Affinché un indice (o una combinazione di indici) possa essere validamente impiegato come benchmark, è auspicabile che possieda le seguenti caratteristiche:
-- Trasparenza: gli indici devono essere calcolati con regole replicabili autonomamente dall'investitore. Questo principio permette di anticipare i periodici cambiamenti nella composizione degli stessi, con un duplice vantaggio: da un lato gli investitori possono rivedere tempestivamente le proprie decisioni; dall'altro gli operatori che vendono il prodotto, operando in assoluta trasparenza, si pongono al riparo da eventuali critiche sulla discrezionalità delle scelte effettuate.
-- Rappresentatività: le classi nonché i titoli inclusi negli indici devono riflettere le opportunità di investimento disponibili. Un indice capace di rappresentare con precisione le caratteristiche dell'investimento agevola l'investitore nella scelta del profilo di rischio/rendimento desiderato, con evidenti ripercussioni positive sul rapporto fiduciario tra venditore ed investitore.
-- Replicabilità: gli indici dovrebbero essere completamente replicabili con attività acquistabili direttamente sul mercato. Il confronto tra un portafoglio costruito teoricamente e un portafoglio in cui si possa effettivamente investire comporta una serie di problematiche legate alla ponderazione dei costi di gestione e alla tassazione. Tanto più il benchmark è costruito con attività realmente disponibili, tanto più rappresenta una realistica misura di performance.
L'utilizzo del benchmark a fini di valutazione della qualità dei prodotti di investimento è corretto se si tengono presenti i punti di attenzione di seguito riportati.
-- Il confronto non avviene tra due gestioni di portafoglio effettivamente alternative . Nel confronto diretto tra il rendimento del fondo e la variazione del benchmark, quest'ultimo rimane sempre un portafoglio virtuale, mentre il fondo sostiene i costi di gestione, di negoziazione, i costi di liquidità , i costi di distribuzione, gli effetti legati alla tassazione .
-- Il periodo di analisi e confronto tra un fondo e il proprio benchmark è fondamentale. Un confronto tra diversi risultati su periodi infra annuali è praticamente privo di significato. Infatti su periodi così limitati le differenze di rendimento dei diversi fondi possono avere una componente puramente casuale e solo sul lungo periodo tale componente diviene trascurabile mentre acquistano peso le strategie e le valutazioni di gestione.
-- Il criterio del confronto col benchmark deve necessariamente essere affiancato ad altri criteri, anche e soprattutto qualitativi. Soffermare l'attenzione unicamente sulle differenze di rendimento fornisce un parametro quantitativo inadatto a valutare la qualità degli altri servizi resi dal gestore, in primo luogo la qualità dell'informazione e della consulenza nella selezione dei prodotti di investimento.
-- L'incertezza sulla stima dei rendimenti attesi e l'assenza di un indicatore di rischio (o di un gruppo di indicatori, se si accetta un modello multifattoriale) universalmente accettato deve indurre ad un atteggiamento prudenziale sulla utilizzazione del benchmark come indicatore di rendimento atteso e sulla validità statistica degli esercizi di valutazione della qualità della gestione.
-- Dal confronto tra la performance del portafoglio detenuto ed il benchmark il risparmiatore può avere indicazioni circa la capacità di gestione dell'intermediario ma non il rendimento che ha effettivamente ottenuto. Quest'ultimo coincide con il tasso interno di rendimento (Tir) dell'investimento e dipende in modo cruciale dai flussi di versamento/prelevamento (quantità e timing) attivati nel periodo considerato, frutto di scelte del cliente, e non del gestore.
Pur condividendo la necessità di utilizzare con cautela il benchmark, soprattutto quale strumento di valutazione della performance, non sembra accettabile l'impostazione di chi vorrebbe eliminare del tutto l'obbligo di indicazione del parametro oggettivo di riferimento. Da alcuni mesi Assogestioni e Consob hanno avviato una riflessione congiunta per la riforma del benchmark, proprio sulla base di pressioni da parte dei gestori. In particolare, accuse vengono mosse alla scarsa conoscenza ed alla non corretta interpretazione del benchmark da parte degli investitori, che vedrebbero il parametro come livello minimo di rendimento da raggiungere. Dal fronte opposto, in primo luogo da parte della stampa specializzata , si obietta che dovrebbero essere proprio gli intermediari, nell'ambito della loro funzione di consulenza, a migliorare la cultura finanziaria dei propri clienti . Quanto all'imbattibilità del benchmark (meno del 20% dei gestori ha superato, in termini di rendimento, il parametro, negli ultimi anni), è certamente vero che sui fondi gravano oneri che gli indici, in quanto portafogli virtuali, non sopportano, ma occorre tener presenti anche alcuni elementi che, al contrario, favoriscono, nel confronto, gli OICR:
-- i benchmark adottati per i fondi azionari non tengono conto del reinvestimento dei dividendi, di cui, invece, i portafogli gestiti beneficiano ;
-- la presenza di indici del mercato monetario nel parametro (con percentuali anche del 10 - 15% per i fondi azionari) ne abbassa il rendimento di lungo periodo (il fenomeno, c.d. "annacquamento del benchmark" pur essendo legato ad effettive esigenze di liquidità dei portafogli gestiti, appare a molti eccessivo nella sua entità).
In realtà la minore performance dei fondi rispetto al benchmark appare legata soprattutto al livello delle commissioni di gestione, spesso troppo elevato in rapporto al valore aggiunto ed ai servizi offerti dal gestore.
Dott. Luigi Salvatore Picariello
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