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Analisi delle strategie di investimento attraverso il "sentiment" dei mercati finanziari

Behavioural finance (finanza comportamentale)

Per “finanza comportamentale” si intende lo studio dei comportamenti degli operatori sui mercati finanziari internazionali, valorizzando una prospettiva “psicologica”, nel tentativo di spiegare, e quindi interpretare, svariati comportamenti non “ortodossi”, tenuti dagli stessi agenti. In realtà, la “finanza comportamentale” non è stata in passato, nè per il momento è tuttora, una teoria unitaria, esposta esplicitamente e strutturata organicamente. Tuttavia, questa lacuna “strutturale” può essere considerata come un elemento non solo fisiologico, e quindi non eludibile senza conseguenze dannose, ma soprattutto propulsivo della stessa “finanza comportamentale”, in quanto l'evoluzione e l'adattamento sono caratteristiche proprie del comportamento umano.

Queste stesse proprietà lo rendono allo stesso tempo difficilmente riconducibile a modelli teorici, almeno utilizzando gli strumenti teorici tradizionali. Analizzando l'evoluzione dei mercati finanziari si evince facilmente che il comportamento delle persone (professionisti e non) sia lontano dalla razionalità. Questo comportamento fa si che i mercati finanziari siano tutt'altro che “efficienti”. Eugene Fama nel 1970 concepì le basi su cui fondare la teoria dell'Efficienza dei mercati:


1) Perfetta coerenza tra gli operatori
2) Diffusione immediata delle informazioni
3) Immediato adeguamento dei prezzi ad ogni nuova notizia In pratica il livello attuale dei prezzi sconterebbe tutte le informazioni note e non note in grado di determinare il movimento del mercato, di conseguenza il futuro delle quotazioni sarebbe influenzato da eventi accidentali ed imprevedibili: i prezzi cioè avrebbero un “cammino casuale” (Random Walk), come già detto in precedenza.

Se quindi la variazione dei prezzi sarebbero governate dal caso, qualsiasi tentativo di prevedere il futuro movimento di mercato sarebbe del tutto inutile. Diversi furono i punti di vista di molti economisti ed esperti di finanza al riguardo della Teoria del Random Walk, il più eclatante fu quello di Robert Shiller (professore alla Yale University e autore di libri famosi) che disse al riguardo:“La teoria dell'efficienza dei mercati è l'errore più rimarcabile nella storia della teoria economica”. La cosiddetta Behavioural Finance, portata avanti da diversi studiosi quali Daniel Kahneman, Amos Tversky e Richard Thaler, vuole essere un modo per superare la rigidità della teoria del Random Walk e per cercare di spiegare i fenomeni reali che si verificano sui mercati finanziari. I contributi dei suddetti studiosi hanno dimostrato che il comportamento degli operatori, e di conseguenza dei mercati finanziari, seguono logiche molto lontane da quelle ipotizzate da Fama.

Sulla base degli studi di questi esperti della Behavioural Finance, la maggioranza degli operatori nel tempo tende a sovrastimare le proprie capacità, mettendo in pratica frequentemente scelte irrazionali le quali sono influenzate dai movimenti di breve termine dei prezzi. Il comportamento irrazionale verso i mercati finanziari si amplifica tra i risparmiatori ovunque si trovino in America piuttosto che in Europa. Analizzando ad esempio l'analisi dei flussi di cassa dei fondi comuni italiani, s nota la tendenza dei risparmiatori a sbagliare sempre il “timing” negli investimenti: i capitali entrano nei fondi azionari dopo che questi hanno registrato performance significative dopodiché confluiscono verso i fondi obbligazionari dopo che i mercati azionari sono andati particolarmente male. I risparmiatori si fanno guidare quindi dai rendimenti passati per prendere le decisioni sui loro investimenti, sono convinti che per il fatto che “il mercato è cresciuto, quindi continuerà a crescere”. Le conseguenze di questo comportamento a livello di performance sono enormi.

Un'analisi su 18 anni (dal 1984 al 2002) di sottoscrizioni-riscatti e switch di fondi comuni azionari negli Usa ha dimostrato che l'investitore medio americano ha ottenuto rendimenti annui di molto inferiori rispetto alla generalità del mercato. Dal 1984 al 2002 l'indice S&P 500 è cresciuto del 793%, il 12,2% su base annua, mentre il rendimento del fondista medio è stato solo del 62,2% ossia il 2,6% su base annua. Se ne deduce quindi che il rendimento dell'investimento dipende molto più dal comportamento dell'investitore che dall'andamento del fondo scelto o dai mercati (dati “sentimentcharts”).


La finanza comportamentale e l'economia comportamentale sono campi di studio strettamente legati, che applicano la ricerca scientifica nell'ambito della psicologia cognitiva alla comprensione delle decisioni economiche e come queste si riflettano nei prezzi di mercato e nell'allocazione delle risorse. Entrambe si interessano della razionalità, o meglio della sua mancanza, da parte degli agenti economici. La “finanza comportamentale” si è sviluppata come “ramo” della teoria neoclassica a partire dagli anni '50. Questa disciplina, però, solo a partire dalla metà degli anni '70, grazie a nuovi e più approfonditi studi, ha ottenuto “visibilità” sufficiente, negli ambienti accademici, acquisendo lo status di “teoria”, per riuscire poi a proporsi con sufficiente credibilità presso gli “esperti” del settore. Il merito di questa “evoluzione” va indubbiamente ai professori di psicologia Amos Tversky e Daniel Kahneman.

Mirko Cavallaro

 

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