Il lento avvicinamento dei massimi annuali da parte delle principali borse mondiali è proseguito per un’altra settimana senza particolari tentennamenti. Tutti gli indici azionari più seguiti si trovano a poca distanza da quei livelli che a maggio sembravano essere il top di lungo periodo.
Il più importante di essi, cioè l’indice SP500 che esprime il mercato americano è riuscito oggi a portarsi proprio ai massimi e per qualche momento ha addirittura superato il livello segnato il giorno 8 maggio, prima della correzione estiva ormai pienamente recuperata.
Il fatto che proprio dall’America vengano segnali di forza depone a favore di una estensione della positività alle altre borse, se i prossimi giorni confermeranno la capacità di SP500 di stare al di sopra di 1327 punti.
Il comportamento dei mercati ha dell’inspiegabile dal punto di vista dei fondamentali.
Infatti la maggioranza degli esperti definisce come inevitabile un cerrto rallentamento economico, che sarebbe già in atto e si dovrebbe accentuare nei prossimi trimestri. Non sono pochi a parlare addirittura di rischi di recessione in Usa nel 2007, se l’indebolimento del mercato immobiliare dovesse proseguire. La curva dei tassi di interesse sulle varie durate espressa dal mercato obbligazionario è da tempo ormai chiaramente invertita, ed anche questo è interpretato generalmente come presagio di recessione.
Spiegare com motivazioni logiche il perché i mercati azionari continuino a salire non è affatto facile.
Credo che in questi giorni stia prevalendo la convinzione che la Federal Reserve saprà evitare l’avvitamento dell’economia e magari comincerà a tagliare i tassi più presto del previsto, se necessario.
Anche i timori di inflazione si stanno affievolendo grazie al deciso calo dei prezzi del petrolio, che stanno ormai atterrando verso quota 60 dollari, quando solo due mesi fa stavano vicinissimi a quota 80 e tutti davano per ineluttabile l’arrivo a 100.
A placare la speculazione sull’oro nero sembra essere la chiara percezione che nella partita pgeopolitica dell’anno tra USA ed Iran circa la determinazione di quest’ultimo a diventare potenza nucleare, Bush, dopo le minacce dei mesi scorsi, sembra ora rassegnato ad abbaiare ma non a mordere. Anche perché sembra che la determinazione delle altre potenze a fermare l’Iran sia piuttosto scarsa. Pare proprio che agli americani di guerre fatte da soli basti quella irakena, che assomiglia sempre di più al Vietnam. I leader iraniani hanno capito bene l’antifona e possono cisì esprimersi nell’arte del temporeggiamento e del diversivo per far passare i mesi, in attesa nmagari che Bush perda le elezioni parlamentari di novembre e si ritrovi “anatra zoppa”. Se così sarà, non si è mai vista un’anatra zoppa iniziare una guerra.
Se non ci si metteranno gli uragani è difficile ipotizzare un rapido ritorno da parte del petrolio oltre i 70 dollari. Non che a 60 i prezzi siano bassi, ma certo le pressioni inflazionistiche, che già si sono rivelate non eccessive quando le quotazioni erano a livelli superiori, non dovrebbero acuirsi.
Pertanto sui mercati sembra che si giochi la carta speculativa del rallentamento controllato e tutto sommato breve dell’economia americana, che consentirebbe agli utili societari di mantenersi piuttosto forti e di non flettere più di tanto. Considerando che, grazie alla forte crescita passata dei profitti, le valutazioni azionarie sono ancora abbastanza a buon mercato per molte società, ecco lo spazio per tentare un ulteriore allungo delle quotazioni.
Vedremo nuovi massimi dappertutto ed il ripristino del trend rialzista per i prossimi mesi?
Chissà. A differenza di altre volte in questo frangente la salita è decisamente tranquilla e priva di impulsi euforici, quasi come se il rialzo avvenisse in punta di piedi per non svegliare nessuno dal sogno.
A prima vista può sembrare un indice di scarsa convinzione. Ma non è detto. In giro di liquidità da investire ce n’è molta. Oltretutto parecchi investitori nei mesi estivi, spaventati dallo scrollone di maggio, hanno ridimensionato le posizioni sull’azionario. Se si torna oltre i massimi parecchi si vedranno costretti a rincorrere il mercato e si precipiteranno a comprare. Alimentando così un nuovo allungo delle borse.
A patto però che Mr. Bernanke riesca a tenere ben salde le mani sul volante.
TELECOM: TRA PASTICCI E POLVERONI
Le vicende degli ultimi giorni, con le dimissioni di Tronchetti Provera da presidente Telecom e la cooptazione del “deus ex machina” Guido Rossi al timone della società, il coinvolgimento di Prodi e del suo consigliere Rovati in una oscura vicenda di condizionamento sotterraneo delle strategie aziendali del gruppo Telefonico e l’interessamento del Parlamento che ne ha fatto argomento di infuocata discussione politica, impongono che si torni sull’argomento anche questa settimana.
La vicenda, che certamente si arricchirà di altri sconcertanti particolari e di gossip politici di quart’ordine, rispecchia la incredibile capacità italiana di trasformare in farsa anche le cose più serie.
Prodi è riuscito a dare l’impressione a qualcuno di non saper controllare la sua maggioranza, come ha già dimostrato più volte in questi mesi, e di non saper nemmeno controllare quel che combina il suo consigliere personale che propone piani di ristrutturazione a nome proprio ma utilizzando la carta intestata della Presidenza del Consiglio.
Da altri è stato invece dipinto come un fine giocatore di scacchi nella partita del potere, con un’abilità tipicamente democristiana di andreottiana memoria.
Comunque sia, la sua immagine e quella del Governo non ne esce certo rafforzata.
Mi ha però abbastanza sorpreso che nel dibattito politico che si è sviluppato, quasi tutti abbiano dato per scontato delle cose che scontate non lo sono affatto.
Mi riferisco innanzitutto al fatto che in un paese ad economia capitalista il governo non debba interessarsi di quel che ha in programma di fare il principale gruppo industriale. Quasi tutti hanno bollato il sia pur maldestro tentativo del governo di influenzare le decisioni strategiche del gruppo Telecom come una interferenza proibita, e Prodi è stato trattato come un bambino sorpreso con le mani nella marmellata.
Il liberismo economico, inteso come possibilità dei gruppi societari di fare e disfare strategie e programmi rispondendo unicamente al “mercato”, per cui ogni scelta è valida se crea profitti e viene premiata dalla Borsa, è diventato ormai un dogma consolidato e indiscutibile.
Eppure su tutti i manuali di economia l’intervento dello Stato nell’economia è giustificato con la tutela dell’interesse pubblico contro i possibili abusi del pur legittimo interesse privato. Oggi l’affermare che oltre all’interesse degli azionisti esiste anche un interesse collettivo è diventato quasi una bestemmia e chi lo dice passa immediatamente per comunista.
Eppure questo concetto ha addirittura dignità costituzionale, dal momento che l’art. 41 della Costituzione, quando stabilisce che l’attività economica privata è libera, aggiunge che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”.
All’art. 43 è poi previsto addirittura, sempre ai fini di utilità generale, la nazionalizzazione o l’espropriazione di imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali.
In ambito europeo la Francia è l’emblema di questo interventismo ed ha una tradizione consolidata di partecipazioni statali nei principali settori strategici, senza che ciò abbia causato alcun deterioramento di efficienza o impoverimento nazionale. Anzi.
Perciò il timore del Governo che con la vendita di Tim tutta la telefonia mobile passi in mano straniera e l’intenzione di ostacolare tale esito, se si ritiene quello telefonico un servizio di preminente interesse pubblico, sono del tutto legittimi. D’altra parte il governo, a differenza dei mercati, risponde al popolo italiano e dal voto popolare trae legittimazione.
Personalmente non condivido i timori del governo, perché, come ho già scritto recentemente, l’interesse pubblico a mio parere è quello di avere servizi efficienti ed a prezzi più bassi possibili per tutti gli italiani, non che i lauti utili della telefonia mobile, garantiti da inefficienze ed ostacoli più o meno occulti alla concorrenza, affluiscano in mani italiane. Preferirei perciò che il governo intervenisse sulla regolamentazione e sui poteri delle autorità di controllo, per combattere efficacemente le forme di limitazione della concorrenza che sono sotto gli occhi di tutti.
Però è legittimo che il governo si occupi di queste cose senza vergognarsene e non ci sarebbe nulla da scandalizzarsi se il progetto Rovati, che ipotizza una nazionalizzazione delle infrastrutture di telefonia, gas ed energia elettrrica, da dare in concessione a imprese private fornitrici dei servizi, invece che essere lestamente sconfessato da Prodi come infamante, diventasse un progetto dell’intero governo, attuato in seguito ad un dibattito che partisse dalla constatazione che la privatizzazione di molti servizi un tempo gestiti dal monopolio pubblico in molti casi non ha portato a miglioramenti di efficienza, ma ha ingrassato gli azionisti di queste aziende divenute società per azioni, con buona pace per il consumatore che continua a pagare bollette sempre più salate.
Certo, bisognerebbe che il governo avesse maggior coraggio e convinzione e si assumesse le responsabilità politiche, anziché far agire nell’ombra cosiglieri del premier a titolo personale, salvo poi sconfessarli se le trame vengono alla luce. Troppo facile, e troppo democristiano.
FOCUS MACROECONOMICO
Ancora una settimana abbastanza interlocutoria, quella vissuta sul fronte macreoeconomico, con il dato principale e maggiormente temuto, l’inflazione USA, uscito in linea con la maggioranza delle previsioni e pertanto senza influenza sui mercati.
A rassicurare le Borse ha provveduto anche l’andamento del prezzo del petrolio, che negli ultimi giorni ha preso la via del ribasso e si è riportato fino a quasi 60 dollari il barile.
Dal fronte aziendale viene qualche ombra, con l’indebolimento degli indici di fiducia dei managers americani, che lascia presagire timori di recessione.
Tali incognite non hanno comunque spaventato i mercati azionari, che continuano lentamente e senza grosse oscillazioni la loro marcia di avvicinamento ai massimi dell’anno.
I prossimi giorni riservano il dato sui prezzi alla produzione ed il superindice Usa, ma soprattutto l’esito della riunione del FOMC della Federal Reserve, che scioglierà il dubbio se la pausa nell’inasprimento dei tassi potrà continuare. Le previsioni degli esperti e dei mercati obbligazionari sembrano orientate verso un ulteriore mese di pausa.
Pierluigi Gerbino
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