La gestione attiva, il cui obiettivo è quello di superare, in termini di performance, i benchmark, comporta maggiori costi (per studi e ricerche; remunerazione del team di gestione; movimentazione del portafoglio) rispetto alla gestione passiva (tipica dei fondi indice), finalizzata alla replica degli indici di riferimento. I maggiori oneri si traducono in un più elevato livello delle commissioni di gestione, e quindi in una diminuzione del rendimento netto per l'investitore.
Un primo interrogativo da porsi, a riguardo, è quello relativo all'effettivo comportamento del gestore, che potrebbe qualificarsi come "attivo" unicamente allo scopo di ottenere fees più alte, incompatibili con una gestione dichiaratamente passiva. Anche a causa dell'assenza, altrimenti inspiegabile, di index funds nel nostro Paese (la loro comparsa è avvenuta solo negli ultimi mesi), i fondi italiani sono da tempo accusati di indicizzazione. Nella misura in cui tali accuse trovassero conferma nella realtà, sarebbero stati violati i principi di correttezza e trasparenza, poiché i gestori avrebbero adottato uno stile diverso da quello dichiarato; inoltre la giustificazione da sempre addotta al livello delle commissioni di gestione (da più parti ritenute eccessive) si dimostrerebbe infondata.
Numerosi gli studi compiuti in materia negli ultimi anni, con risultati apparentemente contraddittori. Beltratti ha sostanzialmente utilizzato la deviazione standard dei rendimenti come indicatore dell'attitudine dei gestori. Poiché i rendimenti dei fondi mostrano tra loro una notevole dispersione, tale livello di eterogeneità è ritenuto indicatore di comportamento attivo.
Con riferimento alla stessa base dati ma al criterio del tracking error, Ratti confuta tale conclusione, dimostrando che percentualmente pochi fondi si allontanano in modo significativo dal comportamento del benchmark, sintomo di comportamento passivo degli stessi.
Occorre rilevare come la validità dei risultati di questo tipo di indagini possa essere inficiata dalla scarsa rappresentatività degli indici, sia connessa alle modalità di costruzione degli stessi , sia legata alla possibile scelta "di comodo" di benchmark ritenuti facili da battere da parte dei gestori. D'altra parte risulterebbe difficile condurre un'analisi "return based" data la limitata disponibilità di dati in serie storica.
Un approccio alternativo potrebbe essere rappresentato dalla verifica del tasso di correlazione tra i rendimenti dei fondi. Un recente studio basato su tale metodologia, confrontando i rendimenti giornalieri dei fondi azionari, ha evidenziato un legame molto intenso tra le prestazioni giornaliere dei vari fondi .
Tab. 4.4: Correlazione tra i rendimenti dei fondi Azionari Italia |
||
Classe |
Frequenza |
% sul totale |
-1 |
0 |
0,0% |
-0,8 |
0 |
0,0% |
-0,6 |
0 |
0,0% |
-0,4 |
0 |
0,0% |
-0,2 |
0 |
0,0% |
0 |
0 |
0,0% |
0,2 |
49 |
19,4% |
0,4 |
32 |
12,6% |
0,6 |
1 |
0,4% |
0,8 |
6 |
2,4% |
1 |
165 |
65,2% |
Altro |
0 |
0,0% |
TOTALE |
253 |
100% |
Fonte: Gestione attiva o passiva nei fondi comuni?, op. cit., pag. 8 |
Probabilmente nessuna indagine sulla presunta indicizzazione di prodotti qualificati come attivi dai gestori può fregiarsi di una patente di scientificità, sia per l'inevitabile influenza sui risultati del metodo scelto (limite intrinseco nell'approccio statistico), sia perché occorre in ogni caso definire (definizione necessariamente arbitraria) un valore numerico che, relativamente all'indicatore prescelto (standard deviation, tracking error o altro), rappresenti il limite tra "attivo" e "passivo".
Dott. Luigi Salvatore Picariello
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