L'impulso rialzista, che la scorsa settimana avevamo registrato e giustificato con molta difficoltà, ha protratto i sui effetti positivi sui mercati soltanto per pochi giorni. Poi, complici alcuni deludenti dati macroeconomici, in particolare quelli relativi al mercato del lavoro, è tornata a prevalere l'incertezza ed i mercati hanno faticato a mantenere la positività settimanale.
In effetti utilizzando il buon senso non c'è alcuna ragione di nutrire troppi entusiasmi sulla situazione economica attuale. I dati macro ci sottolineano ormai da mesi un rallentamento marcato nel ritmo di crescita dell'economia USA e mondiale, mentre l'andamento dei prezzi dell'oro giallo (tradizionale bene rifugio nei momenti di timore) e dell'oro nero (tra i principali elementi che influiscono sui costi delle imprese) sembrano piuttosto segnalare problemi recessivi imminenti. Il primo si è infatti portato in prossimità dei massimi annui, mentre il secondo li sta superando continuamente. Indicazioni analoghe vengono dai mercati obbligazionario e valutario (l'euro-dollaro), che in seguito all'importante dato di venerdì hanno rimbalzato con violenza.
In tali condizioni è difficile che i mercati azionari possano confermare il segnale positivo dato la scorsa settimana. Infatti è venuto un po' di storno che al momento non preoccupa ancora ma certo rende molto più incerta la visione rialzista, anche se è abbastanza evidente che i mercati azionari vogliono salire.
Si tratta ora di verificare nei prossimi giorni la residua solidità del movimento rialzista in atto, ora che vengono messi alla prova i primi supporti.
Non aiuta certamente il clima di incertezza della campagna elettorale americana, dove un singolo dibattito televisivo può spostare quella manciata di voti negli stati più in bilico che basterebbe a capovolgere le sorti della contesa. Sarà per questo che in USA le regole sui dibattiti televisivi sono addirittura paranoiche. Altro che la nostra par condicio, sulle reti di proprietà economica o politica del candidato premier.
Parimenti non aiuta il timore che con l'avvicinarsi della data elettorale americana Al Quaeda voglia tentare qualcosa di spettacolare nel tentativo di condizionarne gli esiti, così come bene o male le è riuscito in Spagna a marzo.
Può darsi che con Novembre giungerà qualche indicazione direzionale più precisa. Se sarà rialzista o ribassista lo vedremo.
FOCUS MACROECONOMICO
Se Bush attendeva il dato sulla creazione di posti di lavoro per rispondere fine alle critiche che il suo avversario gli muove da tempo, di non riuscire a tradurre la crescita economica in un vantaggio per il ceto medio, direi che il dato che è uscito venerdì deve avergli lasciato parecchio amaro in bocca. La creazione di 96.000 posti di lavoro in settembre, che si accompagna ad una revisione in negativo di circa 20.000 dei posti annunciati in agosto, rende ormai impossibile ridurre vicino a zero il saldo negativo di occupati durante la sua presidenza. Da quando è stato eletto, infatti, l'economia USA ha perso ben 820.000 occupati.
Il dato di venerdì risulta ben al di sotto delle attese degli esperti, che stimavano valori vicino alle 150.000 unità e testimonia una ormai chiara perdita di slancio del sistema, dopo il boom occupazionale del primo trimestre di quest'anno. Da più parti si afferma che un sistema economico con la struttura di quello americano, se fosse in salute, dovrebbe creare oltre 200.000 posti di lavoro al mese. Esso è aggravato dal ritorno al saldo negativo del settore manifatturiero, che da qualche mese era riuscito a ricreare un po' di occupazione e del commercio, mentre un settore che a sorpresa ha sotenuto l'occupazione, contribuendo per un terzo al saldo positivo complessivo, è stato la pubblica amministrazione. Che anche negli USA prendano piede le assunzioni clientelari in periodo elettorale?
La insufficiente crescita occupazionale conferma pertanto tutti i dubbi manifestati in questi mesi, con il fondato sospetto che la ripresa americana abbia creato più posti di lavoro in Cina e nei paesi emergenti che a casa propria, per effetto della delocalizzazione delle imprese.
Si avvicina quindi il punto di svolta che segnerebbe la fine della crescita e la ricaduta in un clima recessivo, se il sistema non dimostrerà una pronta ripresa fin dai prossimi mesi.
Ripresa ostacolata dal prezzo del petrolio, che proprio venerdì ha superato i 53 dollari al barile, nuovo massimo storico.
La settimana dal 11 al 15 ottobre scivola via senza dati fino a giovedì 14, quando uscirà la bilancia commerciale americana, ma è soprattutto venerdì che la trafila di dati prevista peserà molto sull'andamento dei mercati. Sono infatti concentrati in quella giornata numerose ed importanti comunicazioni macroeconomiche provenienti dagli USA. Tra esse cito le Vedite al dettaglio, la Produzione Industriale con il relativo grado di sfruttamento degli impianti e la fiducia dei consumatori.
Pierluigi Gerbino
Successivo: 19 Ottobre 2004
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