I mercati azionari stanno vivendo giornate piuttosto particolari, tanto che il periodo attuale può essere classificato come fuori dalla norma, almeno per quel che riguarda il mercato azionario italiano.
A livello generale l'indicazione che viene dai principali mercati mondiali è ancora una volta discordante. All'incertezza proveniente dall'America si contrappone ancora una volta un miglior stato di salute delle borse europee e asiatiche, in particolare di quella giapponese.
Non è la prima volta che questo accade negli ultimi tempi. La giustificazione sembra ora essere più convincente che in passato. Infatti nelle ultime settimane sono arrivate dall'Europa e dal Giappone indicazioni macroeconomiche che autorizzano a parlare di una certa accelerazione della ripresa economica in queste aree, tanto lungamente attesa e mai prima d'ora intravista in modo convincente. Le Borse hanno festeggiato realizzando nuovi massimi annuali e confermato nei giorni scorsi l'impostazione rialzista del trend anche nel breve periodo.
Al contrario continuano invece a pervenire dagli Usa indicazioni congiunturali decisamente poco brillanti. Al dato deludente circa il PIL del 4° trimestre 2005, arrivato 10 giorni fa, si è aggiunto più recentemente il calo della produttività e la crescita del costo del lavoro, che tolgono ossigeno alle imprese e costituiscono un impulso inflazionistico che si aggiunge ai costi energetici. Ai dati macro deludenti si uniscono trimestrali decisamente in ombra rispetto a quelle dei trimestri passati, con le imprese piuttosto caute nel prevedere gli utili futuri.
Sono tutti segni che spingono a pensare che il punto più alto del ciclo economico negli Usa sia ormai dietro le spalle e che quel che attende il sistema economico americano sia la seconda parte della parabola, quella discendente, con in aggiunta indicazioni inflazionistiche non completamente tranquillizzanti.
Questo spiega la lontananza degli indici azionari americani dai massimi di gennaio e giustifica la realizzazione di segnali di inversione del trend di breve periodo su questi mercati. Il livello chiave, che viene testato in questi giorni e che potrebbe essere superato al ribasso, fornendo un segnale ribassista piuttosto chiaro, è 1.260 per l'indice SP500 e 2.240 per l'indice Nasdaq. Al di sotto si verrebbe a realizzare una prima successione di massimi e minimi decrescenti, che individuerebbero un trend ribassista di breve periodo. La rottura eventuale di 1.245 (SP500) e di 2.220 per Nasdaq confermerebbe l'inversione anche per il medio periodo dando il via ad una correzione di più ampia portata.
Quanto sia verosimile la continuazione del rialzo in Europa in presenza di una correzione americana (per ora solo eventuale), non è facile da ipotizzare. I mercati europei e quello giapponese hanno già stupito nel 2005, performando assai meglio di quello americano. Le borse hanno correttamente anticipato la ripresa, che oggi i dati stanno confermando.
Possiamo sperare che questi mercati siano in grado di strappare agli USA il bastone del comando riuscendo a mantenere la direzione rialzista a dispetto dei ribassi americani?
Personalmente mi sembra azzardato. Credo sia più prudente e realistico ipotizzare che qui i cali possano essere meno accentuati ed i rimbalzi forse più robusti, ma non che si riesca a mantenere una direzione diversa da quella che ci detta l'America.
Quanto detto vale per l'Europa, non necessariamente per la borsa nostrana. A Piazza affari negli ultimi giorni sta infatti avvenendo un fenomeno strano ma non infrequente in questi anni: il ruggito delle banche.
L'abbiamo visto più volte in passato. Periodicamente si sono costruite fantasie speculative su ipotetiche aggregazioni e battaglie per il controllo delle banche italiane, prendendo addirittura a prestito per definire tale situazione il nome di un celebre gioco di simulazione militare: il risiko bancario. Le fantasie, finchè al timone della nostra Banca Centrale c'è stato il non rimpianto Fazio, sono state sempre puntualmente frustrate dal veto dell'organo di vigilanza, ma sono servite a crere occasione di guadagno per chi si avventurava nella speculazione dietro tali rumors.
Ultimamente l'avvento di Draghi, considerato più aperto di Fazio (non ci vuole molto), ha rinfocolato le speranze di chissà quale rivoluzione in ambito bancario e la notizia dell'OPA di BNP Paribas sulla BNL, con l'ingresso nell'arena bancaria italiana di un nuovo competitor di peso ha scatenato le ipotesi di mosse e contromosse, fusioni, aggregazioni, scalate e chi più ne ha più ne metta. Lunedì 6 febbraio la reazione alla notizia dell'OPA, inattesa dal mercato, è stata fulminante. Tutte le banche italiane sono schizzate in alto (ad eccezione di BNLche era salita prima e si è allineata al prezzo OPA). Anzi, le banche che sono salite di più sono state proprio le meno efficienti e le peggio gestite, sulla base del ragionamento che sono proprio le Cenerentole del settore quelle che con più probabilità saranno prede del prossimo principe azzurro straniero, mentre le migliori realtà e maggiormente competitive (Unicredito, tanto per non far nomi) sono quelle salite meno.
Personalmente non comprendo molto bene il motivo per cui le banche straniere dovrebbero fare a botte per comprarsi le banche italiane, dal momento che a detta di tutti gli analisti il settore bancario italiano è mediamente meno efficiente di quello dei paesi europei più evoluti. Anzi, le banche italiane stanno affrontando una crisi di fiducia da parte dei risparmiatori italiani che solo le ali protettive di Fazio avevano permesso di ignorare. Se Draghi si mostrerà appena un po' meno condiscendente con le banche italiane è presumibile che una concorrenza un po' più vera abbatta i margini del tutto ingiustificati delle meno competitive.
Non intravedo pertanto sul settore tutti quei margini reddituali di miglioramento.
Comunque come al penso io importa per nulla a chi si sta lanciando in speculazioni di breve periodo sulla base di voci e supposizioni. Quel che conta è che l'euforia tipica delle fasi finali di un ciclo rialzista fornisce il necessario alimento a queste speculazioni e permette di spingerle oltre quel che il buon senso consiglierebbe.
Qualcuno ricorderà quel che si diceva per alimentare il rialzo dei titoli delle telecomunicazioni durante la bolla speculative del 1999-2000. Sembrava che le prospettive future giustificassero qualunque prezzo pagato per averele famose licenze UMTS, che si sono poi rivelate un fiasco colossale.
Ora si sta favoleggiando sulle sinergie che si avrebbero dalle fusioni bancarie, per giustificare i prezzi che gran parte delle banche hanno raggiunto o potrebbero raggiungere. Tra qualche anno verificheremo quanto realistiche saranno state tali supposizioni.
Intanto bastano a portare in alto le banche e, siccome il nostro indice SPMIB è pieno di bancari (ben 13 su 40 titoli), a far volare anche la nostra borsa, che potrebbe anche dimenticare per un po' l'esistenza della forza di gravità, salvo poi scoprire di colpo di aver volato troppo alto, come successe a marzo del 2000.
FOCUS MACROECONOMICO
Dopo il pessimo dato preliminare sul PIL americano di fine gennaio, nei giorni scorsi sono venuti dagli USA altri dati macroeconomici deludenti. Gli indicatori di attività manifatturiera (PMI di Chicago e l'indice ISM dei direttori d'acquisto) sono stati misurati a valori inferiori alle attese, ma è stata soprattutto la misura della produttività ad impensierire. Infatti per la prima volta dal 2001 l'indicatore relativo al 4° trimestre è calato rispetto al dato precedente.
La cosa in sé diventerebbe preoccupante se venisse confermata anche dalla prossima misurazione, poiché significherebbe un aumento sostanziale della pressione inflazionistica dal lato del costo del lavoro, che si aggiungerebbe al già rilevante aumento di costi dovuto ai prezzi delle materie prime.
La Federal Reserve, pur avendo aumentato ancora una volta i tassi portandoli al 4,5%, ha inviato segnali di un probabile stop alla manovra di misurato e continuativo rialzo e probabilmente ridurrà gli interventi dei prossimi 6 mesi a non più di uno o forse due. Il comunicato ufficiale, che ha accompagnato la decisione con toni rassicuranti, afferma che la crescita appare solida e con pressioni inflazionistiche contenute. Pertanto la necessità di ulteriori rialzi non viene più presentata come ineluttabile, ma lasciata all'evolversi della situazione congiunturale.
Pare quindi che dal punto di vista della Fed non ci sia ancora da preoccuparsi.
Tuttavia dal fronte delle trimestrali continuano a pervenire indicazioni in chiaroscuro, con parecchie società deludenti (tra cui Amazon e Google) e frequenti revisioni al ribasso delle stime sugli utili futuri.
Tale situazione porta un po' di nervosismo e di aumento di volatilità sui mercati azionari, che non hanno confermato le indicazioni rialziste di fine gennaio.
La settimana corrente prevede pochi dati macroeconomici americani, tra cui segnalo solo la Bilancia Commerciale Usa di venerdì, e sarà caratterizzata soprattutto dalle trimestrali, in grado di provocare ancora volatilità sui mercati, come d'altra parte dovrebbero fare le notizie geopolitiche dai fronti caldi mediorientali.
Pierluigi Gerbino
Successivo: 14/02/2006 Senza bussola
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