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Report finanziario "CLASSIC" 17 Maggio 2006

LA MUSICA E' FINITA

La scorsa settimana avevo descritto la situazione dei mercati come piuttosto ottimistica per le borse azionarie, ipotizzando che se i costi di produzione si fossero mantenuti stabili ed i tassi avessero smesso per un po' di salire avremmo assistito ad un ulteriore giro di valzer per le borse.

Ebbene, a volte i mercati si divertono ad illudere e poi piazzano la mazzata. Quella mazzata che spesso, nei tre anni passati al rialzo, sembrava in procinto di arrivare, ma sempre evitata, si sta materializzando questa volta.

L'indice americano SP500 ha fatto la classica "finta", illudendo i risparmiatori con la rottura di quota 1315, ma non riuscendo a proseguire al rialzo. Anzi, i giorni successivi sono piombate le vendite sui mercati, con una forza d'urto tale, specialmente in Europa, che è sembrato di tornare ai tempi bui del 2002.

Il Dax tedesco in sei giornate ha perso circa l'8%, mentre il nostro SPMIB ha lasciato sul terreno il 6%. Perdite simili in così poco tempo non si vedevano da molti mesi.

Il lettore si domanderà che cosa sia mai successo per scatenare una simile tempesta.

La risposta forse sorprendente è: nulla di reale. E' soltanto cambiata la percezione del rischio sui mercati.

I dati economici usciti nei giorni scorsi non hanno aggiunto assolutamente nulla che non fosse già conosciuto.

Persino il dato sull'inflazione americana, molto atteso e temuto, dal quale sono partite le cospicue vendite odierne, a ben vedere è soltanto leggermente peggiore delle attese. Il mercato in passato ha reagito con un'alzata di spalle a dati ben peggiori.

Evidentemente il mercato era pronto per la correzione. Gli ultimi massimi realizzati sono apparsi ben più faticosi dei precedenti. Il ciclo rialzista è ormai nel pieno del quarto anno di vita ed appare piuttosto maturo, se confrontato con le analoghe fasi di mercato toro del passato.

La politica di rialzo dei tassi americani, dopo alcuni mesi, sta cominciando a drenare liquidità dal sistema e rende sempre più onerose le rate dei mutui. Il mercato immobiliare americano sta dando chiari segni di cedimento per mancanza di domanda.

Aggiungiamo, dal punto di vista tecnico, la presenza di pericolose divergenze ribassiste su tutti i grafici dei principali indici.

Ce n'è abbastanza per un cocktail non proprio salutare, che purtroppo ha fatto girare la testa ai mercati azionari e li ha spinti a seguire nel ribasso i cugini obbligazionari, che subiscono le zampate dell'orso ormai da un anno.

Ora si tratta di monitorare la situazione.

Tuttavia la semplice analisi economica non è in grado di spiegare quel che è avvenuto, anche perché a fronte delle motivazioni ribassiste presentate se ne potrebbero elencare quasi altrettante favorevoli alla continuazione del rialzo. Forse è solo questione di "sentiment". Gli americani chiamano così l'emotività dei mercati, l'umore prevalente.

Per molto tempo il sentiment è stato positivo. Da mesi, pur in presenza di segnali non sempre incoraggianti si tendeva costantemente a vedere il bicchiere mezzo pieno.

Forse il mercato comincia ad accorgersi della parte vuota e se ne spaventa, anche perché ci ripetono in tutte le salse che amaggio bisogna vendere e tornare in borsa solo sotto Natale.

Sta di fatto che i primi supporti sono stati travolti da tutti gli indici, che per la prima volta da parecchi mesi hanno dato contemporaneamente lo stesso segnale ribassista, senza nessuna pecora che abbia ora il coraggio di uscire dal branco (anche questo è un dato significativo).

Le trend lines e le medie di lungo periodo non sono ancora state raggiunte. Prima di arrivarci si devono violare alcuni importanti supporti. Pertanto è presto per vendere la pelle del. toro.

Sarà molto importante vedere che cosa produrrà il rimbalzo al termine di questo primo impulso, che dovrebbe essere imminente, dato il forte eccesso ribassista di brevissimo termine.

In passato ogni rimbalzo è riuscito a trasformarsi in un nuovo massimo. Se è vera correzioone questa volta ciò non dovrebbe succedere, ma dovremmo veder realizzare un massimo relativo più basso del precedente.

Successivamente dovrebbe partire una nuova onda ribassista impulsiva in grado di violare i minimi ante-rimbalzo ed approfondire la correzione.

Quel che è certo è che questa volta i mercati azionari devono proprio mostrare i muscoli, se ancora li possiedono.

Per mancanza di spazio parleremo degli scenari di lungo termine sul dollaro la prossima settimana.

FOCUS MACROECONOMICO

La settimana passata è stata dominata dalla riunione del FOMC della Federal Reserve di mercoledì scorso, che ha destato qualche sorpresa rispetto alle attese dei mercati. Non tanto nelle decisioni pratiche, perché i mercati avevano già correttamente scontato il sedicesimo rialzo consecutivo di 0,25%, che ha fissato per ora i tassi sui Fed.Funds al 5% tondo. Ha destato qualche sorpresa ed apprensione il comunicato finale, che è stato assai meno rilassante del previsto. Infatti l'enfasi non è stata posta sulla possibile pausa nel processo di aumento dei tassi, comunque prevista dal FOMC, ma nel fatto che in un futuro non si sa quanto prossimo potrebbero riprendere i rialzi. Tutto dipenderà dalle pressioni inflazionistiche, che rappresentano la maggior preoccupazione per Bernanke e soci. Saranno pertanto i dati sull'inflazione di questa settimana e dei prossimi mesi a determinare la politica monetaria americana. Attendiamoci perciò mercati molto nervosi e volatili ad ogni stormir di dato.

Intanto il comunicato così poco accomodante ha provocato sia sui mercati obbligazionari che su quelli azionari un paio di giornate piuttosto pesanti che sembrano aver messo in soffitta l'entusiasmo visto sul finire della settimana precedente.

Il secondo importante appuntamento è stata la bilancia commerciale americana che, a sorpresa, ha riportato un deficit commerciale in discesa e decisamente migliore delle previsioni degli esperti.

I mercati valutari, che stanno indebolendo il dollaro da qualche giorno, non ci hanno sostanzialmente creduto, continuando, dopo una breve pausa di riflessione, a martellare la moneta americana come se il dato fosse stato negativo. Gli stessi analisti hanno poi confermato l'eccezionalità e la insostenibilità futura del dato commerciale, dando così ragoine ai mercati ed hanno rimarcao l'effetto che tale dato potrebbe avere sulla prossima revisione del PIL, che potrebbe portarci un tasso di crescita americano più alto del già sostenuto 4,8%, recentemente pubblicato come stima preliminare. Tutta benzina sul fuoco dei tassi.

Prepariamoci per la settimana corrente a valutare qualche appuntamento macroeconomico americano assai importante.

Ogni giorno avrà la sua pena, a partire da martedì, con i dati sulla produzione USA ed i relativi prezzi, per proseguire con mercoledì dove i dati sull'inflazione la faranno da padrone. Infine giovedì avremo Superindice e indice Fed Philadelphia. Tra tutti il dato in grado di muovere veramente il mercato, se si discosterà dalle previsioni, è quello sull'inflazione "core".

Pierluigi Gerbino

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