Gli ultimi giorni sui mercati finanziari hanno visto il riemergere dello spettro dell'inflazione, che sembrava definitivamente rimosso dal campionario dei timori che agitano gli investitori. Il dato sui prezzi alla produzione in USA, decisamente peggiore delle aspettative ha acutizzato i timori di un possibile ulteriore inasprimento della politica monetaria della Federal Reserve. Ha dato il suo contributo anche una sibillina dichiarazione di Greespan mercoledì scorso, quando ha rilevato che il comportamento dei tassi di mercato americani non è in linea con la teoria economica, poiché al rialzo dei tassi a breve non corrisponde un rialzo di quelli a medio-lungo termine. Greenspan ha definito enigmatico questo comportamento dei mercati e tanto è bastato a scatenare una violenta presa di beneficio sui bonds, che ha subito riportato in alto i tassi di mercato.
Ora l'impressione è che i mercati stiano modificando il loro sentiment, anche se è difficile che il diffuso ottimismo sulle prospettive delle borse anche nel 2005 si sia improvvisamente sciolto come neve al sole. Pertanto, anche se i principali indici mondiali sono per ora stati respinti dai massimi di quest'anno, credo che il mercato farà un secondo tentativo al termine di questa correzione di breve periodo. Infatti è piuttosto improbabile che avvenga una inversione ribassista a V sul forte trend che si è sviluppato in questi ultimi due anni. Personalmente inversioni ribassiste a V ne ho viste pochissime. Generalmente la fine dei trend rialzisti avviene sempre con almeno un tentativo di ritorno verso il massimo abbandonato con la prima onda ribassista.
E' un fatto comunque che qualche crepa nell'impostazione ancora rialzista dei mercati comincia ad essere piuttosto visibile ed il loro ritorno repentino verso i supporti va interpretato come un indubbio indebolimento.
Se all'estero si è verificata qualche scossa, sul nostro Mibtel abbiamo assistito ad un vero e proprio terremoto.
Nel giro di soli 4 giorni il nostro mercato ha perso quasi 1000 punti (circa il 4%) e sembra aver compromesso seriamente il magnifico stato di salute che possedeva dall'agosto scorso.
Quel che è curioso è che la secca correzione si è verificata proprio nei giorni in cui i settimanali finanziari, con invidiabile tempismo, magnificavano l'impresa degli indici europei e soprattutto di quello italiano, di essere riusciti a sottrarsi alla morsa di Wall Street e di salire anche quando i mercati americani si mostrano in affanno.
L'avvenuta indipendenza, che intanto viene chiamata col termine anglosassone di "decoupling" ci viene spiegata con l'abbondante presenza sulla nostra borsa di titoli difensivi, destinati, proprio per il loro carattere protettivo a continuare a salire anche se dall'Atlantico giungesse la bufera.
La reazione dei mercati non si è fatta attendere e negli ultimi giorni i titoli che più avevano corso nei mesi passati, in primis le utility, sono stati letteralmente massacrati, con perdite per molti di essi superiori al 10% in tre giorni. Tutte le belle teorie su decoupling sono da buttare nel cestino. La vacanza del nostro indice è finita ed ora può tornare a comportarsi come in passato, cioè a rimorchio degli altri mercati smettendo di coltivare sogni di gloria solitaria.
Bisogna anche concludere che le utility hanno allora perso il loro carattere difensivo?
Certamente no. Tuttavia se sui titoli difensivi si accanisce per mesi la speculazione rialzista che alimenta performances degne dei tecnologici ai tempi della bolla, non deve sorprendere che i realizzi provochino voragini sui grafici, proprio come accadde ai tecnologici quando la bolla scoppiò.
Ritengo che ciò che è successo sia piuttosto istruttivo e, come un corso di trading, ci ricorda alcune semplici ma spesso trascurate verità:
la forza di gravità esiste ed opera quando meno te lo aspetti.
La borsa dà, la borsa prende. Dopo fasi in cui la Borsa sembra regalare soldi a chi vi punta vengono sempre le fasi in cui molto più rapidamente il mercato si riprende gran parte di quel che ha regalato precedentemente.
Tanto maggiore è stato il periodo di rialzo del mercato senza apparente sosta, tanto maggiore e dolorosa sarà la correzione che ne decreta il ritorno alla realtà.
Per salvare la pelle è necessario possedere una notevole disciplina operativa, che consente di guardare al mercato con oggettività ed evitare quegli innamoramenti sui titoli posseduti che producono perdite notevoli quando cambia il trend.
Anche questa volta la stampa specializzata, più che fornire un aiuto al risparmiatore ad interpretare il mercato, si è rivelata come lo specchio che ne riflette l'euforia.
Ce n'è abbastanza per meditare e tornare a riflettere sul comportamento da tenere nelle fasi di mercato ribassita. Non ci eravamo più abituati da parecchi mesi.
FOCUS MACROECONOMICO
La scorsa settimana è stata dominata dalle parole rassicuranti di un fiducioso (come al solito) Alan Greenspan, che si è spinto addirittura ad ipotizzare tassi di crescita americani vicini al 4% anche nel 2005, anche se non ha mancato di evidenziare elementi di perplessità sulla sostenibilità futura degli squilibri economici USA. Ai mercati è però bastato qualche dato macro piuttosto scadente negli ultimi giorni per farsi attanagliare dalla paura di una stretta monetaria resa necessaria da eccessive pressioni inflazionistiche.
L'indice dei prezzi alla produzione venerdì scorso ha segnato un aumento assai superiore a quel che gli esperti attendevano. La notizia è giunta dopo che il giorno precedente anche il Superindice anticipatore aveva mostrato la corda, scendendo oltre le previsioni. Tutto ciò ha avuto ripercussioni al momento più sui mercati obbligazionari, che hanno stornato pesantemente, che su quelli azionari, i quali, pur correggendo, non sono molto distanti dai massimi. I tassi di mercato sui titoli decennali sono così tornati a crescere ben oltre il 4% e son sembrati adeguarsi a quel che dice la teoria economica e che Greenspan mercoledì aveva dichiarato con stupore di non intravedere. Cioè i tassi a lungo non stavano affatto seguendo la direzione di moderato rialzo che invece la stretta della Fed stava producendo su quelli a breve. Ovviamente se si tratterà di un vero cambio di umore circa le prospettive dell'inflazione e dei tassi oppure soltanto di nervosismo momentaneo, lo si vedrà in futuro. Certo che se il petrolio dovesse tornare oltre quota 50 dollari, livello che sta pericolosamente riavvicinando, le prospettive per tutti i mercati diventerebbero sicuramente più fosche.
Occore questa settimana dedicare qualche pensiero di cordoglio alla situazione macroeconomica del nostro paese, che negli ultimi giorni ha ricevuto un'accoppiata di notizie devastanti. A cominciare dal PIL del 2004, che nella prima stima pare essere avviato ad una crescita dell'1,1%, assai meno del 2% programmato dal governo; per proseguire con la bilancia commerciale che nel 2004 ha visto il ritorno al deficit dopo ben 12 anni di attivi e decreta la veridicità degli allarmi sulla perdita di competitività del nostro sistema produttivo. Quelli che a manifestare preoccupazione si erano beccati del "comunista e disfattista" dall'entourage di Berlusconi possono ora trovare nei dati il conforto della realtà che manca invece alle stime governative.
L'ultima settimana del mese di febbraio presenta non molte indicazioni, ma tutte piuttosto significative.
Dall'America verrà la Fiducia dei Consumatori (martedì), l'importante dato sui prezzi al consumo (mercoledì), chiamato a confermare o smentire la vampata inflattiva che si comincia a cogliere nei prezzi alla produzione. Giovedì avremo gli ordini di beni durevoli e venerdì la seconda stima del PIL dell'ultimo trimestre 2004.
Come si vede ogni giorno un dato condizionerà i mercati.
Pierluigi Gerbino
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