Il rischio assume grande importanza all’interno del discorso del comportamento più o meno razionale dei mercati, e come tale va affrontato in modo attento. Infatti tutta la letteratura sulla “excess volatility” dei mercati, è volta sostanzialmente a ricordare che in qualche modo la volatilità in eccesso implica prevedibilità, e quindi provoca inefficienza.
E’ utile cercare di capire se le informazioni importanti (riguardanti utili o dividendi) si manifestano davvero, prima o poi, nei prezzi dei titoli, e quindi se il mercato finanziario alla fine sia efficiente o meno, nel lungo periodo.
Per verificare se nel lungo periodo esiste una significativa relazione tra i prezzi e i dividendi, è stato fatto ricorso allo studio della varianza. Shiller (1981) sostiene che se i prezzi debbono i loro movimenti all’andamento dei dividendi, allora la volatilità dei prezzi dovrà trovare riscontro, in un periodo di riferimento lungo, nella volatilità dei dividendi. In particolare Shiller utilizza l’andamento dei valori attuali dei dividendi, ponendoli su un grafico insieme all’andamento dell’indice reale dei prezzi dello S&P Composite per il periodo 1871-1979: tale studio mostra una sorprendente linearità dei dividendi attualizzati per tutto il corso del secolo, ed in contrasto con questi si notano le forti spinte verso l’alto dell’indice azionario in corrispondenza del 1929 e successivamente in un rigonfiamento che comincia durante gli anni ’50 e si chiude a metà dei ’70. Infine a partire dal 1982 comincia una salita continua dell’indice in cui il crollo dell’87 rappresenta solo una piccola correzione, e che a partire dalla seconda metà degli anni novanta supera i 600 punti e raggiunge livelli elevatissimi, sfiorando nel marzo 2000 i 1500 punti mentre il valore attuale dei dividendi, sebbene in lieve salita avrebbe suggerito un valore fondamentale al di sotto dei 400 punti.
Ciò che è più importante è che non esiste alcun andamento nei dividendi attualizzati che possa ricordare quello del contestuale movimento dei prezzi azionari. Il crollo dell’81% avvenuto negli anni successivi al 1929 fu accompagnato da una diminuzione del valore attualizzato dei dividendi soltanto del 3,1%. In pratica tale crollo fu irrazionale almeno quanto il boom che lo aveva preceduto. In generale comunque si può affermare che la volatilità dei prezzi e dei dividendi non è concorde come la teoria del mercato efficiente lascerebbe presumere.
Kenneth West (1988) afferma che non c’è un modello di bolla razionale, né modelli standard sui rendimenti attesi in grado di spiegare questa divergenza in termini di volatilità, che invece sembra riconducibile alle Fads3 e al comportamento dei noise trader, che influenzano sempre di più l’andamento delle quotazioni azionarie. Veronesi (1999) spiega che l’altalenante grado di incertezza tra gli investitori circa i rendimenti azionari, genera degli hedging behavior in grado di provocare overreaction (risposta eccessiva) alle cattive notizie in tempi buoni e underreaction (reazione moderata) alle buone notizie in tempi cattivi. Questo di conseguenza si riflette in una oscillazione della stessa varianza e quindi sulla volatilità.
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