Nel 1963 due ricercatori, Lucian Cordaro e J.R. Ison, rivelarono i risultati di uno straordinario studio su di un lombrico primitivo, la planaria, risultati che, a loro avviso, non erano spiegabili attraverso le consuete interpretazioni dei modi d'interazione fra gli sperimentatori e i soggetti di studio.
Dato che le planarie hanno cervelli, sia pur rudimentali, si pensava che potessero essere capaci di compiti molto semplici come imparare la direzione da prendere all'incrocio di una galleria da laboratorio. Questi esperimenti erano molto comuni nelle università americane negli anni Cinquanta; in quello di Cordaro e Ison, esattamente come nell'esperimento della Oak School e nello studio or ora menzionato sui topi, agli sperimentatori fu fatto credere di avere a che fare con due gruppi diversi di vermi, alcuni geneticamente dotati o intelligenti, altri stupidi e incapaci.
Questa convinzione determinò risultati analoghi a quello che abbiamo già osservato negli altri due studi: i lombrichi che gli osservatori credevano più dotati ottennero risultati superiori apprezzabili nei loro compiti di apprendimento.
Anche se la soggettività degli sperimentatori interveniva nello studio sotto forma di aspettative circa la performance dei vermi, è molto improbabile che i risultati possano essere spiegati attraverso veri e propri attaccamenti emotivi fra gli osservatori e i loro soggetti. Infatti, come Paul Watzlawick osserva con una punta di arguzia nel suo rapporto su questo studio, «a questo stadio primitivo di sviluppo [di tali vermi, c'è] poco spazio per l'attaccamento emotivo».
In tutti e tre questi esperimenti, con ragazzi, topi e vermi, è inoltre importante notare che ci troviamo di fronte non semplicemente a conclusioni soggettive ma a risultati misurati. In ciascuno di questi studi, gli effetti poterono essere quantificati numericamente e i loro dati numerici variano nella stessa direzione delle predizioni mentali e delle aspettative degli insegnanti o degli sperimentatori.
Non è allora possibile che sottili suggerimenti possano agire in modi per noi invisibili e inspiegabili fino al punto da plasmare il comportamento dei soggetti, anche fra esseri umani e lombrichi?
Ovviamente si determina una qualche interazione si tratta solo di capire quale. Dovunque intervengono effetti di empatia, e dovunque si abbia un interscambio emotivo positivo fra sperimentatore e soggetto, possiamo attenderci che questi fattori modifichino i risultati. Ma è difficile credere che i suggerimenti, in tutti e tre questi esperimenti, possano essere spiegati completamente nel modo consueto: interazioni basate unicamente su scambi verbali, tattili o visuali, o con qualche altro comportamento vicendevole mediato fisicamente. Il problema è che questi tipi d'interazioni non sembrano essere sempre presenti, specie quando la forma di vita interessata non evoca negli sperimentatori calore e simpatia, come di solito avviene con i vermi.
Quale che sia la spiegazione scelta, è ovvio che noi diamo forma al nostro quadro della realtà, e neppure la protezione della scienza può sempre impedire il nostro ruolo di partecipazione.
Watzlawick così pone il dilemma sollevato da questi strani studi e spiega la nostra reazione tipica nei loro confronti: Proprio perché tutti questi esperimenti minano le nostre concezioni fondamentali, è fin troppo facile liquidarli con un'alzata di spalle e tornare alla comoda concezione della nostra solita routine.
Il fatto, per esempio, che psicologi molto favorevoli all'uso di test ignorino questi risultati estremamente sconvolgenti e continuino a sottoporre a test persone e animali con l'accanimento di sempre e la pretesa di «obiettività» scientifica, è soltanto un piccolo esempio della determinazione con cui ci arrocchiamo nelle nostre difese quando la nostra abituale visione del mondo viene minacciata.
Un'altra alternativa è quella di spiegare questi esperimenti dicendo che si è trattato di un evento psicocinetico in cui una mente individuale «muove la materia» in maniera ancora incomprensibile «spingendo» il comportamento degli studenti, dei topi e dei lombrichi in una particolare direzione. Ma una tale mente sarebbe non localizzata ossia ctonica e i suoi effetti si determinerebbero chiaramente al di fuori del cervello.
Se veramente non è localizzata né ristretta all'individuo, appare possibile la sua fusione con altre simili, fino a formare la Mente Unica.
La psicocinesi, quindi, parrebbe una particolare manifestazione della Mente Unica non localizzata, non fondamentale in sé e per sé.
Indubbiamente negli esperimenti che abbiamo preso in considerazione ci furono sottili interazioni che modificarono i risultati finali degli studenti, dei topi e dei vermi; alcune di queste interazioni erano di natura fisica: suggerimenti non intenzionali a cui si ricorre di solito per spiegare il «pregiudizio dello sperimentatore».
La più sottile interazione, però, può consistere in ciò che Watzlawick chiama «comunicazione umana», questa «comunicazione» sta rivelando da un punto di vista scientifico qualcosa di completamente diversa da quanto ammesso dalle odierne teorie. Probabilmente i fatti noti circa la comunicazione umana, e la comunicazione fra esseri umani e altre specie, si renderanno comprensibili soltanto attraverso il concetto di mente non localizzata, la Mente Unica, un'avvolgente unione della mente, una "coscienza universale" che coinvolge le menti di tutti, insegnanti, sperimentatori, studenti, topi e perfino vermi.
Il condizionamento telepatico come abbiamo visto nei capitoli precedenti è solo un aspetto, sicuramente il più immediato ed utilitaristico per nostri fini, ma il concetto di Mente Universale , come vedremo apre orizzonti molto più ampi ed interessantissimi in questo panorama.
Stefano Calamita
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