ALLA FINE O A META’
I mercati ci mandano in vacanza senza aver risolto il dubbio se la correzione di maggio possa essere considerata ormai alle spalle oppure si stia soltanto prendendo una pausa per farci vedere nei prossimi mesi estivi la sua parte più truce.
Nei giorni scorsi la Federal Reserve ha provato a rassicurare i mercati lanciando un messaggio abbastanza tranquillizzante i occasione del suo diciassettesimo rialzo consecutivo dei tassi.
Modificando i toni tradizionalmente improntati alla preoccupazione per le pressioni inflazionistiche, questa volta è stato inviato ai mercati un chiaro segnale che, a meno di sorprese sui dati inflazionistici futuri, la stretta dei tassi è prossima al capolinea.
Gli esperti stanno ora discutendo se Bernanke si fermerà all’attuale livello di 5,25% oppure ci riserverà ancora un ulteriore ed ultimo ritocco al 5,5% con la riunione del FOMC di agosto.
E’ comunque opinione decisamente maggioritaria che poi dovrebbe seguire un momento di pausa per valutare gli effetti della stretta sul rallentamento dell’economia USA.
Non manca chi addirittura ipotizza per fine anno un primo calo dei tassi, qualora il sistema economico americano accentuasse i segnali di rallentamento che stanno giungendo in queste settimane.
Lo sviluppo di questo scenario indicherebbe pertanto, a meno di sorprese, che la correzione che abbiamo visto sui mercati azionari potrebbe essere archiviata come le precedenti ed i mercati potrebbero cominciare una fase di accumulazione per poi esprimersi nuovamente al rialzo a fine anno, magari per scontare il futuro inizio di una politica monetaria nuovamente accomodante, anche in virtù del fatto che i multipli azionari sono al momento ancora abbastanza attraenti. Infatti il rapporto P/E sull’intero paniere SP500 è di circa 19, contro una media storica di lungo periodo di circa 15.
Ci sono però diverse incognite che non vengono prese in considerazione in questo ragionamento.
Innanzitutto, per ipotizzare che la Fed decida effettivamente di interrompere il rialzo dei tassi, dobbiamo verificare sintomi di rallentamento economico più significativi di quelli che stiamo vedendo e ricevere dai mercati indicazioni di discesa del prezzo del petrolio. Fino a quando il petrolio stazionerà intorno od oltre i 70 dollari al barile, le pressioni inflazionistiche non accenneranno a diminuire, anche in presenza di un certo rallentamento economico. Il petrolio potrà significativamente flettere solamente se verranno risolti pacificamente i conflitti sul nucleare (Iran ed ultimamente anche Corea del Nord) e se l’economia mondiale rallenterà significativamente. Sottolineo che entrambe le ipotesi dovrebbero verificarsi. Una sola potrebbe non essere sufficiente a stabilizzare il petrolio al di sotto dei 60 dollari.
Le economie occidentali paiono pertanto strette nella morsa di inflazione e recessione. La prima sembra ancora lungi dall’essere arrivata a fine corsa. Anzi, alcuni indicatori stanno evidenziando la possibilità che per qualche mese gli indici dei prezzi continuino a salire. Perciò sorprese negative in questo ambito sono del tutto possibili. La recessione sembra al momento una ipotesi piuttosto lontana, al punto che non si capisce come possano i mercati obbligazionari Usa continuare a manifestare tassi a breve più alti di quelli a lungo termine, ipotizzando così una recessione imminente.
Se dovessero aver ragione, non si capisce come questo evento possa far bene alle borse.
A mio parere sia che si sviluppi la prima ipotesi (inflazione e non recessione), sia che si sviluppi la seconda (recessione e non inflazione), gli utili aziendali ne risentiranno negativamente e dovrebbero cominciare a scendere in modo consistente nei prossimi trimestri. Credo pertanto assai probabile che la correzione non sia affatto finita, ma soltanto al termine della sua prima fase. Mi aspetto per l’estate e l’autunno una ripresa del ribasso ed il raggiungimento di livelli assai più bassi di quelli registrati ad inizio giugno.
Poi si vedrà, anche in base a quel che ci diranno gli indicatori economici.
SCENARI GRAFICI: SP500
Proviamo a verificare che cosa ci indicano i grafici relativamente al dilemma in atto sui mercati: correzione finita o solo a metà del guado.
Lo facciamo analizzando l’indice guida delle borse mondiali: l’americano SP500.
Dopo aver sviluppato oltre tre anni di movimento rialzista abbastanza regolare, dai 788,9 punti del 12 marzo 2003 fino ai massimi dell’8 maggio scorso a quota 1326,7, è iniziata una fase di correzione abbastanza significativa, certificata dallo sfondamento della base inferiore del canale rialzista che aveva contenuto le oscillazioni dell’indice per tutto il 2006.
La prima onda ribassista, dopo aver effettuato un preciso pull back per ritestare dal basso la trend line infranta il 17 maggio, ha portato l’indice ad appoggiarsi ed addirittura violare marginalmente la trend line di lungo periodo che contiene tutte le correzioni dell’indice a partire dall’agosto 2003.
La tenuta a fatica di tale trend line ha consentito all’indice di impostare un rimbalzo, favorito dalla presenza di divergenze rialziste.
Al momento tale rimbalzo deve essere classificato ancora come semplice correzione dell’impulso ribassista in corso. Per chi si affida alle onde di Eliott saremmo in onda 4. Tale conteggio verrebbe invalidato al superamento dell’area compresa tra 1286 (ritracciamento del 61,8% del movimento ribassista) e 1291 (massimo del 2 giugno e precedente rimbalzo).
Pertanto l’attesa è per una ripresa del ribasso almeno fino ai minimi di giugno e probabilmente oltre. Gli obiettivi in caso di sfondamento di 1220 sono situati dapprima a quota 1170 e nel peggiore dei casi l’area 1060.
Se invece il mercato vorrà realizzare l’ipotesi meno probabile, superando 1291, potremo archiviare la correzione e ripensare al test dei massimi dell’anno a 1327.
L’estate dovrebbe risolvere il dubbio.
FOCUS MACROECONOMICO
Se dobbiamo attribuire a qualche notizia il merito della poderosa ripresa dei mercati azionari a metà della scorsa settimana, questi è sicuramente l’ondivaga successione di dichiarazione della Federal Reserve.
Così come il mese scorso le preoccupazioni circa l’inflazione, susseguitesi a precedenti indicazioni rassicuranti, avevano causato il crollo dei mercati, che sono stati colti di sorpresa dal mutare delle convinzioni di Bernanke, giovedì scorso è successo esattamente il contrario. Ancora una volta la Federal Reserve ha modificato le proprie convinzioni, e a corredo del diciassettesimo rialzo di un quarto di punto dei tassi, ora giunti al 5,25%, ha modificato l’impostazione del comunicato, rendendolo assai più rassicurante sulle capacità di autoregolazione dell’economia USA dei precedenti ed ipotizzando addirittura la prossima fine dei rialzi dei tassi. Ciò ha inferto immediatamente una sferzata di ottimismo ai mercati azionari.
Un ottimismo alimentato anche da qualche altro dato, come quello sul mercato immobiliare, che sembra assai più resistente di quanto non ipotizzassero i pessimisti. Anziché crollare, le vendite di case sono nuovamente aumentate a maggio, e questo allontana anche i timori di recessione pilotata dal mercato immobiliare.
A questo punto c’è da sperare che l’estate porti qualche chiarimento congiunturale, poiché il comportamento dei mercati ma, diciamolo pure, soprattutto quello della Federal Reserve comincia a sembrare abbastanza schizofrenico.
La prima settimana di luglio si presenta a scartamento ridotto, condizionata dalla festività americana del 4 luglio, ma con un certo numero di dati macro. Tra essi spiccano l’indice ISM ed i dati sul mercato del lavoro americano.
La seconda settimana di luglio presenta poche indicazioni macro. Le uniche di un certo rilievo sono la bilancia commerciale Usa e l’indice di fiducia dell’Università del Michigan.
Cominceranno a fare capolino le prime comunicazioni trimestrali delle società relative al secondo trimestre 2006.
Pierluigi Gerbino
Successivo: 20/09/2006 Questione di fiducia
Sommario: Indice