I mercati in questi giorni sono stati messi alla prova da dati macroeconomici piuttosto bruttini ed hanno reagito in modo non omogeneo.
Ricapitoliamo. Per la prima volta da più di 3 anni sono giunti dati dall’economia reale che lasciano pensare che una recessione americana sia possibile. Ben due rilevazioni del sentiment dei manager industriali (il PMI e l’ISM) hanno registrato un valore al di sotto di 50, che viene normalmente interpretato come lo spartiacque tra attese di crescita e di recessione.
Tali dati si aggiungono ad indicazioni di forte calo del settore immobiliare ed oggettivamente lasciano qualche dubbio sulle rassicurazioni che la Federal Reserve infonde continuamente ai mercati.
Proprio ieri il dato dell’ISM relativo ai servizi ha portato un po’ di sereno, mostrando una crescita che allontana per ora il timore che le spinte recessive si diffondano anche ai settori non manifatturieri.
Però non c’è dubbio che lo scenario economico americano ipotizzabile per i prossimi trimestri è caratterizzato almeno da un consistente indebolimento della crescita.
Ne hanno preso immediatamente atto i mercati obbligazionari, che sono tornati ai livelli di inizio anno annullando tutto il ribasso messo a segno in primavera e tornando a scontare tassi di interesse sul decennale decisamente inferiore al 4% in Europa ed al 5% in USA.
Ma ne ha soprattutto preso atto il dollaro, che in pochi giorni si è indebolito al punto di uscire dalla congestione che lo intrappolava da parecchi mesi e fornire un chiaro segnale negativo contro tutte le principali valute. Il cambio euro-dollaro ha così potuto superare quota 1,33 e si avvia più rapidamente del solito a testare il precedente massimo di fine 2004 di poco inferiore a 1,37.
Il mercato azionario sta dando invece segnali contrastanti. Infatti se le borse europee stanno mostrando una certa debolezza, scendendo ben al di sotto dei massimi del mese scorso, dagli USA vengono invece segnali di forza, con l’indice SP500 che è riuscito a far segnare proprio in questi giorni un nuovo massimo annuale oltre quota 1400 ed il Nasdaq che ha quasi raggiunto il suo massimo di novembre.
Il motivo del differente comportamento delle borse azionarie sta proprio negli effetti della debolezza del dollaro. I mercati stanno interpretando la svalutazione del dollaro come un fardello competitivo che sta passando dalle spalle delle società americane su quelle delle società europee.
Ritengo comunque che la correlazione esistente tra le due aree sia troppo forte per segnare comportamenti troppo divergenti.
Se la borsa Usa sarà in grado di proseguire il suo impulso con una certa decisione credo che anche i mercati europei romperanno gli indugi ed i precedenti massimi e potranno galoppare anch’essi verso quel rally di Natale da tutti previsto, invocato e preteso.
Troppe sono le forze che spingono in questa direzione.
Il primo è l’esuberanza del popolo dei risparmiatori, trascinato dai neofiti che non hanno alcuna esperienza del mercato orso che abbiamo vissuto solo 5-6 anni fa. Ne sono la prova le adesioni a qualsiasi genere di IPO che venga proposta. Ormai le richieste sono costantemente superiori di 8-10 volte l’offerta, qualunque sia il prezzo di collocamento e qualunque sia la società offerente. Lo schema si completa poi con l’invariabile decollo del titolo una volta ammesso agli scambi.
L’altro elemento trainante è l’interesse delle società di risparmio gestito a chiudere in gloria l’annata con rendimenti a due cifre per ritagliarsi una certa rendita di posizione sulla raccolta per il 2007. E’ ben difficile che mollino facilmente l’osso del rialzo a poche settimane dalla meta.
L’ultimo elemento è il trend, che permane stabilmente orientato al rialzo ed ha dimostrato di saper rimbalzare su ogni minima correzione.
Contro un tale spiegamento di forze rialziste neanche gli eccessi degli ultimi mesi e qualche segnale dinamico divergente possono arrestare facilmente il toro di fine anno.
Anche se sappiamo che i mercati non telefonano mai prima di cambiare direzione e spesso amano sorprendere e smentire proprio le certezze più “certe”.
FOCUS MACROECONOMICO
Ancora dati macroeconomici piuttosto negativi, rendono difficile l’interpretazione dello scenario futuro e disturbano il cammino dei mercati in questo scorcio finale del quarto anno di toro.
Questa settimana alla revisione in positivo del PIL americano del 3° trimestre, portato al 2,2% dal 1,6% precedente, hanno fatto da pesante contraltare la serie di dati ancora negativi provenienti dal settore edilizio americano e le prime rilevazioni preoccupate dei managers industriali americani sulla congiuntura dei prossimi trimestri.
Quest’ultimo dato è abbastanza rilevante, poiché sia l’idice PMI di Chicago che il più comprensivo ISM manifatturiero, che misurano entrambi il sentiment dei responsabili degli acquisti delle principali industrie USA, per la prima volta da oltre 40 mesi sono scesi sotto il livello di 50 (curiosamente entrambi misurati a 49,5).
50 rappreventa il confine tra attese di crescita economica ed aspettative di recessione. L’essere caduti al di sotto rappresenta un importante segnale di incertezza da parte di coloroche si ritiene meglio di ogni altro conoscano la salute delle loro imprese.
L’impatto ribassista di queste notizie c’è stato, anche se non molto evidente sugli indici azionari americani. Molto più violento è stato il calo del dollaro sull’euro.
Sui mercati sembra ora materializzarsi lo spettro della recessione, e di un possibile hard landing, a dispetto delle dichiarazioni ancora abbastanza rassicuranti delle autorità politiche e monetarie americane.
Non siamo ancora alle scene di panico ma il numero di coloro che ipotizzano ridimensionamenti degli utili societari e uscite di capitali dagli USA comincia a crescere e tanto basta per fermare l’entusiasmo degli investitori.
La prima settimana di dicembre presenta parecchi appuntamenti macro chiamati a fornire ulteriori indicazioni per la lettura degli scenari futuri. Segnalo in particolare l’ISM non manifattutriero, i dati sul mercato del lavoro Usa e la fiducia dei consumatori. La BCE giovedì prossimo dovrebbe provvedere ad una ulteriore stretta monetaria portando i tassi al 3,5%, ignorando per ora le nuvole grigie sulla crescita.
Pierluigi Gerbino
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