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Mercati efficienti e bolle speculative: cicli economici, finanza e psicologia

“Over/under-reaction” degli operatori

Il fenomeno in questione è stato già trattato tra le argomentazioni salienti
all’interno dell’analisi della razionalità degli operatori, in quanto
costituisce una chiaro esempio di behavioural finance, tuttavia essendo
questo un tema trasversale, si devono fare delle considerazioni riguardanti
il modo in cui tale fenomeno inficia la teoria dei mercati efficienti. In
particolare, facendo riferimento come nella parte seconda al contributo più
esaustivo in materia di overreaction, ovvero gli articoli di De Bondt e
Thaler (1985 e 1987), si osserva che il legame tra comportamento di
mercato e psicologia individuale conduce a delle forti evidenze concernenti
il grado di prevedibilità, e quindi l’assenza di efficienza (specialmente
nella forma debole). In particolare l’esperimento condotto nel periodo
compreso tra gennaio 1933 e dicembre 1980 dimostra che i portafogli “loser” di 35 azioni battono il mercato del 19,6 percento nei 36 mesi
successivi alla loro formazione, mentre i portafogli “winner” nello stesso
periodo guadagnano il 5 percento meno del mercato. Oltre alla asimmetria
riscontrata dunque tra la overreaction dei portafogli perdenti e vincenti, tali
risultati fornirono un’ulteriore riscontro del fenomeno della stagionalità, in
quanto gli excess returns evidenziati dal CAR, appartenevano al mese di
gennaio. Più in dettaglio i mesi t = 1, t = 13 e t = 25 hanno riportato un
rendimento eccessivo rispettivamente dell’ 8.1%, 5.6% e 4.0%.
Questi risultati si possono interpretare (De Bondt-Thaler, 1990) come il
comportamento dei prezzi azionari del periodo precedente, i quali
sovrareagiscono all’evoluzione degli utili, e Bernard (1993) fornisce
evidenza del fatto che la reazione è relativamente piccola all’inizio e viene
completata nell’arco di almeno sei mesi. Ou e Penman (1989) notano
inoltre che il mercato non utilizza completamente l’informazione dei
rendiconti finanziari e Bernard (1993) specifica che questo non è dovuto a
carenze nei modelli di ricerca o ad un’inappropriata ponderazione del
rischio, né tanto meno a costi di transazione. In altre parole questo tipo di
osservazioni sembrano suggerire che le informazioni non si trasferiscono
immediatamente nei prezzi come la teoria dell’efficienza propone.
Un altro spunto interessante deriva dal fatto, confermato anche dal valore
significativo del coefficiente di Hurst precedentemente menzionato, che i meccanismi di sovrareazione conferiscono all’evoluzione dei prezzi un
pattern sinusoidale non privo di una certa prevedibilità.

Bolle e dividendi

A questo punto sono apportate argomentazioni varie, in grado di sollevare
quanto meno delle riflessioni a proposito della presunta efficienza dei
mercati. Ma non è tutto. Si sono visti metodi di valutazione fondamentale,
e si è detto che le bolle speculative, mettendo anche da parte la
modellistica relativa alle bolle razionali, sono ciò che accade quando
l’irrazionalità prevale sui fondamentali. Prima che il presente capitolo
giunga al termine, saranno analizzati altri importanti spunti di riflessione,
in merito alla razionalità dei prezzi delle azioni, e quindi di conseguenza
sulla veridicità dell’EMH.
In ogni boom economico, riferendoci al secolo passato, c’è stato chi ha
difeso e giustificato le evoluzioni dei prezzi parlando di una logica e
consapevole risposta delle quotazioni all’andamento degli utili aziendali.
Naturalmente il legame tra prezzo e utili è sempre esistito ma non è sempre
così diretto. Chi fa ricerche a riguardo, solitamente nell’ambito dei gestori
di fondi, spesso fa riferimento ad intervalli di tempo ampi, in cui se non si
tiene in dovuta considerazione la componente inflazione, si ottengono dei
risultati poco attendibili. Come fa notare Shiller (2000) i numeri traggono
spesso in inganno, e per dimostrarlo porta alcuni esempi. Negli Stati Uniti, nel corso del secolo passato si sono registrati tre grandi mercari bullish,
quello degli anni ’20, terminato col crollo del ’29; quello degli anni ’50-
’60, finito col la crisi petrolifera dei primi anni ’70; e il lungo rialzo
cominciato nell’82 ed esploso insieme alla bolla della new economy nel
marzo del 2000, nel contesto del quale il crollo dell’87 può essere
considerato semplicemente una piccola scivolata. Nel primo caso, ricorda
Shiller, gli utili reali dell’indice S&P Composite aumentarono di tre volte,
ma i prezzi delle azioni si moltiplicarono circa per sette. Sebbene questa
possa essere vista come una reazione, sia pure eccessiva, all’andamento
degli utili, altrettanto non si può dire nel secondo caso. Infatti nel periodo
1950-59, al triplicare del valore dell’indice non solo non corrispose una
crescita proporzionale degli utili, ma questa registrò persino un’evoluzione
inferiore alla media storica, attestandosi per l’intero periodo al 16%. Infine
nell’ultimo trend rialzista le quotazioni hanno spiccato il volo ben al di
sopra del livello suggerito dagli utili effettivi.
Tuttavia, se la relazione che i prezzi hanno con gli utili può non essere
stata sempre coerente, ci si è chiesti se nei confronti dei dividendi invece è
possibile stabilirne una in grado di eludere le teorie sulle bolle speculative.
Alcuni economisti sembrano contare su questa relazione, o almeno ci
contavano prima del crollo della New Economy. Barsky e De Long (1993)
ricordano che i movimenti dei prezzi non possono essere attribuiti alla
speculazione finchè sono sostenuti da un corrispettivo andamento dei dividendi, e giustificano il pesante divario che talvolta queste due
grandezze creano, sostenendo che contrariamente a quanto ci insegna la
storia, la gente di fronte ad alti tassi di crescita dei dividendi ipotizza in
modo razionale che questi continuino a crescere sempre nello stesso modo.
Secondo alcuni si può parlare di “bolla intrinseca” volendo intendere con
questo termine che seppure i prezzi sovra-reagiscono ai dividendi, questo
avvenga in un modo del tutto logico e non suscettibile di creare
opportunità di extraprofitto[80]. Shiller tuttavia non sembra essere d’accordo
sulla significatività di questi co-movimenti. In particolare si sofferma sulla
diversa oscillazione di prezzi e dividendi, e nota che mentre nel 1932 la
borsa aveva perso l’81% rispetto ai massimi del 1929, i dividendi erano
diminuiti solo dell’11%, ed ancora nel crollo del ’73 il mercato perse il
54% contro il 6% dei dividendi[81]. Una delle possibili spiegazioni sta nelle
politiche di payout ratio approntate dai dirigenti delle imprese, i quali
come tutti gli altri investitori risentono di ondate di ottimismo e
pessimismo.
Tuttavia l’andamento dei prezzi nel complesso non sembra interamente
correlato né agli utili, né ai dividendi, come pure non lo è nei confronti
delle notizie riguardanti utili o dividendi futuri. Sebbene questo potrebbe
conferire al corso dei prezzi una certa imprevedibilità, la quale è stata
finora considerata un sinonimo di efficienza, al contrario non difende la EMH dinanzi all’ipotesi di irrazionalità degli operatori, fornendo
ulteriormente spazio alla tesi delle bolle speculative.
Per conciliare l’analisi comparata di prezzi e dividendi con le teorie
sull’efficienza, e fornire una visione più chiara si deve passare ad
introdurre il concetto di volatilità, insieme a tutti gli studi ed i test che la
accompagnano.


80 Si veda Froot, K. e Obstfeld, M. Intrinsic Bubbles: The Case of Stock Prices, American Economic Review. (1991)

81 Shiller Robert, J. Irrational Exuberance.

Marco Primavera

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