Data per scontata la capacità da parte dell'operatore psichico di intervenire sulla realtà alla luce di conoscenze e considerazioni di tipo storico e antropologico, le altre aree della scienza attualmente confermano con le loro ricerche quanto noi già sappiamo, infatti era estremamente improbabile che una qualsiasi tradizione abbia potuto mantenersi valida e inalterata attraverso i secoli fino ai nostri giorni se fosse stata basata soltanto su trucchi, mistificazioni e menzogne.
Noi, ripetiamo, dopo tutto non abbiamo più alcuna familiarità con gli stati straordinari di coscienza ben noti invece agli sciamani, e questa circostanza sicuramente limita qualsiasi nostra possibile osservazione sullo sciamano e la sua magia che non svelerà mai tutti i suoi segreti all'osservatore intruso, specie se quest'ultimo respinge come patologico il regno psicologico estatico, fondamentale per le pratiche dello sciamano. Le descrizioni obbiettive dell'antropologo non possono mai catturare pienamente l'essenza dello sciamanesimo, così come uno scienziato non può descrivere il Davide di Michelangelo unicamente con una analisi della struttura molecolare del marmo in cui fu scolpito.
Negli ultimi tre decenni scoperte in fatto di psicologia sperimentale hanno confermato che il modo d'intendere il mondo di una persona potrebbe effettivamente modificarne la realtà (noi già lo sappiamo perché abbiamo visto che sono le aspettative del medico che guariscono mediante l'effetto placebo). Questa idea fa a pugni con la concezione canonica della mente, suggerendo che essa possa realmente cambiare a distanza alcuni eventi: che possa «spostare la materia» e quindi modellare il mondo che ci circonda.
Watzlawick pone in evidenza la significativa ricerca che tenderebbe a raffreddare certi entusiasmi dello psicologo Robert Rosenthal dell'Università di Harvard, nota come l'esperimento della Oak School. Questo studio riguardò una scuola con seicentocinquanta studenti e diciotto professoresse. All'inizio dell'anno scolastico fu detto al corpo insegnante una cosa falsa: che un nuovo test sull'intelligenza, assegnato a tutti gli studenti, avrebbe potuto non solo determinare i loro quozienti d'intelligenza ma anche individuare quel 20 per cento degli studenti che in quell'anno scolastico avrebbero compiuto un progresso intellettuale più rapido e consistente.
Dopo lo svolgimento dei test, alle insegnanti furono dati i nomi degli studenti che, stando alle previsioni basate sui test, avrebbero avuto un profitto migliore. Ma in realtà esse furono ingannate, perché i nomi furono presi a casaccio dall'elenco degli allievi. Quindi la differenza fra questo gruppo di studenti e il resto del corpo studentesco esisteva soltanto nelle menti delle insegnanti. Alla fine dell'anno scolastico lo stesso test sull'intelligenza fu assegnato alle varie classi. I risultati? Il gruppo «dotato» dimostrò reali incrementi al di sopra della media nel loro quoziente intellettuale. Per giunta, le valutazioni soggettive delle insegnanti indicarono che questi studenti erano più spigliati, cordiali e intellettualmente curiosi degli altri.
Che cos'era successo? Ci sono molti modi di spiegare il risultato di questo studio. Potremmo dire che nelle insegnanti fu indotta una «predizione autorealizzatasi» che concretizzarono dedicando, inconsciamente, un'attenzione maggiore agli studenti «dotati», dando loro un vantaggio che si manifestò nel punteggio finale del test.
Dopo tutto, gli insegnanti amano avere allievi dotati e quindi non è irragionevole sospettare che queste professoresse abbiano svolto con attenzione ed empatia straordinarie i loro compiti «speciali». Ma la spiegazione del risultato di questo esperimento, come vedremo, è per noi invece chiara alla luce delle conoscenze già acquisite. Esso non è spiegabile unicamente mediante dai principi noti della psicologia sperimentale, secondo cui le menti sono separate e isolabili a singoli individui.
La psicologia deve ricorrere per queste spiegazioni a ipotesi sul funzionamento della mente più audaci di quelle che finora è stata disposta a contemplare . In effetti può dimostrarsi più semplicistico credere che sul nostro pianeta esistano 5 miliardi di menti separate e individuali, che suggerire l'esistenza di una sola mente (mente ctonica) non localizzata che si manifesta attraverso persone diverse. Se la mente è non localizzata, se qualcosa come una mente allargata, universale o di gruppo è reale: se queste possibilità esistono, non sarebbe del tutto irragionevole supporre che le convinzioni delle insegnanti abbiano modificato le presentazioni degli studenti «speciali» identificandosi empaticamente con loro e realizzando gli effetti osservati; infatti se la mente è davvero non localizzata dovrebbe esisterne una sola, a cui appartenevano le menti sia delle insegnanti sia degli studenti.
A questo proposito ricordiamo che esiste un concetto del funzionamento mentale che è del tutto idoneo ad accettare le esperienze di una mente ctonica e non localizzata come sane e normali: il modello sviluppato dallo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung. La stessa vita di Jung fu un pregnante esempio di come esperienze non localizzate possano irrompere nella vita di tutti i giorni. Dalla gioventù alla vecchiaia, egli esperimentò frequenti eventi che esercitarono una profonda influenza nel suo sviluppo di una psicologia del transpersonale, del transpaziale e del transtemporale.
Jung è uno dei più grandi esploratori della vita mentale degli esseri umani del nostro secolo. In un primo tempo collaboratore di Freud, si dissociò da lui perché si convinse che le teorie freudiane non arrivavano a una piena spiegazione della mente. Freud insisteva sulla repressione degli istinti sessuali come spiegazione delle afflizioni della psiche umana: un modello preponderantemente «localistico» della malattia mentale che enfatizzava rigide categorie di tempo, spazio e persona.
Jung si spinse più oltre, ed elaborò un modello della psiche decisamente non localistico. Molte delle radicali intuizioni di Jung derivavano dalle sue esperienze, in particolare dai suoi sogni. «Giorno dopo giorno noi viviamo lontano, oltre i limiti della nostra coscienza», concluse. «A nostra insaputa, anche la vita dell'inconscio procede dentro di noi... comunicandoci alcune cose... fenomeni di sincronia, premonizioni e sogni».
Stefano Calamita
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