Dopo la galoppata dei mercati azionari nella prima settimana dell'anno nuovo, che ha sancito anche quest'anno la presenza del tradizionale rally di fine anno, i mercati sentono la necessità, come la maggioranza dei mortali, di digerire gli eccessi delle recenti abbuffate e ripiegano dai massimi. Le ultime giornate sono state perciò caratterizzate da prese di beneficio, sollecitate da alcune comunicazioni di importanti società americane apparse meno brillanti dei trimestri precedenti, quando non hanno addirittura segnalato una revisione al ribasso nella previsione degli utili del quarto trimestre 2005.
A molti tale circostanza deve essere apparsa una conferma dell'ipotesi di rallentamento della crescita economica USA nei prossimi trimestri. E' questo d'altra parte lo scenario che il mercato obbligazionario sembra voler accreditare, dal momento che la curva dei tassi appare ora assolutamente piatta, dopo aver addirittura mostrato in qualche giornata tracce di inversione.
A chi non è esperto di tali argomenti ricordo che la curva formata dai tassi di mercato in rapporto alla durata dei prestiti obbligazionari, dovrebbe essere normalmente inclinata positivamente. Ai prestiti a breve dovrebbero applicarsi tassi più bassi di quelli che si applicano ai prestiti a lungo termine.
Vedere rendimenti a lungo termine sostanzialmente uguali o addirittura minori dei tassi a breve, come è successo nei giorni scorsi sul mercato americano dei Bonds, è quindi un fenomeno piuttosto singolare, anche se non rarissimo. Si è infatti verificato alcune volte negli ultimi 20 anni, sia negli Usa che in Europa.
Tuttavia le statistiche dicono che quando è successa tale evenienza ben 5 volte su 6 il fatto ha anticipato di qualche mese l'avvento della recessione.
La statistica è abbastanza significativa anche se l'ultima volta, prima di questa, che l'evento si è verificato, in Gran Bretagna due anni fa, la recessione non si è manifestata.
Dobbiamo allora pensare la recessione americana sia dietro l'angolo, nonostante l'attuale tasso di crescita di circa il 4% annuo?
Sembra piuttosto difficile. Quasi nessuno tra gli esperti è arrivato a previsiani tanto lugubri. Quasi tutti sono certi di un rallentamento, ma certo non della recessione. La Federal Reserve addirittura continua a manifestare fiducia nella solidità della crescita economica americana, al punto che ha ormai cancellato ogni traccia di politica monetaria espansiva riportando i tassi ufficiali al loro livello di neutralità, al di sopra del 4%.
Eppure è difficile credere che i mercati obbligazionari insistano per così tanto tempo nell'errore di scommettere su uno scenario che non ha possibilità di concretizzarsi.
Cerchiamo allora di ipotizzare che cosa potrebbe andare storto nell'economia americana nei prossimi mesi.
L'evento che più di ogni altro ha in sé un potenziale recessivo di vasta portata è il proseguimento nella crescita del prezzo dell'energia ben oltre i records realizzati nel 2005.
Quanto sia probabile un petrolio stabilmente oltre i 70 dollari nei prossimi mesi è difficile da ipotizzare, tuttavia si intravedono quei fattori in grado di far fare un nuovo balzo al prezzo dell'oro nero. L'inasprirsi della crisi politica con l'Iran a causa della sua ambizione nucleare è un evento che molti ritengono inevitabile, così come un altro evento che potrebbe far vacillare la situazione di fragile pace in medio oriente è la possibile guerra civile palestinese e l'ascesa al potere nelle prossime elezioni delle frange estremiste di Hamas, che non potrebbe essere tollerata come se nulla fosse da Israele, già alle prese con le incertezze della successione di Sharon.
L'altro evento che da tempo gli esperti evocano e ritengono molto probabile nonostante tutti gli scongiuri e le rassicurazioni sul presente è lo scoppio della cosiddetta "pandemia" in occidente. Si dice che la cosa incerta non è "se" capiterà, ma il "quando".
La mutazione del virus dell'influenza aviaria che lo rendesse capace di trasmettersi da uomo a uomo sarebbe in grado di causare enormi costi di prevenzione e imporrebbe cambiamenti radicali nel nostro stile di vita che certamente darebbero un colpo notevole alla crescita economica occidentale.
Sembra evidente che i mercati obbligazionari stiano accreditando una certa probabilità alla realizzazione di simili scenari. Stupisce però che l'azionario prosegua sostanzialmente nella sua corsa senza grandi ripensamenti, benchè la realizzazione dell'ipotesi recessiva sia foriera di cattive notizie anche sugli utili e quindi sui corsi delle società.
Sembra prevalere sul mercato azionario una sorta di strabismo che porta le borse a guardare soltanto alle prospettive sui tassi di interesse, accreditando la strana regola del "tanto peggio, tanto meglio": se l'economia dovesse rallentare allora la Federal Reserve smetterebbe finalmente di rialzare i tassi.
Cameriere: champagne!
FOCUS MACROECONOMICO
La settimana passata ha fornito poche indicazioni macroeconomiche, in grado tuttavia di portare una relativa traquillità sui mercati. I due dati più temuti, specialmente sui mercati valutari, erano il saldo commerciale e l'indice dei prezzi alla produzione americani. Entrambi hanno fornito dati che possono essere interpretati come migliori delle attese. Il saldo commerciale ha fatto segnare un deficit inferiore al mese precedente ed alle attese, mentre l'inflazione alla produzione è salita abbastanza e più del previsto nella misurazione globale, mentre è salita pochissimo e meno del temuto nella misurazione "core", cioè al netto dei prezzi di alimentari ed energia. Dal momento che i mercati sono abituati a guardare il dato "core" la pressione rialzista dell'Euro sul dollaro ha potuto così essere contenuta. L'obbligazionario ha proseguito così nel rimbalzo, segnando nuovi cali dei tassi impliciti e confermando in USA l'inversione della curva dei tassi, con quelli a breve addirittura superiori a quelli a lungo termine.
I mercati azionari sono invece stati condizionati da alcune trimestrali e comunicazioni societarie, che hanno prevalentemente annunciato revisioni al ribasso nelle stime degli utili di palcune società, anche se non sono mancate società che hanno manifestato ottimismo. La tornata settimanale degli annunci è stata comunque complessivamente improntata alla cautela e ciò ha fermato la corsa del mercato azionario.
Per concludere la poanoramica segnalo ancora il petrolio, che staziona vicino a quota 64 dollari e l'oro che ha realizzato nuovi massimi verso quota 560 $ l'oncia.
Tornerei brevemente sull'apparente contradditorietà del dato sull'inflazione. Anche il dato sui prezzi alla produzione ha rivelato divergenza di comportamento tra rilevazione globale e rilevazione core. Perché l'inflazione core stenta a recepire l'impulso rialzista fornito dall'aumento dei prezzi dell'energia? Un motivo è sicuramente la terziarizzazione dell'economia moderna. Oggi gran parte del PIL delle economie più sviluppate è rappresentato dai servizi, mentre negli anni '70 le economie erano ancora trainate dal settore industriale. Il settore terziario è molto meno condizionato dal prezzo dell'energia di quanto non sia quello industriale.
Un secondo motivo è dovuto alla crescita imperiosa del sub-settore tecnologico all'interno del settore industriale. Prodotti info-tech sono sepre più presenti nelle nostre case e le statistiche ci rivelano che gran parte della spesa per consumi riguarda l'acquisto di tecnologia (telefonini, Pc di vario genere e dimensione, elettrodomestici di nuova generazione). Questo genere di prodotti è caratterizzato strutturalmente da prezzi in calo, grazie al continuo miglioramento qualitativo. E' quindi abbastanza naturale che l'impatto deflazionistico di questi prodotti compensi in larga misura l'impulso inflazionistico dell'energia.
La battagli a ovviamente continua e vedremo nei prossimi mesi l'evoluzione degli indici, per misurare quanto può durare questa divergenza nell'andamento delle "due inflazioni". La prima verifica è già la settimana entrante, con la misurazione dell'inflazione al consumo (mercoledì).
Altri dati importanti della settimana sono quelli di martedì, che riguardano la produzione industriale Usa. Sarà interessante verificare se proseguirà l'aumento nello sfruttamento della capacità produttiva, dopo che in novembre è stato superato il livello di 80%, oltre cui generalmente le banche centrali cominciano a ritenere surriscaldata l'economia. Segnalo anche per venerdì il consueto dato sulla fiducia dei consumatori del Michigan, sempre molto osservato dai mercati.
La settimana è infine ricca di trimestrali societarie, che saranno in grado di condizionare, nel bene e nel male, i mercati azionari.
Pierluigi Gerbino
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