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Mercati efficienti e bolle speculative: cicli economici, finanza e psicologia

La “Greenspan Option”

Si assuma l’ ipotesi che le autorità monetarie agiscano in modo tale da lasciare invariati i tassi reali in corrispondenza di un aumento nelle quotazioni di mercato, e che invece operino dei tagli ai tassi nominali (o reali a breve), ogni qualvolta il mercato cade di una certa percentuale λ, e che questo basti, secondo gli investitori a stabilizzare il mercato abbastanza a lungo da poterne uscire. In questo caso è esattamente come se gli operatori detenessero un’opzione put gratuita in grado di assicurarli contro il downside risk.

Con questa asimmetria della politica monetaria, fondata sulle aspettative, i prezzi delle azioni andranno inevitabilmente a gonfiarsi. In quest’ ottica viene individuata la bolla, secondo il modello di Miller, Weller e Zhang (1999). Nel loro articolo, questi autori descrivono tale bolla tenendo conto del fatto che il comportamento asimmetrico dell’autorità monetaria ha stabilito un pavimento ai prezzi di mercato ma nessun soffitto: e che tale pavimento si innalza progressivamente ogni qualvolta che il mercato raggiunge un nuovo picco.

Più precisamente le azioni sono valutate come se gli investitori fossero in possesso di un’ opzione put priva di scadenza e con un prezzo di esercizio inferiore del 25% all’ultimo picco. È dimostrabile teoricamente come la put percepita faccia aumentare i prezzi e ridurre il premio per il rischio: Miller, Weller e Zhang hanno provato che esiste un unico “cono” che limita i prezzi di mercato, sospeso ben al disopra il loro valore fondamentale[107]. Dopodiché, facendo ricorso alle stime di Blanchard e Wadhwani ed al valor medio del risk premium nel dopoguerra, hanno trovato che una “sliding put” in grado di riparare ad una caduta del 25%, può giustificare l’ abbassamento del premio per il rischio dal 7% al 2% e quindi coniugare un valore così basso con dei parametri sottostanti al loro valore storico.

La conseguenza è che il mercato ha un largo spazio di caduta laddove i fondamentali trascinino i prezzi abbastanza in giù perché l’ investitore medio provi ad esercitare. Con una sopravvalutazione di oltre il 100% la caduta è più grande del 50%. (Tali risultati dipendono dalla credibilità di questa put). Per supportare la loro tesi, i tre autori prestano attenzione al mercato delle opzioni. Partendo dalla ovvia considerazione che la volatilità implicita delle put cresce per bassi valori del sottostante, a prima vista si direbbe che ciò non sia compatibile con il modello proposto.

Se si voleva credere che la Federal Reserve assicurasse i prezzi degli asset gratuitamente, perché mai le assicurazioni private sarebbero dovute essere tanto costose? Con investitori pienamente razionali i prezzi delle opzioni riflettono le vere probabilità risk-neutral. Ma quello descritto nel modello, era un mondo abitato da una maggioranza di investitori che avevano una specifica irrazionale convinzione, ovvero che la Fed avesse il potere di stabilizzare il mercato laddove si fosse depresso più di un certo ammontare.

Gli investitori sofisticati (quelli “davvero razionali”) non ci credevano. Credevano piuttosto che il mercato fosse sopravvalutato ed avevano un incentivo ad assicurarsi. Questa assicurazione era venduta da altri investitori sofisticati, che prezzavano le put di comune accordo. Naturalmente un gruppo di investitori sofisticati doveva essere sufficientemente in minoranza da non influenzare il mercato. Se si vuole includere in questo gruppo, come forse è il caso, alcuni gestori di portafoglio, prende corpo l’ argomentazione di Shleifer e Vishny per cui tali autorevoli pareri non si riflettevano nei prezzi di mercato[108].

Anche i gestori di fondi, non avevano molti interessi a fare grosse scommesse contro il mercato, poiché sapevano che se nel breve i prezzi si fossero mossi contro di loro, al di la dei fondamentali, avrebbero sofferto carenze di liquidità, e avrebbero avuto meno opportunità di sfruttare quella che allora era una situazione migliore di investimento. Questo lascia aperta la questione sul perché gli investitori irrazionali non vendessero le loro put “sopravvalutate”.

Miller, Weller e Zhang suggeriscono diverse spiegazioni a riguardo: Molti di questi investitori delegavano il compito di gestire i portafogli ai mutual funds e gestori di fondi pensione, che sono strettamente limitati al loro trading su derivati. Questi managers potevano anche non credere al potere della Fed. Inoltre, le opzioni sono strumenti più complessi delle azioni, e i loro rendimenti meno trasparenti. Bisogna anche ricordare che determinate situazioni hanno una durata molto breve, per cui nel tempo che l’ investitore medio realizzi che la sua fiducia nella Fed lascia inutilizzate certe opportunità di profitto, queste ultime già non esisteranno più.

Dopo aver rimediato ad un crash ed averne evitato un altro, Mr. Greenspan ha fatto abbastanza per persuadere gli investitori che avrebbe tenuto il mercato in piedi abbastanza a lungo da uscirne con tutti i guadagni accumulati, a patto che nessuno vendesse. Anche se la logica viene meno in tal caso, si può dire che la tentazione dei guadagni, che in un’ economia in piena esplosione si fanno consistenti, desse la definitiva credibilità ai nuovi orizzonti economici annunciati da Greenspan, il quale tuttavia sembra aver piuttosto cullato gli investitori in un fittizio senso di sicurezza.


107 Miller, M., and Weller, p., and Zhang, L. Moral Hazard and the US Stock Market: Has Mr Greenspan Created a Bubble? Dicembre, 1999.

108 Shleifer, Andrei and Robert W. Vishny, “The Limits of Arbitrage,” Journal of Finance 52, 1997, 35-55.

Marco Primavera

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