualora emergesse un suo attivo coinvolgimento nella falsificazione delle prove e nel seguente depistaggio delle indagini.
Sorprendentemente la vicenda, pur coinvolgendo i massimi livelli della Casa Bianca, non sta avendo nessuna conseguenza sui mercati, quasi che si stia dando per scontato che Bush non rischia l'impechment perché all'oscuro di tutto. La cosa è plausibile, dato il potente filtro alle informazioni che l'entourage del Presidente ha sempre attuato a protezione del capo e della sua nota allergia verso l'approfondimento dei problemi.
Tuttavia anche da questo fronte caldo è sempre possibile avere sorprese, specie se ricordiamo il trambusto che suscitarono sui mercati le vicende, sicuramente meno serie, dell'affare Clinton-Lewinsky di qualche anno fa.
FOCUS MACROECONOMICO
La settimana del PIL americano non ha deluso le aspettative. Anzi, la rilevazione della crescita economica USA del 3° trimestre è stata particolarmente forte e, con un sonante +3,8%, ha superato le attese degli esperti che si fermavano intorno al 3,3%. E' vero che il dato rappresenta solo la prima delle tre stime, quella statisticamente soggetta a maggior imprecisione, però è innegabile che quanto meno emerga la capcità di superare l'effetto uragani molto meglio del temuto. I giornali ci spiegano che la causa della performance va ricercata soprattutto nei consumi delle famiglie, come sempre ben intonati a dispetto di chi teme rallentamenti nella capacità di spesa degli americani, e tra questi al vero boom negli acquisti di automobili, alla faccia del caro-benzina. In realtà la voglia di auto è dipesa molto dal fatto che in questo periodo i principali venditori si stanno facendo concorrenza a suon di sconti esagerati e certamente non sosteniili a lungo, e questo spinge parecchi americani ad anticipare gli acquisti.
Va quindi prestata una certa attenzione a questo dato, poiché nei prossimi trimestri, quando finiranno le campagne-sconto, potrebbe rappresentare fonte di delusioni.
La robusta capacità di crescita del PIL ha così dato ragione a Greenspan, che lo aveva previsto nei mesi scorsi, e giustificato i buoni risultati aziendali in termini di fatturato e profitti, che in questi giorni vengono presentati dalle trimestrali societarie americane. E' anche riuscita a favorire uno scatto d'orgoglio nei listini americani in chiusura di settimana, che ha consentito di contenere il ribasso ed impostare un tentativo di rimbalzo.
L'impressione però che ricavo dai dati che si susseguono in queste settimane è però quella del canto del cigno anche dal punto di vista macroeconomico. Infatti dobbiamo considerare che la prima conseguenza sarà quella di spingere la Fed a ritoccare ancora i tassi nella prossima riunione del 1 novembre e successivamente il 13 dicembre. Greenspan dovrebbe consegnare al suo successore Ben Bernanke, nominato da pochi giorni, un livello dei tassi ufficiali al 4,25% e probabilmente questi dovrebbe portarli al 4,50% prima di fermarsi per un po' a vedere i risultati di tale politica.
Inoltre dai managers delle società, se vengono indicazioni positive sul passato recente, raramente sentiamo previsioni ottimistiche sul trimestre in corso. Quasi tutti prevedono rallentamento oppure non si sbilanciano e mantengono molta cautela. Infine, per quel che conta, sono ormai alcuni mesi che la fiducia dei consumatori mostra rilevazioni in discesa e anche questo dato non depone molto a favore di una prosecuzione del rally dei consumi, anche se in passato abbiamo già più volte assistito a consumatori americani pessimisti ma non per questo meno spendaccioni, anzi sembra quasi che laggiù lo sport preferito sia proprio il "carpe diem".
Le prossime settimane si incaricheranno di confermare o smentire queste impressioni.
La prima di novembre ci porta parecchi dati interessanti dall'America, tra cui segnalo sprattutto gli indici ISM (martedì e giovedì), le statistiche sul mercato del lavoro (venerdì) e la produttività (giovedì).
Pierluigi Gerbino
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