Agli inizi degli anni sessanta, un giovane studente universitario di Boston, Eugene Fama, di chiare origini italiane, lavorava per una piccola casa editrice col compito di analizzare i dati dei mercati finanziari e cercare di trarre delle indicazioni di “buy” o “sell” sui titoli.
La frustrazione derivante dalla difficoltà nell’interpretare i “segnali” lanciati dai mercati spinse Fama a buttarsi a capofitto negli studi di economia presso la University of Chicago ed a conseguire un Ph.D nel 1965.
E’ proprio alla tesi di dottorato di Eugene Fama che si deve la definizione della “Teoria del Mercato Efficiente”: Nel gennaio del 1965 il “Journal of Business” pubblicò l’intera tesi di dottorato di Fama, un lavoro di ben 70 pagine, con il titolo “The Behavior of Stock Market Prices” mentre nove mesi dopo una sintesi del lavoro venne pubblicata sul “Financial Analysts Journal” col titolo "Random Walks in Stock Market Prices".
Nel suo lavoro Fama sosteneva che stante l’utilizzo di ingenti risorse da parte delle società di brokeraggio al fine di condurre studi sui trend nell’industria, sugli effetti delle variazioni dei tassi, sui bilanci delle aziende e sulle aspettative di managers e/o politici gli analisti delle stesse società avrebbero dovuto essere in grado di battere sistematicamente un generico portafoglio titoli con le stesse caratteristiche di rischio.
Poiché, secondo Fama, in ogni situazione l’analista professionista ha il cinquanta percento di probabilità di battere il mercato, anche se le sue capacità specifiche non esistessero egli non batterebbe di molto il mercato.
L’analista di fatto “aiuta” il mercato a restare efficiente: se tutti gli investitori, infatti, detenessero portafogli costituiti da indici azionari, si aprirebbero notevoli opportunità per i traders professionisti di avvantaggiarsi della situazione. Ma proprio il movimento dei traders verso tale “nuovo mercato vergine” farebbe sì che il vantaggio scompaia, confermando ancora una volta, quindi, la “Efficient Market Theory” di Fama.
L’analisi di Fama tendeva a confermare, quindi, la “Random Walk Theory” dei prezzi azionari già investigata da autori quali Louis Bachelier nel 1900, Holbrook Working nel 1934, Alfred Cowles nel 1937, Clive Granger e Oskar Morgenstern nel 1963 e Paul Samuelson nel 1965. Alla loro opera Fama aggiunse un più rigoroso approccio statistico-matematico ed una maggiore forza nell’esposizione: si trattava di una nuova rivoluzione per la finanza. Fama formula tre diverse ipotesi in merito all’efficienza dei mercati.
Weak Hypothesis
Secondo Fama un mercato è efficiente in forma debole laddove i prezzi incorporino tutte le notizie che possono essere tratte dal mercato: se, ad esempio, esiste un andamento stagionale dei prezzi, il mercato capta immediatamente il fenomeno e vi si adegua. Se il mercato è
efficiente quindi “il passato è nel prezzo”.
Semi-Strong Hypothesis
L’efficienza in forma semi-forte allarga il campo dell’analisi
alle informazioni “pubbliche” quali ad esempio i profitti conseguiti
o i dividendi distribuiti dalla società. Nel momento in cui tali notizie
divengono di pubblico dominio, il prezzo le ha già incorporate. Scegliere,
quindi, i titoli sulla base di queste informazioni non permette di battere il mercato.
Strong Hypothesis
L’efficienza in forma forte assume che tutti gli investitori dispongano dello stesso set informativo e che nessuno possa beneficiare di informazioni privilegiate: l’informazione giunge quindi “a pioggia” sul mercato.
Dott. Andrea Castiglione
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