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Report finanziario "CLASSIC" 07 Dicembre 2004

RALLY ILLOGICO MA REALE

Procede senza grandi scossoni il rally di fine anno sui mercati azionari mondiali. Il movimento in corso, come è abitudine da parecchi mesi, si accompagna e trae alimento dalla debolezza del dollaro. Questi prosegue imperterrito nella sua caduta e consente all’Euro di avvicinarsi ormai a pochissimi millesimi alla barriera psicologica di 1,35, che solo qualche mese fa veniva vista come una sciagura.

Ora scopriamo che i mercati azionari se ne infischiano di queste considerazioni macroeconomiche e, siccome la statistica dice che ogni anno a dicembre e gennaio i mercati generalmente salgono, neanche quest’anno vogliono perdere questa bella abitudine. Un’abitudine che oltretutto fa la gioia dei gestori di Fondi Comuni, che anche quest’anno potranno confezionare una performance di tutto rispetto e forse insperata per il secondo anno consecutivo.
Nel panorama dei mercati azionari è abbastanza curioso osservare l’andamento dei mercati delle diverse aree geografiche e metterlo in relazione con la situazione macroeconomica che dovrebbe, secondo la stampa specializzata e le analisi dei guru, determinarne l’andamento.
Ebbene, è abbastanza sensato ritenere che il comportamento dei mercati azionari americani rifletta la forza dell’economia USA in crescita al ritmo del 4% circa su base annua, mentre la debolezza del dollaro, almeno finchè si manterrà sotto controllo, consenta alle imprese USA di spuntare ulteriori margini di competitività accrescendone le capacità di concorrenza sui mercati internazionali.
Qualche problema in più si affronta nello spiegare la crescita dei mercati azionari europei. Infatti la crescita economica di eurolandia si mantiene a dir poco asfittica, con un tasso medio previsto di aumento del PIL per il 2004 decisamente inferiore al 2%, che la pone come area fanalino di coda nel mondo. L’effetto del super-euro, poi, è piuttosto difficile da spiegare in termini favorevoli alle imprese europee ed infatti nessuno lo fa. Si susseguono piuttosto le grida di allarme per la drastica perdita di competitività delle nostre imprese, che dovrebbe anche portare ad una riduzione della crescita per questo ed il prossimo anno, stimata in qualche decimo di punto.
Come facciano allora le borse europee a salire in questa situazione è un mistero, almeno per chi si limita a cercare giustificazioni economiche in tutti i movimenti di mercato.
Tale esercizio appare ancora più improbo nel caso della borsa italiana. Infatti la nostra economia si presenta come la meno dinamica tra quelle di eurolandia in termini di crescita e subisce tutti i colpi del super-euro in termini di perdita di competitività. Secondo le stime probabilmente a fine anno non raggiungeremo nemmeno un modesto +1,5% di aumento del PIL.
Insomma, se immaginassimo l’economia mondiale come un treno, eurolandia sarebbe l’ultimo vagone e l’Italia sarebbe l’ultimo scompartimento dell’ultimo vagone. Una posizione tutt’altro che invidiabile, sembrerebbe.
Tutto ciò però non si vede affatto se analizziamo il grafico del nostro indice Mibtel. Questi, con circa l’11% di aumento da inizio anno, si pone come il migliore tra quelli europei e vanta una performance superiore a quella dell’americano SP500. A partire dal minimo del marzo 2003 non ha mai fatto una correzione che possa considerarsi tale, limitandosi ad un andamento laterale quando nella prima parte dell’anno gli altri principali indici mostravano di correggere gli eccessi all’interno di canali ribassisti. Quando poi in ottobre è tornato un accenno di bel tempo, il nostro indice è stato il primo a rompere con decisione i massimi annuali e ad incamminarsi con maggior convinzione sul sentiero del Rally di fine anno.
Come giustificare questa indiscutibile maggior forza relativa?
Certamente non in termini economici.
Bisognerebbe allora scomodare altre variabili che hanno più a che fare con la psicologia di massa degli investitori.
Ecco perché è molto meglio fidarsi dei grafici che degli economisti.

FOCUS MACROECONOMICO

Quando i mercati avevano trovato finalmente negli indici ISM indicazioni di rinnovata forza nella crescita americana, ecco che venerdì scorso i dati sul mercato del lavoro hanno inaspettatamente raffreddato gli entusiasmi, imprimendo al dollaro l’ennesimo ceffone e facendo ringalluzzire un po’ le quotazioni del T-Bond, che mestamente sembrava avviato a subire un inevitabile rialzo dei tassi.
Il dato mensile sulla creazione di posti di lavoro è stato infatti piuttosto al di sotto delle aspettative. Gli esperti, rinfrancati dalle oltre 300.000 unità create il mese di ottobre, si attendevano circa 200.000 occupati in più in novembre. Si sono dovuti accontentare di un assai più modesto 112.000.
Tornano allora d’attualità, in questa ormai noiosa altalena di speranze e frustrazioni, i dubbi sulla qualità della ripresa americana, visto che tassi di crescita economica delle dimensioni degli attuali dovrebbero mediamente produrre almeno 100.000 occupati in più al mese. Probabilmente la crescita americana questi occupati li crea, ma in Cina ed India piuttosto che negli USA.
Rassegnamoci quindi a convivere ancora un po’ con questa fase di incertezza macroeconomica.
La settimana dal 6 al 10 dicembre non sarà certo risolutiva ai fini di queesto dilemma, poiché presenta pochi appuntamenti e di scarsa importanza.
Degni di nota sono unicamente i dati americani sulla produttività non agricola martedì) e sui prezzi alla produzione di novembre (venerdì).

Pierluigi Gerbino

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